Me lo ha segnalato la Spia, che mi conosce bene e sapeva che avrei apprezzato, anche se probabilmente non si aspettava che, durante la visione di questo video, mi trasformassi in un vero e proprio idrante umano.
Ho pianto praticamente dalla prima scena fino all'ultima. Ma non vorrei fuorviarvi. Non è un video strappalacrime. O meglio: non fa questo effetto su individui adulti mediamente equilibrati, cosa che io evidentemente non sono (la parte che mi difetta sarà quella adulta o quella mediamente equilibrata?, mi chiedo. Meglio non approfondire).
Questo video racconta la storia di una squadra di calcio di bambini, che in un anno ha incassato 271 goal e ne ha segnato solo uno - ma al momento in cui è stato girato, questo traguardo non era ancora stato raggiunto.
Una squadra di bambini che sì, sono perfettamente consapevoli di aver sempre perso e si aspettano di perdere ad ogni partita (ma sono contenti quando il punteggio finale si attesta sull'11 a 0, perché ne hanno avuti altri che viaggiavano intorno al 27 a 0), ma coltivano il sogno fresco e fiducioso di segnarlo quel benedetto gol, anche uno solo.
E si preparano a quell'evento, e continuano a giocare, con immutato entusiasmo e ottimismo e impegno, ma soprattutto con divertimento, che è forse la cosa che più mi ha commosso.
C'è da imparare molto dalla visione di questo video, io credo.
C'è da imparare da questi bambini e dagli adulti che sono loro vicini, che evidentemente sono stati capaci di trasmettere non soltanto le regole del gioco (che però non sembrano essere state assimilate del tutto, visti i risultati!), ma anche una tenerissima fiducia nella propria capacità di migliorare e un incrollabile gusto del gioco, a dispetto di ogni disfatta e sconfitta.
Questi bambini sulla carta sono dei perdenti tragici, degli sfigati colossali e degli incapaci.
Nella realtà, sono dei veri sportivi e dei vincitori.
Concedete a questo video 10 minuti della vostra attenzione e del vostro tempo.
Non ve ne pentirete.
Buona domenica!
Niente da eccepire sulla tesi: anzi, mi auguro che sempre più vengano scritti e stampati e letti testi intelligenti e onesti in difesa di una sana laicità.
Il fatto è che sono arrivata quasi a un terzo di questo libro e non vi ho trovato una notizia o uno spunto che mi abbiano sorpresa, indotta a riflettere, divertita, incuriosita. Niente.
Neanche l'ironia che l'autore sparge a piene mani è riuscita a conquistarmi: è un'ironia troppo spesso irritante, per i miei gusti, di quella che si porta dietro l'onnipresente sottotitolo "Mamma mia come sono arguto e intelligente e brillante e caustico".
Uno strazio.
Tengo a ripetere che l'autore sposa una tesi della cui bontà sono ben convinta, e da anni, dunque il mio fastidio non nasce dal vedere demolire senza troppo garbo certe mie idee, al contrario.
Per concludere, una nota per me dolentissima: qualcuno potrebbe dire al signor Mario Marchetti, che ha tradotto questo testo, che in italiano - per quanto ne sappia - si dice "pestaggio" e non "picchiaggio", "rivelatore" e non "rivelativo"?
So che il libro abbonda di simili fantasiose creazioni - altri me lo hanno detto.
Ma queste (le due più macroscopiche che ho registrato) mi sembrano più che sufficienti per farsi prendere da una crisi di sconforto di fronte alla sempre più triste situazione dell'Einaudi.
Christopher Hitchens, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, traduzione di Mario Marchetti, Einaudi 2007.