giovedì 29 aprile 2010

Della gratuità, dell'impazienza e di una torta alle carote


Ci sono poche cose che mi mettono maggiormente di buonumore che preparare una torta.
Cucinare è un'attività che generalmente mi rilassa, soprattutto quando si tratta di seguire più preparazioni contemporaneamente, il che, mi rendo conto, per molti è esattamente una delle condizioni necessarie e sufficienti allo scatenamento di una piccola crisi isterica, altro che rilassamento (potete vedere anche da lì la Spia che scuote la testa in segno di incredulità e di sbigottimento?).

Ma preparare una torta è un'altra cosa. Forse perché quando si decide di farne una c'è qualcosa da festeggiare, fosse anche solo un giorno trascorso in serenità - che non è poco, a mio parere -, o una spesa particolarmente fortunata al mercato dove si è trovato qualche bell'ingrediente fresco che fa venire subito in mente una particolare ricetta (a voi non capita mai? A me molto spesso).

Forse perché cucinare per pranzo e per cena richiama anche l'ineluttabile necessità di doversi nutrire - e preferibilmente con qualcosa di sano - mentre una torta è qualcosa di meravigliosamente superfluo, voluttuario, un indulgere (più o meno colpevole, più o meno criminale) nel puro e semplice piacere.

E che dire poi del profumo che da certe torte nel forno si spande per tutta casa?

Esistono degli aromi in cucina che evocano in me subito sensazioni di pura beatitudine. La cipolla e l'aglio che appassiscono lentamente nel burro, per esempio. La cannella e l'arancia. I semi di cumino che sfrigolano nell'olio caldo. Il cioccolato che si fonde a bagnomaria. Un arrosto di maiale con aglio e rosmarino che cuoce lentamente. Un pollo arrosto profumato di limone e di salvia e la sua pelle che si dora e diventa croccante. La noce moscata grattata sopra un purè di patate bollente. La panna che si insaporisce di un baccello di vaniglia e di una scorza di limone per diventare poi un gelato alla crema (prossimamente ne parlerò). Dadini di pancetta che sfrigolano nella padella.

E questa torta alle carote.

In sé e per sé, come diceva qualcuno di mia conoscenza prima di aver assaggiato questa versione, la torta di carote evoca immagini un po' tristi di dolce 'sano', quasi spartano, da merenda 'punitiva' preparata da mamme severe ed efficienti.

Ecco, questa torta non ha molto di sano, in realtà, soprattutto se vorrete preparare anche la glassa, che per me è un suo elemento irrinunciabile, ma che ad alcuni potrà apparire davvero eccessiva (e lo è, non c'è dubbio). La mia amica Annalisa, che ha un talento speciale e inimitabile per esprimere in poche parole un concetto, un'idea, l'essenza di una situazione o di una persona, la chiama torta di carote con topping al triplo cheesecake.

Non mi sento di aggiungere altro.


Torta di carote con topping al triplo cheesecake da Falling Cloudberries di Tessa Kiros

per una tortiera di 24 cm di diametro, imburrata e infarinata

4 uova
250 gr. di zucchero
185 ml di olio di girasole
300 gr. di farina
¾ di cucchiaino di sale
2 cucchiaini di lievito
1 cucchiaino di bicarbonato
2 cucchiaini di cannella in polvere
400 gr. di carote, pulite e grattatugiate
55 gr. di noci a pezzetti

per la glassa: (nella versione originale le dosi sono doppie rispetto a queste; a me pare davvero un'enormità, ma insomma, fate voi)

90 gr. di burro
125 gr. di zucchero a velo
90 gr. di formaggio spalmabile
1 goccia di estratto di vaniglia

Preriscaldate il forno a 180°.

Sbattete le uova e lo zucchero fino ad ottenere un composto cremoso; aggiungete poi l'olio, continuando a sbattere.

Setacciate insieme la farina, il sale, il lievito, il bicarbonato e la cannella. Aggiungeteli alle uova e allo zucchero, sempre sbattendo.

Unite le carote e le noci, amalgamate bene tutto e versate il composto nella teglia.

