sabato 7 gennaio 2012

Un altro sguardo: Tiziana Rinaldi

Avere un piccolo negozio on line significa anche, tra le tante cose, entrare in una vasta e multiforme comunità di persone che in rete mostrano e offrono i prodotti della loro creatività.

All'inizio il contatto con questo mondo può disorientare: ci si trova in una galassia immensa e apparentemente sconfinata, con milioni di abitanti.

L'enorme quantità degli stimoli offerti dà alla testa: si possono passare ore e ore in rete, vagando di rimando in rimando, di link in link, ipnotizzati, giungendo quasi alla nausea o alla paralisi: l'eccesso di offerta e varietà può anche avere questi effetti - almeno li ha, di sicuro, su di me.

Col tempo però, magari dopo una pausa di riflessione, si ricomincia a navigare in quella galassia con più calma, con maggiore discernimento, cercando di non farlo in modo bulimico, indiscriminato, superficiale, accumulatorio.

Col tempo, diventa sempre più facile capire quando ci si trova di fronte anime affini alla propria, stimoli di cui si ha bisogno, finestre dalle quali ci si può affacciare per guardare ad altre realtà, o alla nostra, ma con uno sguardo diverso, e si comincia a sentire quanto sia bello essere parte attiva (anche se una piccola, piccolissima parte) di quella grande galassia.

Nasce allora la voglia di conoscere meglio queste anime affini, di parlare con loro, di sapere dove e come lavorano, di invitarle a parlare di sé e soprattutto della loro passione: i racconti che ne escono sono sempre coinvolgenti, interessanti e - almeno per me - di grande ispirazione.

Comincia oggi dunque un'altra rubrica di interviste e la prima non poteva che essere quella a Tiziana Rinaldi: perché in questa galassia quello con lei è stato uno dei miei primi fortunati incontri; perché è anche e soprattutto un'amica, prima che una delle mie artiste predilette; perché nel suo blog è continua fonte di ispirazione, poesia, bellezza e divertita leggerezza; perché è sempre generosa di consigli, incoraggiamenti e stimoli (non ultimo, come molti di voi avranno capito, quello a inaugurare questa rubrica che ricorda e vuole essere un omaggio al suo "Perché a me piace..."); perché, molto semplicemente, è Tiziana.


Dicci qualcosa di te e che cosa fai
Mi chiamo Tiziana, sono pittrice e illustratrice... e sono terribilmente impacciata parlando di me. E allora facciamo così, che mi appoggerò alle tue domande per provare a descrivermi.
Da dove trai ispirazione?
Non c’è qualcosa che mi ispiri in modo particolare, allo stesso tempo tutto mi può ispirare. In effetti, se ci pensiamo, è un fatto misterioso ma vero, che ovunque e in qualunque situazione può accendersi la scintilla che dà energia alla creatività. E dunque: un evento naturale, una vecchia foto, una canzone, una poesia, una frase letta, un’immagine, una persona - specie se ne osservo i dettagli, i silenzi-, brandelli di conversazioni - a volte anche una sola parola captata per caso -, le forme di vuoto che stanno tra le cose... tutto può essere di grande ispirazione se avviene la giusta sinergia, se ciò che abbiamo visto/ascoltato risuona da qualche parte in noi. Al contrario, la cosa più bella ed entusiasmante può non dirmi assolutamente nulla, se non sono ricettiva. Aperta. Disponibile a farmi raggiungere. 
Quando hai capito di aver trovato il tuo personale percorso creativo?
L’ho trovato? Non saprei :) 
Credo sia una di quelle cose che capitano, ma delle quali non siamo completamente consci. Almeno, per me è così, e dunque tuttora non penso di aver trovato il mio percorso creativo personale. C’è quello che faccio adesso, e questo mi piace. Ma, penso, immagino - perché è sempre successo - che cambierò ancora, e dunque cambierà il mio percorso. 
Quali sono state (se ce ne sono state) le difficoltà che hai dovuto affrontare all'inizio? E come hai fatto a superarle?
La mia è una storia particolare. Per un lungo periodo della mia vita ho fatto altro, tutt’altro. Avevo trovato un lavoro, quello che si definisce un buon, anzi ottimo, lavoro come impiegata. Questo mi aveva fatto dapprima relegare in momenti da hobbista, poi quasi completamente abbandonare, le mie aspirazioni più intime, legate all’arte. Le mie difficoltà sono state dunque principalmente dovute al fatto di riconoscere che ero profondamente infelice, in quel lavoro. Mi sentivo prigioniera di una gabbia dorata, dalla quale non credevo di avere i mezzi per fuggire. Ho dovuto cercarli quei mezzi, trovarli, con forza, con tenacia. In alcuni momenti lottando anche contro chi pensava la mia fosse una scelta da folle (e io posso capirli, quei pensieri; ma quando una voce ti chiama forte e chiara, per quanto tempo puoi fingere di non sentirla? e quale sarà il prezzo che poi dovrai pagare per non averla ascoltata?).

Hai mai dei blocchi creativi? E se sì, che cosa fai?
Uh, sì, certamente che li ho. Quando accade vuol dire che sono stata ingorda di informazioni. Mi sono riempita di scorie, guardando troppo, ascoltando troppo, ma soprattutto rimanendo troppo attaccata a internet a osservare immagini su immagini, video su video, e/o leggendo tutto quello che capita di leggere e osservare in rete  - a volte anche contro la mia stessa volontà. Quando è così, perdo il filo con me stessa. Mi spengo. Da ciò si forma il blocco creativo. Per superarlo devo digiunare. Spegnere il computer, smettere di sfogliare tutto quello che mi capita sottomano, smettere di guardare la pur pochissima televisione che vedo e dedicarmi a qualcosa per il quale non occorra pensare. Una lunga passeggiata in un contesto naturale - perché al contrario di ciò che nasce dall’uomo ciò che nasce dalla natura non è mai troppo. La pulizia a fondo di una stanza della mia casa. La cura dei fiori. Fondamentale è ritrovare il silenzio, esteriore e interiore. In questo modo, dopo un po’, riaffiora la mia voce. Riesco a riascoltarmi, e il blocco è superato. 

