domenica 31 ottobre 2010

Sunday Music: Við spilum endalaust - Sigur Rós

I Sigur Rós sono una mia scoperta relativamente recente.

E come accade tutte le volte che conosco qualcosa di nuovo che mi entusiasma, ne sono stata felicemente ossessionata per qualche mese.

Soprattutto da questa canzone.
Un altro lampante esempio, secondo me, di quella particolare sensibilità musicale melanconica ma lieve che sento rappresentare al meglio la mia.

Il fatto di non capire una parola dei testi - cosa che di solito mi indispone - nel caso dei Sigur Rós mi pare, per qualche oscura ragione, quasi un valore aggiunto.

Prima di tutto perché trovo la loro musica così particolare e intensa da credere che parole a me comprensibili potrebbero, in qualche modo, appannare questa sua caratteristica 'alterità'.

Poi perché ho letto che molte delle loro canzoni non sono scritte in islandese (che di per sé non è certo tra gli idiomi più diffusi), ma in una lingua inesistente inventata dal cantante, e questa cosa mi ha fatto subito simpatia: anche io da piccola, come tanti bambini, avevo inventato un linguaggio tutto mio, con cui intessevo lunghissime e silenziose conversazioni con i miei pupazzi.

Qualche giorno fa, invece, ho scoperto questo video amatoriale girato da due ragazze che hanno fatto un viaggio in Polonia nell'estate del 2008 e hanno montato il loro filmino sulle note di questa musica.

Non le trovate adorabili?
Non riconoscete un po' in loro le giovani fanciulle che siete state?

Trovo così commovente quella delicata, incantevole miscela di fragilità e sfrontatezza, candore e pose da vamp, stupidera e malinconia, bronci annoiati e spontaneità, voglia di crescere e desiderio di restare con un piede ancora nel mondo dorato dell'infanzia.

Buona domenica!






mercoledì 27 ottobre 2010

Le poesie del mercoledì: L'amore è una guerra - Ariodante Marianni

Una poesia d'amore.

Forse una delle mie preferite, in assoluto.

Sentite che leggerezza, che ironia, e al tempo stesso che intensità.

L'autore, Ariodante Marianni, è stato anche un pittore e un traduttore finissimo, soprattutto dall'inglese (suo il Meridiano dedicato a William Butler Yeats).

Questa sua foto mi ha fatto sempre una grande simpatia, forse per gli occhi azzurri e ridenti, per l'espressione mite dello sguardo o per quel ciondolo un po' incongruo sul collo fragile di vecchio signore.

Forse anche per quell'aria lontanissima da certi atteggiamenti enigmatici, un po' teatrali, cari ad altri più noti poeti (penso a qualche celeberrimo ritratto di Montale, pervaso di un'atmosfera raggelata, onirica): questa foto ha invece tutta l'aria di essere stata scattata su una panchina, in un parco cittadino, in una bella mattinata di primavera.

Secondo me, sulle ginocchia, Marianni aveva posato un quotidiano e forse un taccuino, con infilata dentro una matita, per disegnare o per segnare due versi lì per lì.

Un signore tranquillo, con parole come queste ad agitarglisi dentro.


****
- L'amore è una guerra -


L'amore è una guerra, vuoi convincermi
con qualche tregua, con qualche armistizio,
e io devo essere un cattivo soldato,
se vengo a te allo scoperto, senza difese,
a te che sai combattere bene e colpisci
duro, ogni volta (ne porto i lividi
per giorni). Così elaboro tattiche,
complicate strategie: ma a che servono?
Come ti vedo alzo le braccia, sventolo
un bianco sorriso; e non ti piace, lo so.
Ma forse è questa la mia inconsapevole
rappresaglia: eludere i tuoi piani,
sventare gli attacchi, rendere inutili
le armi, toglierti, insomma, ogni gloria.

(da Stato d'allerta, 2002)

martedì 26 ottobre 2010

Di ere geologiche, di fenomeni carsici e (finalmente!) di uno shop on line

Mesi fa ho scritto un post sul mio felice ma anche tormentato rapporto con la creatività e la manualità.

Mi ero ripromessa, dopo averlo scritto, di vincere le infinite resistenze che mi impedivano di mostrare, ogni tanto, i risultati delle mie scalmanate e spesso scriteriate incursioni in quel mondo, ma a tutt'oggi, come forse si sarà notato, non l'ho mai fatto.

Qualche giorno fa, al telefono, la cara Esmé di Ora di cena mi ha di nuovo dolcemente rimproverata, facendomi giustamente notare che il nome del mio blog è fuorviante, giacché allude a qualcosa che in queste pagine, fino ad ora, non ha avuto - se non per una volta - alcun diritto di cittadinanza.