Fate cuocere per circa 1 ora/1 ora e 10': il famigerato stecchino dovrà uscire asciutto dal centro della torta, che sarà molto alta.

Mettete la torta su una gratella; dopo un po' estraetela dalla tortiera, ma lasciatela sempre sulla gratella.

Nel frattempo, preparate il topping al triplo cheesecake.

Con le fruste elettriche montate il burro e lo zucchero finché non siano perfettamente amalgamati in un composto piuttosto sostenuto.

Aggiungete il formaggio da spalmare e la vaniglia.

Glassate la torta, evitando di creare una superficie perfettamente liscia, impeccabile. Questa non è una Sacher, ma una torta alle carote, anche se piuttosto volgare e vistosa.

Un avvertimento fondamentale!
Procedete alla glassatura solo quando la torta sarà completamente fredda.
Se sarete impazienti come qualcuno che conosco, dopo pochi minuti che l'avrete spalmata, la glassa comincerà rovinosamente a sciogliersi e a colare dappertutto, con effetti estetici di dubbissimo gusto.

La torta sarà nondimeno sempre buonissima, ma perché turbare i felici mortali cui ne offrirete una fetta, quando sarebbe possibile, con un piccolo esercizio di pazienza, evitare loro il benché minimo sconcerto?

Enjoy!



lunedì 19 aprile 2010

Di avatar che prendono corpo e di alcuni muffins al formaggio


Chi frequenta il mondo della rete sa benissimo quanto sia facile dare vita a rapporti di vario genere con gli altri suoi frequentatori. Trasformare questi rapporti in legami autentici e significativi è evidentemente, invece, un altro paio di maniche.
È indubbio, però, che il tipo di relazione che può nascere tra due persone che non si conoscono, non si sono mai viste e che, almeno all'inizio, non sanno nemmeno che suono abbia la voce dell'altro sia singolarissimo, per certi versi assolutamente unico e inimitabile. Sociologi, psicologi, giornalisti, tuttologi e cialtroni vari hanno scritto pagine e pagine sul tema 'Le relazioni personali nell'era di internet'. Dunque non aggiungerò banalità a banalità.

Posso però dire che, quando una creatura abitatrice della rete entra nella mia vita e, dopo i primi scambi, ne diventa una piacevole costante, a me viene quasi subito il desiderio di darle una voce, in primis, e poi anche un volto. Mi piace anche di più ritrovarmela accanto, guardarla negli occhi, vedere come si muove nello spazio, come si siede su una poltrona, se quando parla si tocca spesso i capelli o gesticola con le mani, se sorride spesso, se ha rughe d'espressione.
Insomma, mi piace incontrarla in carne ed ossa.

Finora non sono state molte le persone che, partendo da un avatar o da un nickname, hanno acquistato davanti ai miei occhi materia e spessore, ma sono state tutte belle conferme: uomini e donne che non hanno mostrato in rete un'immagine 'ripulita' e insincera di loro stessi e il contatto con i quali non ha ingenerato in me alcuna piccola o grande delusione ma, al contrario, grande tripudio, e la sensazione nettissima e confortante di essere una persona per molti versi fortunata.

Qualche giorno fa, nel salotto di casa mia, si è materializzato un mio amico conosciuto su aNobii. Insieme alla sua compagna e alla Spia abbiamo trascorso il tempo di un pranzo.
Pranzo improvvisato (non era previsto) e per questo tanto più gustato e condiviso in un reale spirito di intimità e di rilassatezza.

Il pezzo forte era costituito da dei muffins al formaggio che avevo preparato per il mio amico e la sua compagna e che avevo diligentemente infilato in un sacchetto del pane per fargliene omaggio. Cambiati i programmi, sono stati messi al centro della tavola, accompagnati da affettati e da un'insalata.

La ricetta è questa, tratta da Nigella Bites della mia Nigellona (a proposito! A settembre uscirà in Inghilterra il suo nuovo libro. Ovviamente ho il dito già pronto sul tasto buy it nella libreria online dalla quale in genere mi servo).

