domenica 22 novembre 2009

Il re e il cadavere di Heinrich Zimmer

Ci sono alcuni libri per così dire self-service.

Libri che si possono leggere un po' a piacere. Una pagina qui, un'altra lì, un capitolo adesso ed un altro magari tra un anno.

Anche se letti in questo modo selvaggio ed arbitrario, non perdono un'oncia della loro potenza, della loro intensità, della loro capacità di investire il lettore con il loro carico di sapienza, saggezza, illuminazione.

A me pare che questo testo di Zimmer, curato da Joseph Campbell e pubblicato postumo nel 1948, sia uno di questi libri.

Dopo averne letto poco più della metà, arrivata alla parte in cui tratta dei miti indù, l'ho chiuso, dicendomi 'Finirò di leggerlo un'altra volta', per niente in preda ai sensi di colpa o all'inadeguatezza.

Invece poi ho spiluccato ancora, saltando paragrafi e soffermandomi su altri, in parte in modo del tutto casuale (ma che esista il caso, per me, è ancora tutto da dimostrare; soprattutto quando ci si imbatte in un libro come Il re e il cadavere), in parte seguendo qualche labile traccia, un nome, un rimando, una suggestione.

Ho tratto da questo libro ciò che mi serviva in questo momento. Riflessioni, immagini, citazioni, intuizioni. Trascritte tutte diligentemente in un quaderno (il libro è della biblioteca), for future reference, come dicono gli inglesi.

Innumerevoli le pagine che mi hanno colpita.

Parlando del mito e della sua perenne attualità (scrittura figurata che in un certo periodo fu la depositaria del nutrimento spirituale dei nostri antenati), Zimmer scrive che le generazioni passate che gli hanno dato vita sono ancora presenti in noi, non solo in senso spirituale ma anche fisico.

Sono nelle nostre ossa - a noi ignote; e quando ascoltiamo, anch'esse ascoltano. Mentre leggiamo, forse un qualche vago io ancestrale del quale non siamo consapevoli annuisce con approvazione all'udire di nuovo la sua vecchia storia, e si rallegra di riconoscere ancora una volta ciò che un tempo faceva parte della sua antica sapienza.
Questa continuità, questa eterna compresenza in noi di quanti ci hanno preceduti e del loro bagaglio inestimabile di conoscenza, sapienza, sensibilità, coraggio, mi ha colpita tantissimo.

Lo trovo un pensiero di grande consolazione e di grande conforto. Una conferma, per me, di quella certa bellezza che ha il mondo e che deriva dall'esistenza di un senso e di un significato. E dal nostro non essere mai veramente soli e spersi di fronte alla vita.

Raccomandato a tutti. Come una buona psicoterapia.

Heinrich Zimmer, Il re e il cadavere, Adelphi 1983, traduzione di Fabrizia Baldissera.

5 commenti:

  1. prendo nota, ancora una volta ! ;-) grazie !

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  2. ecco, questo è un libro al quale potrei abboccare anc'io.

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  3. Ciao fanciulle!
    Non si tratta ovviamente di una lettura 'amena', nel senso di una lettura d'evasione, come si suol dire. Anzi, confesso che ha impegnato intensamente e in modo quasi esclusivo i miei due neuroni, a tratti decisamente affaticandoli.
    Ma ne vale la pena, assolutamente.

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  4. Stamattina in autobus ho finito il libro che mi impegnava in queste settimane: prima di leggere questo tuo nuovo post ero orientata decisamente a Io avevo paura di Virginia Woolf, adesso però vacillo...
    Tu che dici? So che no sono comparabili, ovvio, te lo chiedo così, di slancio :)
    buon lunedì,

    wenny

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  5. Ciao Wenny,
    Il re e il cadavere è una lettura impegnativa e che richiede concentrazione. Stimola miliardi di riflessioni e pensieri. Dopo averlo letto, in un certo senso, si è un po' diversi da prima.
    Io avevo paura di Virginia Woolf non è niente di tutto ciò: è un libretto che si legge piacevolmente in breve tempo, interessante per un maniaco (o una maniaca, quale io sono) della Woolf.
    Due letture completamente diverse, come vedi.
    A te e soltanto a te, la scelta.
    Ciao cara!

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