C'è stata una persona che in qualche modo ti ha fatto da guida, o da modello, o ti è stata di ispirazione?
Come ti dicevo più su sull’ispirazione in generale, anche in questo caso chiunque può essere, ed è stato, di ispirazione. Mi sono di grande ispirazione gli sconosciuti che incontro, per esempio. Su loro costruisco grandi storie interiori (ma penso sia pratica molto comune). Ovviamente, mi sono di grandissima ispirazione quelli che chiamo i miei personali maestri (del tutto inconsapevoli): una manciata di persone sparse tra vita reale e vita culturale, che continuano ad ispirarmi nello spazio e nel tempo, con le loro parole, il loro esempio, le loro scelte. 

In genere come lavori? Come si sviluppa per te il processo creativo? Segui particolari procedure, usi particolari tecniche, hai piccoli riti?
È difficile rispondere a questa domanda... Sai che non saprei, esattamente? Mi rendo conto, ogni volta che mi soffermo a pensare al mio modo di agire in tutti i campi, e dunque anche quello artistico, che molto, forse troppo spazio, è lasciato al caso. Al mistero. O all’inconscio, come vogliamo chiamarlo. 
Non ho particolari riti, se non quello di pulire alla perfezione il mio spazio lavorativo prima di iniziare un nuovo lavoro: deve sparire ogni traccia del lavoro precedente. Dopodiché mi metto lì e aspetto. A volte scarabocchio su qualche foglio, scrivo qualche frase, vado a rivedere vecchi  schizzi che raccolgo in una cartellina, e, in pochi minuti, o in diversi giorni a seconda dei casi, si chiarisce, si illumina, dentro di me, cosa voglio fare e come. 
Il processo è generalmente più lungo se devo creare qualcosa con un senso di aspettativa, ovvero se ho una commissione, che sia di dipinto o di illustrazioni. In quel caso ho dei canoni precisi, delle richieste cui aderire; questo comporta, in un certo senso, meno libertà, e dunque più impegno nel cercare di dire ciò che io voglio dire, all’interno della storia di qualcun altro.
Se invece si tratta di fare qualcosa su mia sola ispirazione il processo è solitamente più breve; a volte si tratta poi di pura sperimentazione, che non richiede dunque molto pensiero, ma principalmente gesto istintivo.

Puoi descrivere brevemente il luogo in cui lavori?
Vivendo in una casa molto piccola, il luogo dove lavoro è una sorta di studio in miniatura. Dove però c’è tutto quello che mi interessa: un tavolo solido e vissuto, una libreria con a portata di mano tutti i libri e i manuali cari, una bacheca per i colori, decine di barattoli per i pennelli, scatole e scatoline per matite, forbici e altri attrezzi del mestiere, tutte le mie carte - sulle quali disegnare o tra le quali scegliere per ritagliare - qualche oggetto caro, ritagli di immagini prese dai miei vecchi quadri, alcune piante, qualche elemento naturale come piccoli sassi, piume, frammenti di corteccia, bacche. 

Come promuovi il tuo lavoro? Hai qualche consiglio in merito?
Uso principalmente la rete: il mio sito, il blog, e da poco tempo i cosiddetti social network. 
Sono conscia che si possa fare molto di più, a partire anche proprio dall’ambito locale, il luogo in cui viviamo. Ma un po’ la pigrizia, un po’ una certa timidezza nell’espormi, non faccio moltissimo in questo senso. Dunque un consiglio che do (e dovrei darlo principalmente a me stessa) è, molto banalmente, quello di creare dei bellissimi bigliettini da visita, e con grande naturalezza, distribuirli ovunque, a chiunque. (Fra l’altro non si tratta neanche di un consiglio mio, ma che ho appreso da Kelly Rae Roberts: una vera maestra nel campo della promozione del proprio biz artistico - definizione tipicamente americana, dell’attività artistico/artigianale quando da hobby, diventa, seppure a piccoli passi e timidamente, lavoro).

Un progetto nel cassetto?
Non mi dispiacerebbe, avendo lo spazio necessario, provare a sperimentare la scultura, o la modellazione. Ho diverse bizzarre figurette che da tempo mi girano attorno e che vorrebbero prendere forma tridimensionale...  

Un sogno?
Il mio sogno è lo spazio. Avere molto più spazio. Un grande studio luminoso. Magari da trasformare in un atelier aperto al pubblico, dove poter finalmente incontrare le persone interessate al mio lavoro, potendole accogliere in un luogo sereno, dove chiacchierare con calma sorseggiando un buon tè.
E poi...
Te, oggi, in 3 aggettivi
Curiosa, solitaria, camminatrice

Te, bambina, in un ricordo o un'immagine
Ero una scimmietta curiosa e acrobatica. Quando non ero intenta a farmi - bonariamente, e per interesse sincero - i fatti altrui - ma anche i fatti di un orologio e i suoi meccanismi, per dire - potevi trovarmi a dondolare appesa a testa in giù dal ramo più alto di un albero.  

Il dono di natura che vorresti avere
Quando vedo le étoiles dei più grandi corpi di ballo, mi dico: eh, però... (con un sospiro lieve).

Forse non tutti sanno che... (qualche cosa di curioso, o di buffo, su di te)
Sono fondamentalmente timida, molto timida. Come tutti i timidi, in situazioni per me imbarazzanti, tipo quando mi trovo a parlare tra molte persone, inizio a farlo a vanvera disquisendo su questo o quello contro la mia stessa volontà! Potreste in quel momento strapparmi qualsiasi promessa, o carpirmi segreti di stato (che per fortuna non ho). Terribile. Al solo pensiero rabbrividisco. Per salvarmi l’unica cosa è evitare di raggrupparmi con troppe persone per volta.

Sul tuo tavolo di lavoro...
A costo di sfatare il fascino degli artisti caotici e disordinati, il mio tavolo è, per una mia forte esigenza, piuttosto sgombro e in ordine. Solo l’essenziale per lavorare e qualche piccolo oggetto bello e propiziatorio, che cambia di volta in volta. In questo momento ci sono tre bellissimi origami dono della mia amica Junko.

Sul tuo comodino...
Una boccetta di olio essenziale (cambia spesso, in questi giorni è lavanda), due taccuini per le annotazioni notturne, libri (del momento, che non riesco a lasciare, che voglio avere sempre sotto mano), la cartolina di un mio quadro, un talismano da sogni. 
(questo sopra, perché poi... il mio comodino ha molti piccoli cassetti... :))

Nella tua borsa...
Non molte cose. Non sono quel tipo di persona che si porta dietro la casa negli spostamenti. Direi che il bagaglio leggero mi si confà di più. Il taccuino e la macchina fotografica (fotografare e annotare sono le mie principali manie) sono gli unici oggetti - in più - che non mancano mai.
Però, se porto via poche cose da casa, ne raccolgo spesso per strada. E dunque è possibile che nella mia borsa ci siano: una foglia, un guscio di conchiglia, un sasso levigato, un piccolo ramo.