Welsh-Rarebit Muffins (chi di voi fosse curioso e leggesse l'inglese potrebbe aver piacere a consultare la pagina di Wikipedia relativa a questo singolare piatto gallese, il welsh rarebit, appunto, di origine settecentesca, al quale Nigellona si è moooolto liberamente ispirata per la rielaborazione di questa ricetta, apparsa originariamente in un libro americano, The Joy of Muffins. Troppo complicato? In questo caso, passate direttamente agli ingredienti e lasciate le preoccupazioni filologiche a chi voglia perderci qualche minuto).

Dicevamo...

(per Jörg e Luisa)

Welsh-Rarebit Muffins


(per 12 muffins)

225 gr. di farina autolievitante
50 gr. di farina di segale (io ho usato una normale farina integrale)
1 cucchiaino di lievito
½ cucchiaino di bicarbonato
1 cucchiaino di sale
1 cucchiaino di senape in polvere
125 gr. di formaggio grattugiato (nella ricetta originale è il Cheddar; io in genere colgo l'occasione per dare un senso agli ultimi istanti di vita di pezzetti di formaggio che languono nel mio frigo; di solito opto per formaggi abbastanza saporiti: del pecorino, per esempio, 'tagliato' con un po' di caciotta di mucca o di Asiago; mai provato il parmigiano; voi sbizzarritevi)
6 cucchiai di olio (vegetale nella ricetta originale, ed è quello che uso io; se vi fa orrore anche solo l'idea, provate con dell'olio di oliva leggero)
150 gr. di yogurt intero (greco nell'originale)
125 ml. di latte intero
1 uovo
2 cucchiai di salsa Worcestershire

Preriscaldate il forno a 200°.

La procedura per i muffins è più o meno sempre la stessa.

Mettete in una ciotola capiente tutti gli ingredienti secchi.

In un bricco dosatore tutti gli ingredienti liquidi.

Versate questi ultimi nella ciotola di cui sopra, mescolate con una forchetta giusto per amalgamare (la mia amica Paolina dice che bisogna girare 7 volte, non una di meno e soprattutto non una di più), versate il composto grumoso nella teglia da muffins, eventualmente rivestita da pirottini di carta.

Fate cuocere per 20', trascorsi i quali tirate fuori velocemente la teglia, aggiungete un paio di gocce di salsa Worcestershire sul cucuzzolo di ogni muffin, rimettete sempre con velocità la teglia nel forno e aspettate altri 5'.

Non mangiateli appena sfornati (la temperatura sarà più o meno quella dei pomodorini di Fantozzi), ma non lasciateli raffreddare troppo. L'ideale è che siano ancora tiepidi (detto ciò, si riscaldano benissimo).

Anzi, l'ideale è che li mangiate insieme a qualche bella persona che fa parte della vostra vita, che ci sia entrata fin da subito in carne e ossa o sotto forma di parole su un monitor, sentendovi incredibilmente fortunati e privilegiati per aver incrociato la sua strada.

Enjoy!

sabato 10 aprile 2010

Un post su commissione 2: la super-crostata di ricotta

Nel suo commento al post sulla crostata sincretica di ricotta, Stefano Arturi ha espresso il desiderio di leggere la versione originale della torta di Ada Boni da cui la 'mia' (si fa per dire) ricetta ha preso ispirazione.

Siccome è un caro fanciullo cui vogliamo bene, lo accontentiamo immantinente, e con grande piacere!

Super-crostata di ricotta da Il talismano della felicità di Ada Boni (verbatim)

Burro g. 150
Zucchero al velo, 2 cucchiai e mezzo
Farina, 5 cucchiai colmi
Fecola di patate, 4 cucchiai
Buccia di limone
Zucchero in polvere, 5 cucchiai
Uova intiere, 3
Tuorli d'uovo, 2
Latte, un bicchiere
Ricotta, g.300
Cannella
Scorzetta di cedro ed arancia candite, 3 cucchiai
Uovo sbattuto
Zucchero vainigliato