In realtà, subito in alto e a sinistra è apparsa da qualche tempo una piccola icona in forma di papera, cliccando sulla quale si accede al mio piccolo negozio su Etsy.

Mi fa effetto anche solo scriverne, a dire il vero.
Fino a un paio di mesi fa non avrei mai pensato di poter decidermi a fare una cosa del genere. Invece poi l'ho fatta.

E come sempre accade nella mia vita, ad un processo di preparazione che definirei geologico nei tempi e carsico nelle modalità (con inabissamenti e sparizioni e improvvisi riaffioramenti), è seguito un repentino, vulcanico, ossessivo ed energico passaggio all'azione.

Aprire una cosa modesta come il modestissimo shop che ho su Etsy ha significato doversi occupare di una serie di questioni pratiche e logistiche che per molto tempo mi avevano fatto desistere, inducendomi a rinunciare ancor prima di provare a capire.

Non che mi sia divertita a leggere la policy di Etsy (non complicata ma piuttosto particolareggiata); e quanto a questo non è stato certo più ameno leggere pagine su pagine su come funzioni (e su che cosa diavolo sia, soprattutto) Paypal o la carta prepagata Postepay.

Pure l'ho fatto.
E cosa inaudita, ho capito (almeno credo; almeno spero).

Ma soprattutto, e questa è la cosa davvero importante, per me, ho vinto una mia lunga e incallita abitudine alla timidezza.

Ho messo a tacere, per un po', le infinite, moleste vocine che noi donne conosciamo oh così bene e che parlano di scarsa autostima, sottovalutazione di sé, scarsa fiducia nelle proprie capacità e di un'immotivata, illogica e - se mi si passa il gioco di parole - ridicola paura del ridicolo.

Forse, però, il lato più felice di tutta questa vicenda non è tanto la soddisfazione di aver mosso finalmente i primi passi in una direzione in cui da tempo volevo andare, quanto l'aver toccato con mano l'incredibile fortuna che mi è toccata in sorte.

Ad ogni passo mi sono infatti sentita accompagnata e sostenuta dal confronto affettuoso con tutte le anime pie che rallegrano e animano la mia vita: la Spia, che ha sempre accolto con grande calorosa curiosità ed entusiasmo ogni mio manufatto (e che con grande delicatezza e tatto ha espresso, quando ha creduto, le sue perplessità) e tutte le mie amiche, che fanno parte di quello che io definisco il mio personale e preziosissimo "consiglio di saggi", pazienti ascoltatrici dei miei deliri, inesauste dispensatrici di consigli, incoraggiamenti, buonumore.

Pur tenendo ben presenti i miei limiti e sapendo di essere solo all'inizio, di dover imparare e migliorare molto (prospettiva che, lungi dallo scoraggiarmi, mi sorride assai) , è con una certa gioia, dunque, che vi invito a dare un'occhiata al mio piccolo negozio.

La porta è da questa parte, siete tutti benvenuti!

domenica 24 ottobre 2010

Sunday Music: Perpetuum Mobile - Penguin Cafe Orchestra

Ci sono rapporti che nascono in precisi contesti e soltanto in essi fioriscono e si sviluppano.
Venendo a mancare quella loro particolare cornice, perdono senso e ragione di essere.

Ci sono occasioni speciali, situazioni di vita in cui all'improvviso ci si ritrova vicini a chi, fino a poco prima, ci era completamente estraneo: si instaurano consuetudini e rituali condivisi, si vive insieme un'esperienza circoscritta nel tempo e nello spazio.
Poi ci si separa, magari ci si pensa e ci si ricorda con piacere, ma non al punto da cercarsi ancora, e alla fine ci si perde.

Sono rapporti d'amicizia con la data di scadenza, come le mozzarelle - diceva qualcuno che conoscevo e frequentavo tanto tempo fa.
Lui lo diceva con una nota di disprezzo nella voce.
Io quel disprezzo non l'ho mai capito: sono rapporti umani comunque, meno significativi di altri, certo. Ma se vissuti con schiettezza e rispetto, con piacere e disponibilità, non sottraggono niente a nessuno, anzi, ci rendono senz'altro più ricchi e fanno della nostra vita interiore un paesaggio vivo e mosso e in evoluzione - come tendo a credere debba essere.

E spesso ci lasciano eredità piccole ma preziose: una lettura che si rivela poi fondamentale, una battuta che ci fa sempre ridere anche a distanza di anni, una confidenza di quelle sincere fino alla crudezza che a volte si affidano proprio a persone che si conoscono poco e che ancora adesso ci tocca.