Dalla tua finestra...
Un giardino piccolo, ma lussureggiante, misterioso, boscoso, che cambia continuamente nel corso del giorno, nel corso dell’anno.

Prima di spegnere la luce...
Mi guardo attorno. Come per non dimenticare le forme che ho attorno nel buio.

Il tuo motto (se ne hai uno)
In realtà non ho un motto prediletto, né mio né di altri. 
Se una frase mi colpisce - o mi torna in mente - posso adottarla per un po', passando amabilmente da Woody Allen a Dante.
Giorni fa mi è tornata in mente questa, che per l'occasione ti lascio con un grazie, e un saluto ai tuoi lettori: la bellezza salverà il mondo.

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Ecco dove potete trovare Tiziana:

e presto, se si deciderà (e noi tutti speriamo che si decida!), anche su Etsy (vero, Tiziana?)


A presto!

lunedì 2 gennaio 2012

Di misteri imperscrutabili, di caldaie capricciose e di una zuppa al curry

Eccoci qui. 
Questo famoso 2012, preceduto da molte e pittoresche leggende, è arrivato e, almeno in questa casa, non si è presentato nel migliore dei modi.
Il suo biglietto da visita è stato una caldaia in tilt, con tutti i corollari del caso: acqua fredda e termosifoni spenti.

Ora, io e la Spia qualche buona qualità l'abbiamo di sicuro, ma tra i nostri pregi non annoveriamo certo un'intelligenza tecnica, per così dire: metteteci tra le mani un manuale di istruzioni di qualunque aggeggio (dal televisore all'aspirapolvere, dal cellulare al bollitore) e tutta la nostra familiarità con le parole svanisce. 
Non capiamo che una frase su 4 e la cosa ci innervosisce terribilmente.

Comunque, dopo una giornata trascorsa a imbestialirci cercando di comprendere l'astrusissimo manuale delle istruzioni della caldaia, a temere una serata gelida e una notte marmata e a coprirci progressivamente sempre di più, quasi all'ora di cena, come se niente fosse, proprio quando, con indosso due maglioni, sciarpa e berretti ci eravamo rassegnati alla nostra condizione di impotenza e ignoranza, la caldaia ci ha graziati e ha ricominciato a fare quel che deve fare, misteriosamente così come aveva smesso.

Io e la Spia, davanti a quel quadro comandi di nuovo funzionante, avevamo di certo la stessa espressione attonita, riconoscente, incredula e reverente che deve aver avuto il contadino egizio del 3000 a.C. davanti alla piena del Nilo, ogni anno attesa, sperata, necessaria, vitale, ma mai sicura.

Se dunque da questo simpatico aneddoto si può trarre una qualche morale, è forse questa: accettare umilmente la propria impotenza (non si può esser capaci di tutto), mai disperare e soprattutto confidare nella bontà altrui (delle persone, della natura, dell'universo, di Dio, di una caldaia; mettetela come vi pare).

Comunque, va bene confidare, ma è sempre meglio fare quel che è nelle proprie possibilità. 
E dunque, in previsione di una serata gelida, avevo preparato un'ottima zuppa dagli effetti riscaldanti.
Una zuppa insolita che mi è piaciuta subito moltissimo e che vi passo fiduciosa: è leggera, decisamente ipocalorica, ma al tempo stesso sostanziosa, nutriente, soprattutto se servita con del buon pane tostato.

Io, che non ho mai amato le zuppe (le "sbrode", come le chiama con una punta di disprezzo l'amata suocera, ché anche lei, come me, preferisce cibi più sostanziosi e nei quali affondare i denti, piuttosto che pietanze liquide da sorbire con il cucchiaio), sono stata recentemente presa da grande curiosità esplorativa nei loro confronti e ho deciso che ne voglio provare di nuove. 
Aspettatevi dunque una serie di sbrode varie e variopinte.

Cominciamo con questa, presa dal ricettario Cranks (la famosa catena anglosassone di ristoranti vegetariani), regalo di una mia vicina di casa di tanti anni fa, una signora inglese che più inglese di così non si poteva, nota per i suoi pranzi a base di verdure bollite "beyond recognition", direbbe la cara Nigellona, cioè talmente bollite da diventare irriconoscibili e suscitare in chiunque si trovasse al loro cospetto sentimenti di grande avvilimento e costernazione. 
Speriamo che in questi anni Lesley abbia imparato (almeno un po') a cucinare.

Una parola sul nome della zuppa, Mulligatawny
Reminiscenze varie e una breve ricerca in rete mi hanno consentito di capire che questa zuppa è simile alla Mulligatawny soup come io posso essere simile a un coreano, cioè quasi per nulla.
La Mulligatawny è infatti una zuppa anglo-indiana, ovviamente speziata, in genere a base di carne di pollo o di agnello (ma non necessariamente), spesso arricchita di riso, di cui si conoscono infinite varianti.

Perché su questo ricettario abbiano chiamato così questa zuppa è un mistero. 
Un altro di fronte al quale taccio, un po' come di fronte ai comportamenti imperscrutabili della caldaia. 
Tout se tient, come vedete.

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Mulligatawny soup (insomma; ci siamo capiti, comunque) da The Cranks Recipe Book, leggermente modificata

per 4 persone (o una Spia e una Papera bisognosi di sbrode calde e corroboranti)

1 carota
1 cipolla
1 patata
1 mela (se possibile asprigna; io ho usato una Steinem)
1 cucchiaio d'olio
1 spicchio d'aglio, schiacciato
1 cucchiaino di curry (nella versione originale 1 cucchiaio; per me è un po' troppo, ma fate voi)
300 ml di passato di pomodoro
circa 700-800 ml di brodo vegetale

Mi piacciono le minestre semplici da preparare, che praticamente si fanno da sole e questa, come tutte quelle del ricettario Cranks, lo è.

Tagliate a pezzi la cipolla, la carota, la mela e la patata.
Mettetele nella pentola con il cucchiaio d'olio e fate cuocere fino a quando la cipolla comincia ad ammorbidirsi e a diventare trasparente.

