venerdì 3 settembre 2010

Nel regno di Acilia di Marco Baliani

Per chi ha avuto la fortuna di assistere ad un suo spettacolo, leggere questo romanzo significherà rinnovare, in un certo senso, la meravigliosa esperienza di ascoltare la voce di Baliani.

Da questo punto di vista, infatti, dalla prima all'ultima riga, questo libro è autentico e reale, nel senso che vi si ritrovano intatti il timbro e il ritmo della narrazione tipici di questo attore.

E per chi, come me, è nato e cresciuto a Roma, la storia assumerà subito un sapore di verità in più: la parlata, lo spirito della città, e soprattutto della sua periferia più povera e disperata, sono riprodotti con fedeltà assoluta, con rigore da filologo, da etnoantropologo, così come è resa con assoluto e dolente realismo la bruttezza quasi dolorosa di quel che resta delle campagne subito intorno a Roma, di quelle rive spelacchiate e arse di rifiuti del Tevere dove tra canneti e ciuffi di erbe selvatiche si arrugginiscono carcasse di motorini rubati e lavatrici e si coprono di muffe e ragnatele sanitari abbandonati e poltrone sfondate.

Nessuna freddezza, però, nell'operazione. Nessun senso di compiaciuta artificiosità, anzi.
Baliani riesce nella difficile alchimia di costruire una storia unica, irripetibile, straordinariamente caratterizzata e splendidamente inserita in un contesto storico e geografico particolare e al tempo stesso rende questa storia un mito che qualunque lettore può sentire suo.

Siamo stati tutti bambini, e dunque più o meno ostaggi delle prevaricazioni degli adulti, della loro violenza o indifferenza, ammutoliti dall'impotenza e dall'ignoranza della vita, ma anche estatici visitatori di mondi magici e incantati popolati di esseri fatati alleati del Bene o del Male e sovrani assoluti di regni solo nostri, magari anche solo per una stagione, o per una notte, unici e prescelti interpreti e decodificatori di quel linguaggio misterioso e segreto parlato dalla natura che a volte, dal suo mutismo, affida proprio a noi messaggi che parlano di redenzione, salvezza, iniziazione.

(Marco Baliani è prima di tutto un attore, l'esponente più rappresentativo, insieme a Marco Paolini, del cosiddetto teatro di parola o di narrazione.

L'unico suo spettacolo che ho visto, Tracce, non prevede alcuna scenografia. C'è solo una sedia sul palco, illuminata da un faretto. Su quella sedia Baliani si siede all'inizio dello spettacolo e lì rimane, per più di due ore, senza interruzione. A parlare, a raccontare storie, miti, favole, a recitare poesie, a improvvisare, anche, ché il suo Tracce è uno spettacolo sempre diverso, che cambia a seconda della serata, del pubblico, dell'umore suo e dell'atmosfera che respira in sala.

Un teatro vivo, il suo, e reale, anche quando racconta le fiabe dell'infanzia, quelle degli orchi e delle vecchie streghe che vivono nel bosco, e permeato di grande tenerezza, a tratti, e anche di rigore, di malinconia e di umorismo.

Baliani è empatico con il pubblico, gli è vicino, lo coinvolge, lo ammalia, ma con rispetto, con garbo. Non fa il piacione, non ammicca, non strizza l'occhio a conquistare un consenso facile e un po' drogato che, subito dopo, lascia in chi lo ha accordato la sgradevole sensazione di essersi lasciato andare in modo sconveniente.

Uscita da quelle due ore e passa di spettacolo, ricordo di aver avuto la testa e il cuore ribollenti di pensieri, riflessioni, immagini; seduta nel buio del taxi mi ripassavo nella mente una lunga lista di libri e musica da trovare, leggere, ascoltare, in preda a un'estatica, feroce e gioiosa esaltazione. Baliani infatti è generoso: offre spunti a migliaia, lancia esche, apre prospettive nuove, inedite, annoda fili, tesse trame, crea connessioni, mostra disegni, percorsi, condivide.

Nei tempi squallidi e piccini in cui ci tocca vivere adesso, una serata così riconcilia con la vita e con il mondo, e restituisce allo spettatore riconoscente la speranza in ciò che ancora può essere una persona: un essere pensante, intelligente, ma soprattutto sensibile. Alla realtà che lo circonda, certo, ma soprattutto alla realtà interiore, sua e degli altri, cui cerca di tributare il rispetto che le è dovuto.)






Marco Baliani, Nel regno di Acilia, Rizzoli 2004.

4 commenti:

  1. Che bel post! Non conoscevo Baliani né il libro. Interessante il video che hai linkato. Forse il teatro di narrazione non è Il Teatro (così come ammette Baliani stesso) però fotografa la realtà in cui viviamo. Ottimo spunto. Grazie.

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  2. Ciao Barbara, sono contenta che questo post ti abbia fatto conoscere Baliani e ti abbia dato un nuovo spunto. È anche più di quanto mi proponessi scrivendolo!
    Un abbraccio

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  3. ciao Duck, hai visto che a Firenze c'è stato Paolini per Emergency??

    Clelia

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  4. @ Clelia: ho visto, sì! Ma io ora sono in Puglia! Peccato esserselo perso. A presto!

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