Oppure una musica che ci emoziona ogni volta che la ascoltiamo, non importa quanto tempo sia passato dalla prima volta che ci ha trovati. Che ogni volta ci fa pensare a quella persona che non fa più parte della nostra vita eppure ne fa parte, eccome, e alla quale - mentre le note di quella sua musica risuonano intorno a noi - inviamo sempre un pensiero e l'augurio che la vita, con lei, abbia avuto ed abbia la mano leggera.

(Grazie a Rina)






venerdì 22 ottobre 2010

Regali golosi di Sigrid Verbert

Sigrid Verbert, alias Cavoletto, è una graziosa ragazza molto intraprendente e molto capace, con uno spiccato senso estetico e un gusto sicuro per le cose belle.

È una brava fotografa, se vi piace il genere 'Donna Hay', ed è riuscita a conquistarsi in pochi anni il consenso affettuoso ai limiti dell'idolatria di molti frequentatori della rete che seguono con religiosità il suo blog.

Questo suo libro non poteva non attrarmi; quando leggo le 4 parolette magiche regali fatti a mano mi dispongo immediatamente alla benevolenza. Quando poi questi regali sono commestibili, la benevolenza diventa entusiasmo.

Da questo punto di vista di idee in questo libro ce ne sono, e molte, e sembrano tutte molto molto promettenti. Sotto questo aspetto Regali golosi merita 4 stelle piene (5 gliele darò, se è il caso, solo dopo aver provato qualche ricetta).

Però la simpatica Sigrid dovrebbe evitare di scriversi i testi da sola, secondo me, o dovrebbe affidarsi a qualche editor molto bravo, perché questo libro, e lo dico sapendo che se mi sentono i suoi fans mi scuoiano viva, è scritto davvero male (mi dicono che il primo fosse peggio; bene, non riesco nemmeno ad immaginare come potesse essere).

Anche il suo blog, secondo me, è scritto male (e di fretta: gli errori di battitura abbondano e, sarò pedante, ma insomma bisognerebbe farci un po' di attenzione; quanti minuti ci vogliono per rileggere un post?), ma un blog, si sa, è un luogo in cui si comunica, volendo, un po' alla buona, un po' - come si dice a Roma - alla famo a capisse, e può andare benissimo così se si vuole costruire con i propri lettori un rapporto intimo, familiare, da 'quattro chiacchiere in libertà con amici'.

Se in rete, però, questo tipo di sciatteria non costa nulla e al limite può anche fare simpatia (a me in particolare no, tengo a precisare), in un libro che costa 25 euro la trovo fastidiosa, un vezzo più che l'espressione di uno stile personale informale.

Molte sono le frasi sintatticamente misteriose, per non dire sgrammaticate, e numerosi e goffi anche quelli che evidentemente sono calchi dal francese, che per una signorina belga saranno anche normali ma per un editor italiano non molto (o almeno così dovrebbe essere).

Infine, ma questo è il mio gusto personale, trovo respingente la leziosità imperante, che temo sia una cifra caratteristica della bella Sigrid, ché anche il suo blog è spesso costellato, come questo libro, di obbrobri come pensierino, confezioncina, marmellatina, cremina e di aggettivi come cioccolatoso, goloso, sfizioso, profumoso, coccoloso etc., per non parlare degli onnipresenti emoticon, che almeno in un libro, e soprattutto in un libro come questo, dalla grafica elegante e curata fino allo spasimo, NON vorrei trovare, per cortesia!

Per fortuna nelle ricette l'italiano torna 'normale' e il tono è sobrio.
Non poteva limitarsi a questo e a delle belle foto?
Sarebbe già stato tantissimo.


Sigrid Verbert, Regali golosi, Giunti 2010.

mercoledì 20 ottobre 2010

Le poesie del mercoledì: Atlante di Margherita Guidacci


Da molti anni riporto frasi, poesie, testi di canzoni e brani tratti dai libri che leggo su vari quaderni.

Quelli più vecchi sono ordinatissimi (quanto tempo avevo che adesso non ho più da dedicare a queste cose!) ma le annotazioni sono spesso smozzicate, confuse, imprecise, i nomi talvolta storpiati.

I più recenti, invece, molto meno ordinati e scritti spesso con la grafia gallinacea di chi va di fretta, sono però la prova di certa mia maniacale diligenza sviluppata con l'età (e gli studi universitari, e il lavoro di traduttrice): ove possibile ecco lì presenti anche tutti i riferimenti precisi, coscienziosamente controllati: nomi degli autori, titoli dei libri, case editrici, numero della pagina da dove è stata presa la citazione etc.

