lunedì 24 agosto 2009

Istanbul di Orhan Pamuk


Un'autobiografia degli anni dell'infanzia e della giovinezza di Pamuk, ed insieme un omaggio appassionato e malinconico alla città in cui l'autore è nato e cresciuto, e dalla quale non è mai andato via, in un processo di identificazione assoluta per cui, parlando di sé, egli parla della sua città e viceversa.
Le vestigia (sempre più sbiadite e intristite dal passaggio del tempo e dall'incuria) di un passato splendido, glorioso e raffinato, convivono, ad Istanbul, col volto moderno, 'anfibio' di questa città che dall'Oriente ha sempre guardato all'Occidente in parte con invidia, ammirazione e desiderio di emulazione, in parte con diffidenza e col bisogno feroce e vano di preservare un proprio senso di incerta identità.
Accanto ai ricordi personali di Pamuk, che non riguardano solo il suo affettuoso rapporto con la città, ma anche e soprattutto la sua grande e complessa famiglia, le impressioni, gli aneddoti, le memorie di illustri ospiti di Istanbul, da Balzac a Nerval a Gautier.
Su tutto, una spessa coltre di malinconica rassegnazione di fronte ad un passato sontuoso ucciso secoli fa dalle logiche crudeli della storia e un'atmosfera da purgatorio, grigia e di un'opprimente tristezza, che le belle fotografie in bianco e nero contribuiscono a rendere reale e visibile anche al lettore che a Istanbul non abbia mai messo piede.
Ogni tanto, l'ombra pallida di un sorriso e un accenno di ironia rischiarano un panorama per lo più grigio e di un'opprimente tristezza.
Da evitare se si è in profonda crisi depressiva.

Orhan Pamuk, Istanbul, Einaudi 2006. Traduzione di Şemsa Gezgin.

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