Per la pasta frolla ci serviremo della nostra eccellente pasta frolla senz'uova. Impastate 150 g. di burro con due cucchiaiate e mezzo di zucchero al velo, e quando lo zucchero è assorbito, incorporate al burro quattro cucchiaiate colme di farina, quattro cucchiaiate di farina di patate e la raschiatura d'un limone. Unite bene tutti i vari ingredienti, fate una palla della pasta e lasciatela riposare un poco. Confezionate intanto una crema pasticciera con due cucchiaiate di zucchero in polvere, due rossi d'uovo, un cucchiaio colmo di farina e un bicchiere di latte. Dopo aver preparato la pasta e la crema bisogna preparare il composto di ricotta. Lavorate con un mestolo di legno in una terrina grammi 300 di ricotta, tre rossi d'uovo, tre cucchiaiate di zucchero in polvere e un pizzico di cannella; e quando la ricotta sarà ben sciolta, uniteci la crema pasticciera fredda, tre cucchiaiate tra cedro e scorza d'arancio canditi, che avrete tagliato in pezzettini, e tre chiare montate in neve. Amalgamate con garbo ogni cosa. Dividete la pasta frolla in due pezzi disuguali e col rullo di legno stendete il più grande allo spessore di pochi millimetri. Imburrate leggermente una teglia di venti centimetri di diametro - o meglio un cerchio da flan dello stesso diametro - e foderatela con la pasta già spianata, in modo da formare una specie di scatola. Versate in questa il composto di ricotta, e servendovi dell'altra pasta fate delle strisce come fettucce, che disporrete a reticolato sulla ricotta. Con la lama di un coltello regolarizzate intorno la crostata, doratela con un po' d'uovo sbattuto e mettetela in forno di giusto calore per mezz'ora abbondante. Quando sarà cotta accomodatela in un piatto e spolverizzatela di zucchero vainigliato.


martedì 6 aprile 2010

Di un (triste) anniversario, di colombe e solidarietà e di un semifreddo al torrone



Il post di oggi nasce da un'idea piccola ma geniale della cara Artemisia, di cui ho già parlato qui.

Un modo semplice ma concreto di sostenere, per quel che è possibile, qualcuno che proprio oggi, è ormai già un anno, ha visto la propria vita sconvolta e devastata dal terremoto in Abruzzo.

Un modo spontaneo e gaudente, a misura della sensibilità di ogni partecipante, di contribuire a un gioioso movimento di solidarietà.

L'iniziativa, rivolta a foodbloggers e non e coordinata in un blog nato per l'occasione, 99 colombe , intendeva sostenere e far conoscere un'azienda dolciaria abruzzese di fama e tradizioni antiche, la Sorelle Nurzia, da un anno a questa parte in (comprensibili) difficoltà.

La risposta, generosa e direi travolgente, è stata multiforme e varia: alcuni hanno creato poesie, foto, disegni, racconti, gioielli e fantasmagoriche colombe ritagliate nella carta; altri hanno acquistato dei prodotti della Sorelle Nurzia e li hanno utilizzati per la preparazione di una ricetta da pubblicare, tutti insieme, nel giorno di questo triste anniversario.

Io ho fatto il mio ordine circa due settimane fa e sono rimasta piacevolmente colpita dalla rapidità e dall'efficienza con cui è stato evaso ed è arrivato qui, a casa mia. So che gli ordini sono stati tanti, tantissimi, al punto da rendere necessaria la felice riassunzione di due persone che tempo fa, date le difficoltà, erano state licenziate. Non so come siano riusciti nel piccolo miracolo di far fronte a tutte le richieste, ma ci sono riusciti, e brillantemente. Un segnale di ottimismo e di grande coraggio e serietà, che rinfranca chi ogni tanto pensa gli sia toccato in sorte di vivere in uno dei periodi più bui e miseri della storia recente.

Quanto alla ricetta, ho pensato subito a un semifreddo al torrone, un altro cavallo di battaglia della mia mamma che, pur piacendomi moltissimo, chissà perché non avevo mai pensato di preparare.