A quel punto aggiungete lo spicchio d'aglio schiacciato e il cucchiaino di curry e cuocete, mescolando, per circa 2'.

Unite poi gli ingredienti liquidi: passato di pomodoro e brodo vegetale.

Portate a bollore, abbassate il fuoco, coprite e lasciate cuocere per circa 30'.

Fate raffreddare un poco, poi usate il frullatore ad immersione.

Riscaldate ancora se pensate si sia freddata troppo, aggiustate di sale (se il caso) e servite.

Enjoy!

martedì 20 dicembre 2011

Di gironi danteschi e di come farsi piacere il riso integrale

Qualche post fa sacramentavo contro il Natale, o meglio, contro la sua mercificazione, e me la prendevo con quella specie di orgia consumistica che è stato fatto diventare.

In questi giorni - e penso che nessuno che mi conosca un poco possa stupirsi di sentirmelo dire - ho evitato il più possibile di uscire. 
Vivo vicino ad una via che in città è abbastanza nota perché piena di negozi e che nei momenti tragici dell'anno (durante i saldi e a Natale, appunto) diventa un vero e proprio girone dantesco, affollata fino all'inverosimile di macchine e pedoni mediamente isterici: impossibile anche solo pensare di camminare sui marciapiedi. 

Ma stamattina non ho potuto esimermi e ho affrontato il supermercato del quartiere psicologicamente bardata come se, metaforicamente parlando, partissi per una spedizione polare.

Devo ammettere, però, che alla fine la missione è stata meno penosa di quanto mi aspettassi (e devo ricordarmene più spesso, di essere meno catastrofista in queste cose); sì, è vero, il supermercato era pieno di gente che come me si aggirava per lo più in stato confusionale tra gli scaffali, ma c'era una bella atmosfera e si capiva bene che eravamo tutti lì con in mano liste più o meno chilometriche di ingredienti per cenette festive pre-natalizie e a me questa cosa ha messo allegria.

Mi ha messo allegria il pensiero che quest'anno così difficile (insieme a quelli che verranno e che tutto fa pensare saranno altrettanto difficili, se non di più) possa indurci a riscoprire davvero il significato della parola condivisione; mi piace pensare che invece che tanti regali inutili e comprati tanto per comprare qualcosa quest'anno le persone si scambino qualcos'altro, per esempio una bella serata di autentica, gioiosa, partecipata compagnia, durante la quale mangiare insieme cibi sani, buoni, preparati con cura, con attenzione, con coscienza.

Io ho pensato che per una di queste cene preparerò sicuramente questa ricetta, che ho trovato in un bel libro delle edizioni Terra Nuova, Mangia sano e spendi poco, di Michela Trevisan, e che ha il grande merito di avermi fatto in parte riappacificare con il riso integrale, che normalmente faccio grande fatica a trovare appetibile. 
Mentre la pasta la mangio integrale da anni, il riso mi è sempre sembrato un cibo punitivo da flagellanti, sicuramente perché non sono capace di cucinarlo.

Ma così com'è in questa insalata tiepida mi piace.
Forse sapete quanto mi piaccia cambiare idea sulle cose (su alcune cose); mi sembra sia un privilegio legato alla maturità che avanza, quello di decidere di permettersi di cambiare idea, e sicuramente è per me un segno di apertura e di curiosità. 
E dunque sempre un buon segno.

****

Insalata di riso, zucca, mele e noci

(per due persone)

5 pugni di riso integrale (circa 130-140 gr, o un po' meno di una cosiddetta cup)
una quantità doppia di acqua  (cioè un po' meno di 2 cups)
una piccola zucca butternut (più o meno 300 gr di polpa pulita)
2 mele piccole
6 noci
aceto di vino (io ne ho usato uno che compro col gas da un piccolo produttore modenese, un aceto di vino tagliato con del mosto d'uva concentrato; una roba che trovo buonissima e dalla quale sono ormai dipendente)
olio
sale e pepe

Preparate prima il riso, se non ne avete di già pronto (la ricetta nasce infatti proprio per utilizzare del riso già cotto e avanzato). 

Ora, c'è chi prima di cuocerlo lo lava e chi non lo fa. 
Alcuni dicono che lavandolo si perdono delle sostanze preziose, altri che invece è necessario per eliminare eventuali impurità. Per onestà devo confessare che io non lo lavo solo perché sono una sciatta pigrona e non per un motivo preciso.

In pentola a pressione impiega circa 25' dal fischio.
Quando è pronto mettetelo da parte.

Intanto pulite e tagliate a piccoli dadi la polpa della zucca. Passatela in padella a fuoco vivace con un cucchiaio d'olio e del sale; dopo qualche minuto aggiungete anche la mela, sempre tagliata a dadini.
Non c'è bisogno di cotture prolungate: meno di 10' e dovreste aver fatto.

Nel frattempo tostate le noci a secco in un padellino.

A questo punto siete pronti: trasferite il riso ancora tiepido nel piatto, copritelo con la dadolata di zucca e mela, l'aceto (regolatevi voi), un altro po' di olio a crudo, eventualmente altro sale, sicuramente un po' di pepe, e infine le noci.

Enjoy!

giovedì 15 dicembre 2011

Blogroll: Giacy.nta

Dovrebbe essere ormai chiaro che sono curiosa come una scimmia.

Quando qualcuno mi piace, mi interessa saperne (quasi) tutto il possibile.

E più conosco e più voglio conoscere; perché, a parte rari, disgraziatissimi (ma pur possibili) casi, sono convinta che più si approfondisce la conoscenza di una persona e più sia raro e difficile che questa persona si riveli noiosa o poco interessante.

Molti dei blog che mi piacciono, mi piacciono proprio perché sono ricchi di storie personali e di famiglia, di ricette, letture, riflessioni, provocazioni, ricordi, sfoghi, invettive; sono come affascinanti, complessi e ipnotizzanti caleidoscopi.

Ecco dunque una nuova rubrica, cui tengo moltissimo e su cui fantasticavo da tempo: una chiacchierata nel mio tinello-con-cucina virtuale con i blogger che mi piacciono, un questionario sulla falsa riga di quello proustiano tanto in voga in un noto settimanale, ma a misura mia e della mia insaziabile curiosità papero-scimmiesca, una batteria di domande e di “imbeccate” cui mi auguro non sia troppo penoso rispondere.