Questi miei ultimi quaderni sembrano più quelli di una ricercatrice impegnata in chissà quali studi che non quello che sono: taccuini dove trovare posto a ciò che mi ha toccata nel tentativo di non perdere, e, se sono fortunata, di ritrovare intatta, o ancora più accresciuta ed arricchita, l'eco che quel brandello di pensiero altrui ha prodotto in me.

Ci sono voci che mi hanno assai parlato un tempo e che ora invece non risuonano più alle mie orecchie (si cambia, ah sì, come si cambia!); altre che invece solo ora rivelano accenti che anni fa non ho colto - cogliendone altri, che allora mi parvero incredibilmente intensi o rivelatori, e che magari oggi, invece, mi appaiono opachi.

Questi miei quaderni sono soprattutto una forma di diario, la registrazione traslata e obliqua della mia vita, ed è per questo che per me sono interessanti. Riesco quasi sempre a ricostruire tutto il percorso che mi ha spinto, un giorno, a trascrivere quei versi, quelle parole, e il processo è talvolta divertente, quasi sempre molto istruttivo - e penoso, a volte, e doloroso anche, ma è giusto così.

La poesia di oggi è di Margherita Guidacci, poetessa fiorentina morta quasi 20 anni fa.
Donna coltissima, studiosa, appartata, per molti critici ingiustamente sottovalutata.
Io la conosco poco, pochissimo, e mi riprometto da tempo di colmare questa lacuna.

I versi di questa sua poesia mi accompagnano da molti e molti anni, significativi e veri, per me, tanto oggi quanto quel giorno di 17 anni fa in cui li ho trascritti per non perderli.


****


- Atlante -


Davanti a te la mia anima è aperta
come un atlante: puoi seguire con un dito
dal monte al mare azzurre vene di fiumi,
numerare città,
traversare deserti.

Ma dai miei fiumi nessuna piena ti minaccia,
le mie città non ti assordano con il loro clamore,
il mio deserto non è la tua solitudine.
E dunque cosa conosci?

Se prendi la penna, puoi chiudere in un cerchio esattissimo
un piccolo luogo montano, dire: "Qui fu la battaglia,
queste sono le sue silenziosi Termopili".
Ma tu non sentisti la morte distruggere la mia parte regale,
né salisti furtivo
col mio intimo Efialte per un tortuoso sentiero.
E dunque, cosa conosci?


****


A chi volesse e avesse qualche minuto di tempo in più, consiglio anche questo video: una puntata di una trasmissione della Rai del 1989, Poeti in gara, dove Margherita Guidacci e Maria Luisa Spaziani leggono due poesie che trovo, personalmente, entrambe bellissime.
(A latere, tanto per deprimersi un po', vi offro anche una riflessione sul tipo di televisione che era possibile avere solo nel 1989 - non nel 1959! - e che oggi, nei tempi oscuri che ci tocca attraversare, appare quasi fantascientifica e utopistica).







lunedì 18 ottobre 2010

Di una buona causa: la Campagna Nastrorosa e una mousse al cioccolato bianco

La rete, si sa, pullula di iniziative di ogni genere, alcune discutibili, molte più o meno inutili, altre decisamente lodevoli.

Quella cui sono stata invitata a partecipare appartiene, a mio giudizio, a quest'ultima categoria.

Tantissime bloggers italiane hanno deciso, nella giornata di oggi, di pubblicare un post che parlasse della Campagna Nastrorosa che per il diciassettesimo anno consecutivo è stata organizzata per pubblicizzare la prevenzione del tumore al seno (sul sito www.nastrorosa.it troverete tutte le informazioni che volete).

Ci sono molte cose da dire sull'argomento e le lascio dire a chi ne sa più di me.
Io mi limiterei a ricordare che, per fortuna, abbiamo tutti i mezzi e tutti gli strumenti per far sì che questa malattia venga diagnosticata per tempo e dunque efficacemente contrastata.

Oltre a condurre una vita il più possibile mediamente sana, basta sottoporsi a controlli periodici, la cui cadenza può variare a seconda della nostra età e delle nostre generali condizioni di salute. Ma questo è tutto. Ed è davvero un minimo sforzo che vale decisamente la pena di fare.

L'iniziativa cui mi è stato chiesto di partecipare prevedeva la redazione di un post 'in rosa', un colore che purtroppo detesto cordialmente.
A parte un breve, irresponsabile e scriteriato periodo giovanile (avevo circa 10 anni e volevo vestirmi sempre di rosa; non sono mai stata accontentata, tra l'altro), l'ho sempre ritenuto un colore-non colore, accettabile solo in natura: sulle corolle dei fiori, nei tramonti invernali, sulla pelle dei maialini e sui polpastrelli e i nasi dei gatti.