Non so dove mia madre abbia preso la ricetta. Me l'ha dettata al telefono qualche sera fa, leggendola da un suo quadernino disordinatissimo e pieno di scarabocchi e appunti illeggibili (a lei per prima, tengo a precisare); ogni mio tentativo di conoscerne l'origine è stato vano.

Farsi dettare una ricetta al telefono da mia madre è un'esperienza. A volte comica, altre tragica.
È comunque e sempre una forma di espiazione, forse quella che mi è stata destinata in questa vita perché io mi purghi di certi orrendi crimini commessi in qualche esistenza precedente.

Ma tornando alla ricetta.
Solo dopo averla preparata e fotografata (e mangiata), mi sono accorta che era già stata proposta, in due varianti leggermente diverse, nel blog collegato all'iniziativa.
Ohibò, evidentemente altri hanno avuto la stessa idea. Ma non importa (spero).

Più che altro potreste pensare che un dolce del genere sia un po' fuori stagione, dato l'ingrediente principale.
Ma il torrone lo si può ordinare tranquillamente sul sito della Sorelle Nurzia, in ogni momento dell'anno.
Vi assicuro che ne vale la pena.



Semifreddo al torrone bianco della Sorelle Nurzia (da una ricetta della mamma di Duck, di origini ignote)

200 gr. di torrone bianco
2 uova, separate
4 cucchiai di zucchero
3 cucchiai di brandy
200 ml di panna

per la salsa

50 gr. di cioccolato fondente
50 ml di panna

Tagliate a pezzi il torrone (preferibilmente senza amputarvi qualche arto fondamentale; è una delle cose più dure che esistano in giro) e poi mettetelo in un robot da cucina e riducetelo in polvere. A me piace che rimangano dei pezzetti di mandorla interi, ma insomma è una questione di gusti.

Montate con la frusta i due rossi d'uovo con i 4 cucchiai di zucchero.

Unite il torrone e il brandy.

Montate la panna e aggiungetela delicatamente.

Montate a neve le chiare d'uovo e incorporatele con leggiadria e mano gentilissima.

Foderate una teglia da plumcake con la pellicola trasparente e versatevi il semifreddo.

Mettete in freezer e aspettate almeno 24 ore prima di mangiarlo, servendolo con la salsa al cioccolato (che preparerete versando sulla cioccolata a pezzetti la panna fatta riscaldare quasi fino al punto di bollore).

Tenete presente che è un semifreddo morbido, non indurisce anche dopo giorni e giorni nel freezer. Per questo motivo potreste forse preferire versarlo in un contenitore tipo Tupperware e servirlo come fosse una mousse, a cucchiaiate, in coppette o bicchierini in vetro (cosa che farò io la prossima volta).

Io l'ho preparato qualche giorno fa, dopo pranzo, un momento della giornata sempre molto silenzioso e quieto in questa casa, in cui i 3/4 della famiglia (la Spia e le due gatte) sonnecchiano beati in altre stanze.

Volevo esser sola e preparare tutto con concentrata attenzione, pensando bene a ciò che stavo facendo, al suo valore simbolico.

Ed ho pensato a quanto appagante sia dare il proprio piccolo, piccolissimo contributo ad un'impresa comune come questa, che è nata da un'idea apparentemente bizzarra e si è alimentata dell'energia solidale ed entusiasta di tutti i 'bizzarri' che se ne sono fatti portavoce e sostenitori.

Ed ho anche riflettuto su quanto poco ci voglia per dare una mano agli altri e su quanto spesso ce se ne dimentichi.

Ringrazio ancora Artemisia per avermelo ricordato e la Sorelle Nurzia per avermi fornito la materia prima di questo delizioso memento.

Enjoy!

sabato 3 aprile 2010

Del sincretismo e di una crostata di ricotta


Un mio vecchio fidanzato aveva l'abitudine di definirmi, con un tocco di divertito e compiaciuto snobismo, "un'animista sincretica".