Soprattutto, un modo giocoso, leggero e (almeno nelle intenzioni) affettuoso di conoscere meglio chi c'è dietro un blog, proprio quando spegne il pc.

Spero vi piaccia ascoltare nuove storie insieme a me.

La prima di queste storie - e per molti diversi motivi ho saputo fin dall'inizio che sarebbe stata la sua - è quella di Giacy.nta, che ringrazio particolarmente per aver accettato di raccontarcela, perché so che non ama molto parlare di sé. 
In realtà nel suo blog lo fa, ma scegliendo con gusto e sapienza immagini, parole e musica che indirettamente raccontano di lei e della sua vita e condividendo con quanti la leggono spunti e stimoli mai banali, mai scontati, di grande suggestione e fascino e spessore.


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Una definizione del tuo blog: 
Ciò che resta di un secondo (quello in cui ho cliccato su "inizia", crea il tuo blog. 

Perché hai cominciato a scriverlo: 
Passo la domanda a una domenica noiosa di fine stagione (uno degli ultimi giorni di febbraio, per la precisione).

Quali sono stati i primi blog che hai letto: 
Nonblog di Habanera e Il mestiere di scrivere. Il primo, un blog collettivo, ha purtroppo smesso di pubblicare proprio nei giorni in cui Giacy.nta, persa nell'etere, iniziava a guardarsi intorno in cerca di amici.

Un bel ricordo della tua vita da abitante della blogosfera: 
Naturalmente l'avvistamento di una leggiadra papera in volo nell'etere con un carico di preziosi manufatti, libri, canzoni, torte...! :-)

Te, oggi, in tre aggettivi:
Sceglili tu per me, non ne trovo. Se vuoi, te ne suggerisco uno: vaga :-)

Te, bambina, in un ricordo o un'immagine:
Mi vedo a immaginare storie distesa sulla cassapanca a casa dei nonni (col pollice in bocca e una mano al lobo dell'orecchio destro).

Il momento più felice della tua vita:
(grazie non so chi, forse a me) Non è ancora arrivato.

Il regalo più bello che hai ricevuto:
Sai che devo pensarci? Mi viene in mente un libricino grigio della Rizzoli che mi fece trovare mio padre sul comodino, Vita di Beethoven. Mi piacque il fatto che si fosse materializzato lì, quando proprio non me lo aspettavo. Iniziai a girarci intorno... indugiavo; poi lo aprii e comincia a leggerlo. Non era ciò che immaginavo, le lettere sulle pagine erano piccole e fittissime. Non ho mai terminato la lettura.

Il dono o il talento naturale che vorresti avere:
Suonare uno strumento musicale, il violoncello.

Una persona che in qualche modo ti ha formato:
Mio padre e alcuni personaggi di alcuni libri; non ti dico quali, però.

Libro dell'isola deserta:
Questa è la domanda più difficile. Forse un libro con un po' di pagine bianche nel mezzo (prendo in prestito un'idea di Michael Collins).

Canzone preferita:
Non ne ho una, sono tante, lo sai. In questo preciso momento sto ascoltando Tim Buckley (Carnival Song).

Film culto: 
Non ne ho uno, sono tanti, lo sai. :-) Ho una predilezione per Tim Burton.

Un profumo: 
Di terra, di bosco. 

Un oggetto: 
La creta da modellare.

L'ultima cena del condannato:
Questa è la domanda che mi ha fatto accettare più che volentieri l'intervista. Adesso però non so cosa rispondere :-(
Allora... Direi una bella panzanella con pane, olio, tanto basilico, pomodoro.
In alternativa, la tavola imbandita della piccola fiammiferaia (tra condannati...).

Neanche con una pistola puntata alla tempia mangeresti:
Selvaggina, si sente l'odore dei pallini.

Nessuno può resisterti quando in cucina...
Mi do da fare seriamente. Se poi la domanda è fatta per estorcermi una ricetta...

Nel tuo frigorifero non manca mai:
Frutta.

Momento del giorno prediletto:
Sicuramente il tramonto.

Un bel modo di morire:
Leggendo Paradise Lost, oppure durante un sogno o, meglio ancora, facendo sognare qualcuno.

Quando sei sovrappensiero (tic, gesti tipici)...
Sono sovrappensiero... non so :-)

Dalla tua finestra:
Palazzi verdi, montagne, nuvole dai colori mozzafiato.

Sulla tua scrivania:
Ti allego una foto, faccio prima.



Sul tuo comodino:
Un armadillo di legno, una microsveglietta, una scatola di lacca con gioiellini (anche una papero-collana e papero-orecchini bellissimi), un piattino ocra e rosso. Non ci sono libri, perchè non leggo quasi mai a letto, ma distesa sul divano. Se vuoi sapere cosa sto leggendo adesso, l'indirizzo lo conosci: http://giacynta.blogspot.com/

Nella tua borsa...
Ti dico solo che per trovare qualcosa bofonchio improperi (verso me stessa) per una durata non inferiore al minuto.

L'angolo della tua casa che ami di più:
Quello in cui leggo. Da qualche tempo anche questo...


Il viaggio dei tuoi sogni:
Dappertutto e ritorno. Ci vado spesso sognando, soprattutto ad occhi aperti.

Da grande avresti fatto (ovvero sia: il lavoro che volevi fare da bambina):
La scrittrice o l'istitutrice/governante (non avevo le idee chiare).

Da grande farai (ovvero sia: il lavoro che vorresti fare oggi, indipendentemente da considerazioni pratiche, realistiche ed economiche):
La regista o la pasticcera (continuo a non aver(le) chiare... le idee, intendo).

Il tuo motto (se ne hai uno):
FREEDOM.

lunedì 12 dicembre 2011

Tutto è grazia di Adriana Zarri

Da quando ho letto Un eremo non è un guscio di lumaca, Adriana Zarri è diventata per me una figura familiare, presente, rassicurante e affettuosa come dovrebbe essere un parente, o un amico.

Grande è stata dunque la mia gioia quando ho saputo che era stato pubblicato questo libro, che raccoglie un'intervista fattale poco prima della sua morte.

Mi aspettavo, però, qualcosa di diverso e di più.