Mi è stato dunque anche difficile cercare una ricetta in rosa che mi convincesse.

Alla fine, ho deciso di 'barare' un po' e di proporre questa mousse al cioccolato bianco servita con un coulis di frutti di bosco: se ben mescolati insieme (come si faceva con il gelato quando eravamo bambini; o mi divertivo solo io a creare quei papponi inguardabili tutti spetasciati?), i due ingredienti principali si fondono effettivamente in un'accesa, vibrante sfumatura di rosa: ve lo garantisco, perché ho fatto l'esperimento con la porzione destinata alla Spia - che non ne è stato molto contento (non capisco perché).

Più rosa di così non sono stata capace di fare!


Light and Fluffy White Chocolate Mousse da Rachel's Food for Living di Rachel Allen


per 4/6 persone:

100 gr. di cioccolato bianco
150 ml di panna
1 foglio di gelatina
2 chiare d'uovo
30 gr. di zucchero

Fondete il cioccolato a bagnomaria.

Montate la panna: fermatevi un attimo prima che diventi troppo consistente e mettetela in frigo.

In una ciotola piena di acqua fredda fate ammorbidire il foglio di gelatina per 3'-4', trascorsi i quali ripescatelo, strizzatelo e mettetelo in una tazzina con 4 cucchiai di acqua bollente, mescolando bene perché si sciolga completamente.

Montate gli albumi con metà dello zucchero fino a quando non siano belli fermi; indi aggiungete anche l'altra metà dello zucchero e continuate a montare: il composto deve essere molto sostenuto.

Unite al cioccolato fuso la gelatina disciolta, mescolate bene, aggiungete le chiare montate a neve con lo zucchero e, per ultima, la panna montata e fredda.

Versate il composto in bicchierini, ramekins, ciotoline, dove volete insomma.
Basta che poi copriate con un po' di pellicola trasparente e mettiate tutto in frigo almeno per un paio d'ore.

La mousse resta morbida, dunque non c'è bisogno di tirarla fuori dal frigo con anticipo prima di mangiarla.

Servitela con un coulis preparato con dei frutti di bosco frullati con dello zucchero a velo e poco succo di limone.
Se come me siete delle tremende sciattone e avete solo frutti di bosco surgelati, cuoceteli prima brevemente insieme allo zucchero e al succo di limone, riduceteli in purea con un frullatore a immersione e infine passateli attraverso un colino a maglie fini.

Enjoy!

domenica 17 ottobre 2010

Sunday Music: Moon River - Audrey Hepburn


Non ricordo quanti anni avessi quando per la prima volta ho visto Colazione da Tiffany, forse 8 o 9, forse anche meno.

Ricordo bene, però, che rimasi abbagliata.

Dalla bellezza fragile, eterea ed elegantissima di Audrey Hepburn; dal ruvido, patetico cinismo del suo personaggio; dalla splendida New York che fa da cornice alla storia.

Mi piacquero i vestiti, i dialoghi, la festa delirante e bohemienne nello scombinato appartamento di lei, la scena in cui lui la bacia dopo aver rubato delle maschere di carnevale, quella in cui Holly cerca di spiegare a suo marito che è venuto a riprendersela per riportarsela a casa perché lei, pur amandolo, non può seguirlo e, ovviamente, la scena finale in cui il povero Gatto viene ripescato dentro un vicolo, tutto bagnato e spaventato.

Mi piacque, soprattutto, la musica.

C'è qualcosa di più aggraziato e struggente della voce esile e malinconica di Audrey Hepburn che canta Moon River?

Sono passati tanti anni, ma la malìa che questa canzone esercita su di me è la stessa che allora conquistò la bambina che per la prima volta la ascoltò e ne rimase incantata.

Buona domenica!







venerdì 15 ottobre 2010

I love cake di Trish Deseine

Trish Deseine è una bella dritta, secondo me.

Mi ha sempre dato l'impressione di saperci fare, e molto.
Sforna regolarmente libri molto belli, molto fortunati, molto amati.

Ho fatto molte delle sue ricette, spesso con grande soddisfazione - mia e di chi insieme a me si è trovato a condividerne il frutto; ho quasi tutti i suoi libri (credo me ne manchi uno), che sono tutti molto ben fotografati, scritti spesso con un certo qual brio ed ironia.