Della mia indubbia propensione all'animismo ho già parlato in un altro post; quanto al sincretismo, quel signore alludeva alla mia spiccata tendenza a prendere dalla realtà gli elementi che in qualche modo 'parlano' alla mia sensibilità, anche se provenienti da dimensioni e territori diversi e a volte apparentemente inconciliabili, e ad associarli in nuove combinazioni che hanno senso magari (anzi, molto spesso) anche solo per me, e magari solo per un periodo della mia vita; combinazioni si spera armoniose che rispondano ad uno dei miei bisogni più sentiti, più genuini e vitali: trarre il meglio dalle mille realtà che mi trovo tra le mani ogni giorno.

La vita, però, non si piega sempre a queste operazioni combinatorie, più o meno ardite, cui spesso la sottopongo. Ci sono davvero alcune situazioni ed occasioni in cui ciò non è possibile. Credo che la mia personale idea di saggezza sia, tra le altre cose, la capacità di distinguere caso per caso, il capire quando mi è concesso uno spazio di manovra e quando invece mi viene chiesto di fare i conti con la mia impossibilità di modificare il reale e con la necessità di accettarlo per quello che è.

Per fortuna, la natura, la sorte, gli dei o chi per loro, mi hanno concesso un temperamento che si entusiasma e si compiace anche di piccoli, piccolissimi successi, e non si sente immiserito dall'applicazione di questa naturale tendenza al sincretismo anche agli ambiti più prosaici, modesti e quotidiani dell'esistenza.

Ultimamente, per esempio, sono stata scioccamente fiera di una crostata di ricotta, nata dall'elaborazione di tre diverse ricette, ma soprattutto dal desiderio di ricreare il gusto di una delle torte che amo di più e che mia madre mi faceva molto spesso per merenda quando ero piccola.

Negli ultimi anni, però, la ricetta che per anni ha dato vita ad infiniti e sublimi bocconi è stata sostituita da un'altra, altrettanto buona ma per me fatalmente meno 'suggestiva'.
Benché abbia tentato più volte di recuperare l'originale, non ci sono riuscita (la memoria di mia madre è quella che è e, data quella della figlia, la cosa non dovrebbe sorprendere affatto).

Poi, però, sono andata a prendere un tè nella fantasmagorica casa della mia amica Piera, un appartamento magico e fiabesco, labirintico e misterioso nel centro di Firenze, con una terrazza arrampicata sui tetti e una mansarda sospesa sulla città, piena di libri, gatti, fotografie e ricordi. Sono sicura che a casa di Piera entrando in un armadio si può accedere ad altri regni e di notte, per le scale, salgono e scendono benevoli folletti che la proteggono.

Nella sua cucina, con la gatta Lilly a ronfare sulle mie ginocchia, ho ascoltato con grande partecipazione il racconto (che intuisco essere solo un 'antipasto') della sua vita.

Sul tavolo di quella cucina, ad un certo punto, Piera mi ha messo di fronte una vecchia copia del ricettario della sua mamma, Il talismano della felicità di Ada Boni. Libro feticcio, libro culto di generazioni di donne italiane, libro che in alcune famiglie faceva parte della dote con cui si mandava in sposa una fanciulla, con quel bel titolo, un po' pretenzioso e un po' ingenuo, che alludeva a quotidianità serene ed operose, allietate da goduriosi ma legittimi piaceri casalinghi.
Che contrasto stridente tra il destino di questo libro, presente in tutti i tinelli e in tutte le cucine d'Italia da quasi ottant'anni, e il tono distaccato, assai poco simpatico e caloroso dell'autrice, che immagino essere stata tutto tranne una bonaria casalinga desiderosa di condividere i suoi segreti con altre 'colleghe'.

Un libro di cucina di famiglia, insomma, di quelli vecchi e marcati dal segno lasciato dal fondo di un bicchierino sporco di caffé, bevuto magari pensando a cosa fare per cena, con infilati tra le sue pagine liste della spesa e foglietti di appunti scarabocchiati di corsa per non dimenticare la variante della zia, dell'amica o della suocera, passato di madre in figlia. Forse ciò che più si avvicina alla mia personale idea di 'casa'. Non è un caso che io non ne abbia neanche uno.