Prima di tutto, mi è parso un libro quasi esclusivamente incentrato su tematiche riguardanti la Chiesa cattolica e in essa oggetto di dibattito - argomento che a me, che non sono cattolica (e, anzi, ho moltissimi motivi di perplessità se non di indignazione nei confronti di questa istituzione), interessa il giusto, cioè quasi nulla.
Soprattutto mi sembra che la voce della Zarri si senta poco, coperta quasi sempre da quella del suo intervistatore che cita libri, altri autori e lascia in definitiva poco spazio alle parole di questa incredibile figura di monaco donna.

Ho dovuto fare uno sforzo e concentrarmi molto sulle poche righe destinate a queste parole e sono stata in parte ricompensata; ne ho trovate di belle, ispiratrici e nutrienti, piccole gemme luminose, riflessioni brevi e intense, per esempio sul peccato:
C'è poi il peccato come rottura di donazione, di comunione. Il peccato è andare contro Dio e contro il volere di Dio, ma a me non piace questa parola. Meglio contro l'amore.

o sulla diversità e l'uguaglianza che devono e possono coesistere:

Perché c'è la pluralità che non è in contrasto con la varietà e la varietà che non è in contrasto con l'uguaglianza. Quello che è da deplorare non è la varietà, è l'appiattimento, l'essere piccoli, tutti uguali, della stessa misura, dello stesso stampo. Noi anziché la fraternità che è uguaglianza nella diversità adoriamo la clonazione, uno stampino unico con cui ci riproduciamo.
(...)
         Quindi ci dovrebbe essere più rispetto, gli uni verso gli altri...
Sì, non solo il rispetto: quello è un secondo momento, ma il riconoscimento della necessità di questa varietà. Poi quando si riconosce questa necessità il rispetto viene di conseguenza.
Mi è rimasta, però, la spiacevole sensazione di un'occasione sprecata.
Peccato.


Adriana Zarri, Tutto è grazia. L'ultima intervista con Domenico Budaci, Aliberti Editore 2011.

domenica 4 dicembre 2011

Sunday Music: December - Norah Jones

Era tanto tempo che pensavo a questa rubrica, da me molto amata.

E oggi ho proprio sentito di voler aggiungere una sua puntata, con questa canzone di Norah Jones.

Perché mi piace - ovviamente - e anche perché parla di questo mese che è appena iniziato e al quale, forse perché è quello in cui sono nati molti cari amici e sono nata anch'io, sono da sempre molto affezionata.

Lo so bene che è tra i più bui e freddi (ma non quest'anno, pare; almeno qui); sicuramente è quello più delirante e concitato e fracassone, con il suo corredo tutto porporina e neve finta di presepi, alberi, babbi Natale e soprattutto soldi spesso spesi male e senza pensarci, per acquistare regali raramente scelti con attenzione e con cura, quasi sempre superflui se non inutili, a volte addrittura dannosi.

Non parliamo poi - nota ancor più dolente, dolentissima - della retorica smielata e ipocrita che in questo periodo dell'anno fiorisce ovunque e si nutre dell'idea più trita e superficiale della famiglia, della bontà svilita a buonismo, del perdono etc etc.

Oggi non voglio pensare al lato oscuro - questo sì, davvero - di dicembre; c'è tempo per farlo - e anzi,  aspettatevi un altro post sull'argomento, probabilmente etichettato "la papera inveisce".

Oggi soprattutto non voglio pensare allo scempio che ogni anno vedo fare di atmosfere, stati d'animo ed emozioni che per fortuna hanno la loro stagione eterna nel mondo sospeso delle fantasie della mia infanzia (ed è un vero miracolo, a pensarci, che siano sopravvissuti intatti e magici e meravigliosi).

Voglio invece pensare a quel lato di dicembre che, nel momento stesso in cui apparentemente soccombe al buio e al freddo, celebra già il primo lento, misterioso, nascosto germogliare della luce, della vita, del rinnovamento.

È con questo pensiero che auguro buona domenica a tutti!




martedì 22 novembre 2011

Di indigeni della Paupasia, di ritorni a casa e di una torta con le pere e le nocciole (ma anche le mandorle e il cacao)

L'autunno ha, tra i suoi mille motivi di seduzione per me, anche quello - fondamentale - di essere la stagione in cui trascorro sempre un po' di tempo in quel di Milano.

Risparmierò a chi legge l'ennesima mia dichiarazione d'amore e devozione per quella che considero, a tutti gli effetti, la MIA città.

Dirò soltanto che, ogni volta che ci vado, finisco per rimanere totalmente disconnessa dal mondo e dal web, neanche soggiornassi in una capanna su un albero nel folto della più remota jungla della Paupasia, ospite di un indigeno. 
Invece sto dalla suocera, che però, per certi versi - absit iniuria verbis - è in effetti più lontana da qualunque parvenza di tecnologia di un qualunque abitante di quelle regioni lontane.
(Lo metto tra parentesi: colgo l'occasione per scusarmi con quanti, non sentendomi più, hanno pensato io fossi emigrata o fossi stata rapita dagli alieni: niente da fare, purtroppo per voi).

Ne ho come al solito approfittato per trascorrere il tempo in maniere oltremodo piacevoli, come incontrare amici che sono lontani geograficamente ma assai vicini al mio cuore,  chiacchierare e passeggiare con la suocera, godermi i suoi sontuosi manicaretti, cucinare insieme a lei e alla nipotina 6enne (esperienza interessante, da tenere a mente qualora volessi farmi venire un esaurimento nervoso nel minor tempo possibile: com'è difficile cucinare in una cucina che non è la propria, senza i propri attrezzi; se  poi lo si fa cantando anche canzoncine dell'asilo e cercando di evitare che suocera e nipote diano fuoco alla cucina e anche al gatto è un'impresa quasi eroica).

Anche così, però, è stato molto bello tornare a casa, alla mia quotidianità, e ritrovare tutti i miei riti familiari, anche quelli di cui farei a meno - per esempio la corvée settimanale alla tavola da stiro (la Spia non stira mai perché dice che soffre di schiena; dice).

Sempre mi piace, soprattutto, tornare in cucina e fare una torta per la colazione, questa volta con delle pere e - ancora?! - degli albumi provenienti, come saprete già, dalle gelide profondità del mio freezer.

La torta è presa da Rachel's Favourite Food at Home di Rachel Allen, e in realtà prevede l'uso di pere e farina di mandorle. Ma la prima volta che l'ho fatta di mandorle non ne avevo. In compenso avevo una tonnellata di nocciole, buone, comprate al biomercato del quartiere da una signora emiliana che parla come Guccini e comunica con il nostro gas da un indirizzo di posta elettronica che suona più o meno "la tigre del ribaltabile" (non insinuo niente; mi perplimo, però).