Questo libro lo desideravo da tempo.
L'ho visto per la prima volta la scorsa estate a Bruxelles (città paradisiaca per gli amanti dei libri), l'ho sfogliato, risfogliato, tenuto in mano fino al momento di arrivare alla cassa; poi, all'ultimo, gli ho preferito altro.

Quando è stato tradotto in italiano l'ho di nuovo sfogliato e risfogliato, qui a Firenze, e di nuovo tenuto in mano fino al momento di arrivare alla cassa; poi, come a Bruxelles, da brava cliente (con un passato di commessa in una libreria, che sa quanto sia irritante ritrovare sparpagliati in ogni dove libri che i clienti indecisi o pentiti o sbadati lasciano un po' ovunque), l'ho riportato diligentemente al suo scaffale.

Alcune delle ricette presentate sono già in altri suoi libri (e la Deseine, sia detto a suo merito, non lo nasconde) e dato il prezzo ci ho pensato due volte.

Poi però mi son decisa e grazie alla disponibilità e alla gentilezza (e alla forza fisica! Questo libro pesa in valigia) di una cara amica aNobiiana me lo sono fatto acquistare, in edizione originale.

Bellissimo è bellissimo, a parte il titolo - a mio avviso assai infelice.
E se è vero che ci sono ricette che già conosco, molte sono quelle nuove.

Ma la prima che ho provato, quella per una torta al limone con un topping croccante di limone e zucchero, ohibò!, non aveva indicata la farina - benché fosse evidente che della farina ci fosse bisogno.

La cuoca pedante che è in me (per riprendere il filo del discorso del libro di Julian Barnes) si è subito sentita in preda al panico, poi si è indignata, infine ha recuperato il suo sangue freddo, ha fatto un paio di proporzioni, sfogliato un paio di altri libri e ha stabilito la quantità di farina presumibilmente necessaria.

Non capisco come un libro di questo genere, in edizione non di lusso ma cartonata e illustrata, pubblicato da una casa editrice seria come la Marabout, non sia stato adeguatamente rivisto e corretto.

Che all'autrice scappi un errore ci sta.
Che al redattore sfugga l'errore ci sta un po' meno: in una casa editrice che pubblica decine di fortunati e assai popolari libri di cucina all'anno mi aspetto ci sia pure un redattore che si occupi esclusivamente di questo settore; un redattore che, si spera, quanto meno sappia un po' cucinare e possa accorgersi se in una ricetta c'è una vistosa mancanza o una bizzarra incongruenza.
O no?

Riassumendo: voglio essere magnanima e offrire - come si suol dire - un'altra possibilità (e poi, lo ripeto, questo libro è bellissimo e per me questo conta, anche in un libro di cucina).

Ma aspetto la Deseine e il suo redattore al varco.
La prossima ricetta scritta male e mi sentiranno!



Trish Deseine, I love cake, Marabout 2009.

mercoledì 13 ottobre 2010

Le poesie del mercoledì: Meditazione di Umberto Saba

Ho avuto la fortuna, all'università, di laurearmi con una professoressa che prima di essere una docente era soprattutto una poetessa, di poesie a me spesso ostili e illeggibili, tengo a precisare, ma che di quelle altrui mi ha amorevolmente nutrita negli anni trascorsi a studiare con lei.

La ricordo ancora, il mercoledì pomeriggio, seduta in aula, spesso abbigliata in modo scenografico, teatrale, che inforcava gli occhiali, sfilava dalla borsa un libro e cominciava a leggere versi.

Ricordo anche il silenzio, assoluto, prima carico di anticipazione, poi di incanto.
Ricordo la concentrazione, l'attenzione, la fatica - certo - ma anche e soprattutto, la bellezza.
La musica.
Le illuminazioni, fulminee, che solo la poesia sembra poter offrire: il senso, i sentimenti, le inquietudini di tutti, di sempre, ritrovate lì, in quelle parole.

Uscivamo da quell'aula silenziosi, pieni di pensieri e scombussolati, ma anche pacificati e più gentili, più attenti gli uni agli altri. Capitava spesso, poi, che con un altro studente, con cui magari mai si era scambiata parola, corresse uno sguardo, a metà lettura: uno sguardo di riconoscimento, di affiliazione.
Magari poi non ci si parlava nemmeno, ma incrociandosi per i corridoi del dipartimento o sedendosi in aula prima della lezione, ci si sorrideva, ci si riconosceva ancora.
"Io e te, quel giorno, abbiamo sentito la stessa cosa".

Devo a quelle letture - sacre come immagino possano essere quelle della parola di un dio per un gruppo di fedeli - i miei primi approcci, le mie prime esplorazioni di un regno che continuo a frequentare molto meno spesso di quanto mi farebbe bene.

