
Un'autobiografia degli anni dell'infanzia e della giovinezza di Pamuk, ed insieme un omaggio appassionato e malinconico alla città in cui l'autore è nato e cresciuto, e dalla quale non è mai andato via, in un processo di identificazione assoluta per cui, parlando di sé, egli parla della sua città e viceversa.
Le vestigia (sempre più sbiadite e intristite dal passaggio del tempo e dall'incuria) di un passato splendido, glorioso e raffinato, convivono, ad Istanbul, col volto moderno, 'anfibio' di questa città che dall'Oriente ha sempre guardato all'Occidente in parte con invidia, ammirazione e desiderio di emulazione, in parte con diffidenza e col bisogno feroce e vano di preservare un proprio senso di incerta identità.
Accanto ai ricordi personali di Pamuk, che non riguardano solo il suo affettuoso rapporto con la città, ma anche e soprattutto la sua grande e complessa famiglia, le impressioni, gli aneddoti, le memorie di illustri ospiti di Istanbul, da Balzac a Nerval a Gautier.
Su tutto, una spessa coltre di malinconica rassegnazione di fronte ad un passato sontuoso ucciso secoli fa dalle logiche crudeli della storia e un'atmosfera da purgatorio, grigia e di un'opprimente tristezza, che le belle fotografie in bianco e nero contribuiscono a rendere reale e visibile anche al lettore che a Istanbul non abbia mai messo piede.
Ogni tanto, l'ombra pallida di un sorriso e un accenno di ironia rischiarano un panorama per lo più grigio e di un'opprimente tristezza.
Da evitare se si è in profonda crisi depressiva.
Orhan Pamuk, Istanbul, Einaudi 2006. Traduzione di Şemsa Gezgin.
Accanto ai ricordi personali di Pamuk, che non riguardano solo il suo affettuoso rapporto con la città, ma anche e soprattutto la sua grande e complessa famiglia, le impressioni, gli aneddoti, le memorie di illustri ospiti di Istanbul, da Balzac a Nerval a Gautier.
Su tutto, una spessa coltre di malinconica rassegnazione di fronte ad un passato sontuoso ucciso secoli fa dalle logiche crudeli della storia e un'atmosfera da purgatorio, grigia e di un'opprimente tristezza, che le belle fotografie in bianco e nero contribuiscono a rendere reale e visibile anche al lettore che a Istanbul non abbia mai messo piede.
Ogni tanto, l'ombra pallida di un sorriso e un accenno di ironia rischiarano un panorama per lo più grigio e di un'opprimente tristezza.
Da evitare se si è in profonda crisi depressiva.
Orhan Pamuk, Istanbul, Einaudi 2006. Traduzione di Şemsa Gezgin.
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