Non so se pere e nocciole sia un abbinamento classico o no. A me è piaciuto moltissimo e ho deciso che d'ora in poi sarà un classico della mia cucina.

Benché con le nocciole, le mandorle a lamelle (di quelle ne avevo, un paio di cucchiai) sopra le ho messe lo stesso, perché mi fanno allegria e mi piacciono sempre. 
Nella versione alle nocciole, inoltre, nell'impasto ho aggiunto anche un paio di cucchiai di cacao amaro, perché mi andava e perché con le nocciole e con le pere il cacao ci sta benissimo.

Ho rifatto questa torta anche con le mandorle e il cacao e con le mandorle e la buccia di limone, come dovrebbe essere, e ho deciso che a me piace di più la mia versione. 
Ma tra parentesi metto anche quella originale (modificata nella quantità di burro e zucchero, ma sostanzialmente identica a quella del libro).

Vi siete persi? 
Vi pare che - come si dice a Roma - io l'abbia un po' buttata in caciara?
Niente paura. 
Leggete con calma e fiducia: si tratta di una torta facilissima (e moooolto buona).

****

Pear and Almond (ma in realtà Hazelnut) Tart

(per una tortiera di 23-24 cm di diametro)

125 gr di zucchero a velo
50 gr di farina 0
100 gr di farina di nocciole (nella versione originale: di mandorle)
2 cucchiai di cacao amaro (per la versione alle mandorle si possono sostituire con la buccia finemente grattugiata di un limone)
5 albumi (tadà! in un colpo solo!)
125 gr di burro, sciolto
2 pere, pulite, divise in quarti e tagliate a fettine sottili
25 gr di mandorle a lamelle (facoltative nella versione con nocciole e cacao; ma ci stanno bene)
zucchero a velo per servire

Preriscaldate il forno a 200°, imburrate e infarinate la tortiera.
In una ciotola setacciate lo zucchero a velo, la farina e il cacao, se lo usate. 
Aggiungete la farina di nocciole (o di mandorle; se usate queste ultime e non il cacao unite anche la buccia di limone).
In una seconda terrina sbattete con le fruste elettriche gli albumi per circa un minuto: devono solo cominciare a schiumare, non dovete fare una meringa. Aggiungeteli agli ingredienti secchi insieme al burro sciolto e amalgamate tutto.

Versate l'impasto nella tortiera e disponeteci sopra a raggiera (io non ci riesco mai, neanche per sbaglio) le fette di pere. Potete, se volete, decorare con le mandorle a lamelle.

In forno per circa 15', poi abbassate la temperatura a 180° e proseguite la cottura per circa 20'-25' (controllate dopo 15', però; ogni forno è una creatura a parte; a volte nel mio questa torta è pronta dopo 20', altre volte dopo 25').

Prima di servirla, decoratela con dello zucchero a velo setacciato.

Enjoy!




lunedì 7 novembre 2011

Di lezioni e maestri e di una torta al cioccolato e nocciole

Qualche sera fa io e la Spia abbiamo avuto dei cari amici a cena, amici per i quali è un piacere cucinare, di quelli che apprezzano la qualità (e anche la quantità!) del cibo che offri loro, di quelli che è un piacere vedere seduti intorno alla tua tavola e con cui discetti per intere mezz'ore di ricette, procedure, dosi, ingredienti - il genere di conversazione che adoro.

Volevo preparare un dolce al cioccolato che non avevo mai provato, una ricetta che mi ispirava da tempo, semplice, non elaborata, con le nocciole, che mi piacciono tanto.

La procedura era insolita e a metà della preparazione ho pensato che sarebbe stato un disastro: quel che doveva essere un composto più o meno omogeneo assomigliava a tutto tranne che a un composto, una visione non proprio incoraggiante che non lasciava sperare niente di buono.

Per un attimo la Francesca Bertini che è in me (ricordate? era un'attrice del cinema muto famosa per le scene madri durante le quali, generalmente, si aggrappava a tende e tendaggi in preda alla disperazione) ha preso il sopravvento. 
Poi, grazie anche alle parole rassicuranti della Spia - che prima di darsi per vinto, in effetti, attende sempre prove inconfutabili della catastrofe - ho deciso di andare avanti e ho fatto bene. L'aggiunta degli albumi montati ha salvato la situazione: il composto è tornato ad essere un composto e non un accrocco indefinibile che avrebbe potuto essere quasi qualunque cosa.

Circa 2 ore dopo, mentre i miei ospiti si servivano per la seconda volta di questa torta, ho riflettuto tra me e me su quanto poco ci voglia, a volte, per farsi prendere dallo sconforto, per dichiararsi sconfitti, per saltare a conclusioni pessimistiche - magari frettolose, superficiali.

E su quanto invece, spesso (non sempre, ma spesso), sia solo questione di tempo e speranza.
Si può decidere di avere fiducia e continuare a fare ciò che si deve fare; si può scegliere di mettere a tacere la mente, non farsi trascinare dal panico, concentrarsi sui gesti, fare un passo alla volta.
E le cose si mettono a posto.

Incredibile come da una torta di cioccolato e nocciole si possa trarre una lezione di vita.
Anzi, no. Non incredibile. Io ormai credo di aver capito che le lezioni - se si sia disposti ad ascoltarle - possono giungere praticamente da qualunque cosa. 
È un pensiero confortante, non trovate?
Se l'allievo è pronto, dicono in Oriente, il maestro arriva.

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Chocolate truffle tart with hot chocolate da Falling Cloudberries di Tessa Kiros

(per una tortiera di 20 cm di diametro)

100 gr di burro
100 gr di zucchero (io ho usato il golden caster sugar del commercio equo)
100 gr di cioccolato fondente al 70%
3 uova
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
60 gr di nocciole finemente tritate (nella ricetta originale: 40 gr di nocciole e 20 di farina)

In un pentolino, a fuoco dolcissimo, fate fondere il burro con lo zucchero e il cioccolato tagliato a pezzetti. In teoria, lo zucchero dovrebbe sciogliersi: a me non è successo, benché abbia mescolato per parecchio tempo.
Ma non preoccupatevi: la granulosità del composto non influirà sul risultato finale della torta, credetemi.
Quando il burro e il cioccolato sono fusi e lo zucchero è parzialmente dissolto spegnete il fornello e mettete da parte per una ventina di minuti.