Perché la poesia, prima di tutto, fa bene.
A tutti.
Sempre.
E allora, per una volta, facciamoci del bene!




- Meditazione -

Sfuma il turchino in un azzurro tutto
stelle. Io siedo alla finestra, e guardo.
Guardo e ascolto; però che in questo è tutta
la mia forza: guardare ed ascoltare.

La luna non è nata, nascerà
sul tardi. Sono aperte oggi le molte
finestre delle grandi case folte
d'umile gente. E in un me una verità
nasce, dolce a ridirsi, che darà
gioia a chi l'ascolta, gioia da ogni cosa.
Il tuo lume, il tuo letto, la tua casa
sembrano poco a te, sembrano cose
da nulla, poi che tu nascevi e già
era il fuoco, la coltre era e la cuna
per dormire, per addormirti il canto.
Ma che strazio sofferto fu, e per quanto
tempo dagli avi tuoi, prima che una
sorgesse, tra le belve, una capanna;
che il suono divenisse ninna-nanna
per il bimbo, parola pel compagno.
Che millenni di strazi, uomo, per una
delle piccole cose che tu prendi,
usi e non guardi; e il cuore non ti trema,
non ti trema la mano;
ti sembrerebbe vano
ripensare ch'è poco
quanto all'immondezzaio oggi tu scagli;
ma che gemma non c'è che per te valga
quanto valso sarebbe un dì quel poco.
La luna è nata che le stelle in cielo
declinano. Là un giallo
lume si è spento, fumido. Suonò
il tocco. Un gallo
cantò; altri risposero qua e là.


(da Poesie dell'adolescenza e giovanili di Umberto Saba)


domenica 10 ottobre 2010

Sunday Music: Sheep and Tides - Michael Nyman

I miei gusti musicali spesso sorprendono chi non mi conosce bene - e a volte anche me.
Sono variegati e spaziano, un po' come le mie letture.

So bene quel che non mi piace e quel che proprio non riesco ad ascoltare, ma difficilmente saprei dire che cosa hanno in comune le cose che mi piacciono.

Forse l'unico comune denominatore è una certa malinconia, soprattutto quando affiora lentamente e si fa strada, quasi impercettibilmente, dietro sonorità apparentemente gioiose e vivaci.

Questo brano di Nyman è un bell'esempio di quanto ho appena detto.

Nyman è un compositore che amo molto.

La Spia, invece, alle prime due note di uno qualunque dei suoi brani si copre di bolle e comincia a gemere come un'anima in pena. "Oddio che angoscia, oddio com'è ossessiva questa musica, ma non ti viene voglia di buttarti dal balcone?" mi domanda, sinceramente perplesso di fronte alla mia espressione beata.

(Apro una lunga parentesi.
C'è da dire, però, che la Spia, per farmi piacere, un anno fa mi ha regalato il biglietto per il concerto che Nyman ha tenuto a Firenze la notte di San Giovanni, e mi ci ha anche accompagnato.
Lascio a voi, se il caso, il compito di trarre conclusioni; io ve ne offro alcune possibili:

1. la Spia è un masochista
2. la Spia ha cercato di ingenerare in me potentissimi sensi di colpa per potermi poi manipolare a suo piacimento e indurmi a preparargli quotidianamente i suoi spaghettini al pomodoro e settimanalmente la carne impanata
3. la Spia, che ha sempre professato un acceso, convinto, appassionato ateismo/nichilismo crede in realtà nella reincarnazione e ha voluto, in un'unica sera, bruciare il karma negativo accumulato in numerose vite precedenti
4. la Spia, tutto sommato, un po' mi vuole bene.

Chiusa la parentesi.)

Dunque per lo più Nyman lo ascolto in solitudine.

Ma forse è proprio così che mi piace ascoltare la musica.

Soprattutto da sola, con assoluto abbandono, in estasi.

Una forma di meditazione, ogni volta diversa e ogni volta straordinariamente e meravigliosamente arricchente.

Buona domenica!







venerdì 8 ottobre 2010

The Pedant in the Kitchen di Julian Barnes

Che gioia poter leggere questo libro e capire che non sono la sola ad essere una pedante in cucina!

Che consolazione sapere che c'è qualcun altro che, come me, si angoscia in preda allo smarrimento di fronte alle ricette ad occhio, quelle in cui si parla di manciate, pizzichi, forni caldi, q.b. et similia senza specificare grammi, temperature, tempi.

Com'è stato confortante rendermi conto che non sono sola ma faccio parte di un gruppo, di dementi o incapaci, forse, di inesperti senz'altro, che come me hanno bisogno di esser presi per mano e portati con precisione ed esattezza, passo dopo passo, dall'inizio di una ricetta fino alla fine.