Ma tenere in mano questo, che pure non è mio ma parla comunque, e a voce alta e in modo commovente e poetico, di una vita trascorsa anche in cucina, a far da mangiare a tanti figli e a tanti amici, è pur sempre un'esperienza emotiva di grande intensità e consolazione per me. E per questo ringrazio Piera, che forse intuendo il mio disagio nel custodire - anche se temporaneamente - un oggetto tanto prezioso appartenente ad altri e così poco in risonanza con la mia effettiva storia familiare, ha affettuosamente insistito perché io lo prendessi in prestito e lo sfogliassi, offrendomi il dono di vivere anche io un po' di quelle belle atmosfere.

Ecco dunque la ricetta di oggi: un misto della Super crostata di ricotta di Ada Boni, di una torta, sempre di ricotta ma al cioccolato di Tessa Kiros (di cui ho utilizzato anche le dosi per la pasta frolla), e della ricetta 'moderna' e 'spuria' della mia mamma.

Un tentativo quasi filosofico, appunto, di ricreare, da tutte queste suggestioni, una delle esperienze gastronomiche più appaganti della mia infanzia.


Crostata di ricotta (sincretica) di Ada Boni, Tessa Kiros e della mamma smemorata di Duck

pasta frolla:

250 gr. di farina
125 gr. di burro
125 gr. di zucchero
1 uovo intero + 1 tuorlo

per la crema:

300 gr. di ricotta
3 uova, separate
3 cucchiai di zucchero
cannella
scorza di un'arancia
100 gr. di cioccolato fondente, tagliato a pezzi (per me non troppo piccoli, grazie)

Per la pasta frolla, potete seguire un metodo assai poco ortodosso ma a mio parere ottimo e sperimentato (ne parla, ad esempio, anche l'ottimo Stefano Arturi nel suo English Puddings, di cui ho parlato qui).

Preparatela nel robot da cucina, usando burro tagliato a dadini e freddissimo (tenetelo in freezer per circa 15'): lavoratelo rapidamente, usando la funzione pulse, insieme alla farina e allo zucchero, in modo da ottenere qualcosa di simile alla sabbia umida.

Aggiungete poi l'uovo intero e il tuorlo e, sempre usando la funzione pulse, aspettate che il composto arrivi quasi al punto di creare un'unica palla. A quel punto tirate fuori l'impasto, compattatelo senza strapazzarlo troppo, schiacciatelo e avvolgetelo nella pellicola.
Lasciatelo riposare in frigo per una mezz'oretta.

Accendete il forno a 180° e stendete la frolla nella tortiera (per me un'impresa epica; sono una frana assoluta in questo e lo si nota dal bordo sfrangiato - che pare mangiato dai topi - della mia crostata).

Preparate la crema. Lavorate con la frusta i tre rossi con i tre cucchiai di zucchero, aggiungete la ricotta, la cannella, la buccia di arancia e la cioccolata. Infine le chiare montate a neve.

Versate la crema nel guscio di frolla (forse si può cospargere leggermente quest'ultimo di pan grattato per assorbire un po' l'umido della crema? La prossima volta ci provo); dedicatevi poi amabilmente alla creazione del motivo grigliato con gli avanzi della pasta. Io, per evitare di avere una crisi di pianto, chiamo in mio soccorso la Spia (quella di fare i cordoncini di pasta è un'altra operazione capace di ridurmi in lacrime per la frustrazione e il nervoso; non so perché).

Mettete in forno e cuocete per circa 35'-40'.

Potete servire la crostata dopo averla cosparsa di zucchero a velo (la quantità di zucchero nella crema è in effetti piuttosto misera; tenete presente che nella ricetta originale della Boni, insieme alla crema di ricotta, è prevista anche una bella dose di crema pasticcera), ma io la trovo perfetta anche così.

Mangiate, preferibilmente per merenda, con un bicchiere di latte freddo e ascoltando il disco di Walt Disney di Alice nel paese delle meraviglie.

Oppure, come ho fatto io qualche giorno fa, per colazione, il giorno dopo.

Ancora più buona.

Ancora più consolatoria e sincretica.

Enjoy!