Nel frattempo preriscaldate il forno a 180° e imburrate e infarinate la vostra tortiera.

Separate le uova e aggiungete i rossi e il cucchiaino di vaniglia al composto di burro, cioccolato e zucchero, poi unite le nocciole e mescolate con le fruste.

A questo punto probabilmente vi ritroverete di fronte lo spettacolo che mi ha tanto turbata l'altro giorno: invece di un composto fluido e amalgamato avrete infatti un ammasso di materia bitorzoluta e completamente slegata. 

Prima di maledire me, i miei antenati e la mia progenie - che ancora non c'è, per la cronaca, e dubito a questo punto ci sarà mai - date retta a me, montate le chiare a neve ferma e poi aggiungetele delicatamente al blob inquietante che vi turba: cucchiaiata dopo cucchiaiata vedrete che le cose miglioreranno, il composto comincerà ad assomigliare sempre più a un composto, che alla fine dovrete solo travasare nella tortiera imburrata e infarinata.

Cuocete per circa 35', poi lasciate raffreddare.

Secondo la ricetta, la torta va servita con una cioccolata calda fatta con 375 ml di panna e 100 gr di cioccolato. 
Io ho optato per una sorta di ganache, più sostenuta, con più cioccolato che panna (circa 130 gr per 110 ml, se non ricordo male: l'ho preparata con il figlio 3enne dei nostri amici, in un'atmosfera piuttosto movimentata! ma voi andate tranquilli, a occhio).

Enjoy!

martedì 1 novembre 2011

Di responsabilità individuali e di un'insalata di cavolo rapa

E bene, l'autunno sembra essere ufficialmente qui. Ed  io ne sono assai compiaciuta.

Lo sono un po' meno, molto meno, pensando ai disastri che le sue piogge torrenziali hanno prodotto in Lunigiana e nelle Cinque Terre. 

Ascoltavo giorni fa il sempre caro Luca Mercalli che, con grande equilibrio ed obiettività, distingueva situazioni nelle quali la differenza l'hanno fatta l'incuria e soprattutto l'incosciente tendenza a cementificare territori fragili e particolarissimi come quelli ed altre nelle quali la differenza l'ha fatta l'eccezionale portata delle precipitazioni (in 6 ore sono caduti i millimetri di pioggia che in genere cadono in un anno ad Aosta). 

Chiaro che i cambiamenti climatici hanno dietro di sé anche responsabilità umane, dunque sempre lì si torna.
Al fatto che il momento di pagare il conto per il modo irresponsabile e suicida con il quale abbiamo finora gestito questo pianeta che ci ospita come se fosse solo nostro è arrivato, e il conto è salato, molto salato, com'è giusto che sia.

Il fatalismo e la sfiducia con i quali discorsi tanto seri e tanto importanti vengono affrontati mi lasciano spesso senza parole.
È per me sempre fonte di stupita incredulità accorgermi di quanto, in un mondo come il nostro, così inebriato di individualismo, di fronte a certe questioni si sia prontissimi ad abdicare alla propria responsabilità individuale, rifugiandosi in una strategica impotenza.

Non ho mai creduto che il singolo non possa fare la differenza; non ho mai sentito che come singoli si sia incapaci di fare la propria parte. 
Io credo che come individui si sia sempre e comunque responsabili della propria vita e delle proprie scelte - e non è poco, a ben guardare; è tutto. 

Da diversi anni cerco di vivere una vita responsabile, di limitare al minimo i consumi, gli sprechi, gli eccessi, tutto ciò che è inutile e dannoso. Non sempre ci riesco, ma non smetto mai di provarci, sempre di più, spostando sempre un centimetro più in là il mio limite.
Senza isterismi, atteggiamenti snobistici e compiaciuti da stilita o tentazioni di apostolato fanatico. 
Semplicemente questo è il modo che, negli anni, ho capito essere quello che più si avvicina alla mia idea di "buona vita". 

Non mi sforzo di ricordarmi che se sono in cucina è inutile che la luce in camera da letto sia accesa; non mi pesa chiudere il rubinetto della doccia mentre mi insapono per riaprirlo poi quando mi devo sciacquare. Non mi sembra strano evitare di comprare le arance spagnole quando posso aspettare quelle italiane e nel frattempo godermi altra frutta buona di stagione. 
Non mi sento deprivata per questo e non sento di avere atteggiamenti autopunitivi, al contrario. 

Anche solo preparandomi un'insalata invernale, godendo dei frutti che la terra naturalmente produce in questo momento dell'anno, sento di fare la mia parte e di rispondere a leggi antichissime e sane, che parlano di raffinati e al tempo stesso primitivi e necessari richiami tra il nostro corpo e i cicli della natura.

Ed io questa non la chiamo solo responsabilità. 
La chiamo anche, e soprattutto, felicità. 

***

Insalata di cavolo rapa, pere e feta da Cavoli e zucche in cucina di Rosanna Passione

(per una papera di robusti appetiti)

un cavolo rapa non troppo grande
1 pera
feta (io ne ho usata più o meno un etto, forse meno; insomma, regolatevi ad occhio)
noci (io ho usato quelle dell'Amazzonia del commercio equo e mi sembra ci stiano benissimo)
olio extra vergine d'oliva
aceto balsamico
sale e pepe
erba cipollina (nella ricetta originale non c'è, ma a me piace molto, anche in barattolo)

Pulite il cavolo rapa, dividetelo più o meno in ottavi - difficile che siano proprio ottavi, il cavolo rapa è in genere bitorzoluto e di forme eccentriche (e per questo mi sta istintivamente molto simpatico) - e poi ricavate da questi pseudo-ottavi delle fettine sottilissime. Vi consiglio di usare una mandolina seria per farlo (una mandolina seria è uno strumento indispensabile per l'accorta casalinga; conviene investire una piccola cifra nel suo acquisto, soprattutto se si amano le insalate).

Riunite in una bella insalatiera le fettine di cavolo rapa, la pera pulita e tagliata a dadini, la feta sbriciolata e le noci che avrete prima tostato a secco in un padellino.

Salate, pepate, condite con aceto balsamico e olio extravergine di oliva e un po' di erba cipollina.

Enjoy!