Senza dar niente per scontato.
Senza presumere previe conoscenze.
Senza aspettarsi che il lettore colmi i vuoti lasciati dall'autore e deduca gli eventuali passaggi mancanti.
Senza dimenticare che chi legge un libro di ricette non necessariamente sa cucinare.

Julian Barnes lancia le sue appassionate, sarcastiche e divertenti invettive contro quegli autori responsabili di simili orrendi crimini e intona invece dichiarazioni appassionate di devozione e gratitudine a quanti realmente mettano i loro lettori in condizione di poter riprodurre, con soddisfazione, le loro ricette, dando così prova, in primo luogo, di generosità - oltre che di onestà intellettuale.

Il mio preferito tra i tanti autori citati? Sicuramente Edouard de Pomiane, che nel 1948 pubblicò un famoso libro intitolato La cuisine en dix minutes ou L'Adaptation au rythme moderne nel quale, tra le altre ricette, proponeva quella per il Boeuf à la ficelle (fatto cioè bollire in acqua sospeso tramite un pezzo di spago).

Cito direttamente Barnes, che cita a sua volta Pomiane:

"Togliete la carne dalla pentola ed eliminate lo spago. La carne sarà grigia all'esterno e con un aspetto assai poco appetitoso. In quel momento potreste sentirvi piuttosto depressi".

Quanto può essere confortante sapere che anche il nostro avvilimento di fronte all'apparente risultato di una ricetta può essere previsto dal suo autore, perché anche a lui è capitato di esserne vittima?

E soprattutto, quanto sollievo si può provare al pensiero che, dopo tutto, esso è immotivato?


Julian Barnes, The Pedant in the Kitchen, Atlantic Books 2003 (in Italia tradotto per i tipi della Guido Tommasi Editore).

domenica 3 ottobre 2010

Sunday Music: 70 Million - Hold Your Horses

Un po' di leggerezza.

Ogni tanto ci vuole.

E quando è anche intelligente, ironica ed esteticamente gradevole, ci vuole sempre.

(Grazie a Paolina!)








venerdì 1 ottobre 2010

Di vite precedenti, di occasioni mondane e di una torta di mele


Nel post precedente parlavo di Cat Power e delle sue molte vite.

Anche io, come tutti, ne ho vissute tante. In una di queste, sono stata la moglie della Spia in versione ufficiale.

Che tradotto in parole povere ha significato, tra le altre cose, accompagnarlo a feste, ricevimenti, inaugurazioni, cene, colazioni, cocktail e cerimonie varie, sempre vestita in modo acconcio (leggi: da babbiona) a trascorrere il tempo evitando di ingozzarmi di vaccate e sostenendo conversazioni - nel migliore dei casi spesso insignificanti (quelle che gli inglesi, con sublime, secca concisione chiamano small talks) e nel peggiore noiose da piangere - con persone con le quali, avessi potuto scegliere, nella maggior parte dei casi non avrei mai voluto nemmeno trovarmi in fila alla cassa del supermercato, tanto per dare un'idea.

Quella vita, che si è protratta per quasi dieci anni, dall'esterno avrebbe potuto apparire anche desiderabile, affascinante, esotica e per certi versi, ad essere sincera, lo è anche stata, a volte.
Ma poche persone hanno realmente compreso quanto poco potessi sentirmici a mio agio.
Quanto intensamente desiderassi non partecipare a quelle occasioni mondane.
Quanto mi sgomentasse, soprattutto i primi tempi, la prospettiva di ritrovarmi in mezzo a decine di persone più o meno sconosciute o, peggio ancora, note, ma alle quali mi legava un tenuissimo filo di frequentazioni assidue ma superficiali, costanti ma formali, che si mantenevano sempre entro i confini di quell'avvilente dimensione del "Io e te faremmo volentieri a meno di essere a questa festa, ma facciamo lo stesso due chiacchiere compìte perché è quanto richiede l'etichetta in queste situazioni".

Quella vita mi ha insegnato molto, credo, su quanto le persone abbiano tutte, indistintamente, bisogno di essere ascoltate, su quanto poco siano abituate ad esserlo veramente e su quanto meno ancora siano 'allenate' ad ascoltare gli altri.

La mia personale strategia di sopravvivenza, elaborata dopo anni di coliti e timidezze feroci, fu invece proprio quella di ascoltare.
Più che cianciare del nulla, cosa che mi faceva sentire un'idiota o divorata dall'imbarazzo, ascoltavo con tutta l'attenzione che potevo concedermi in quella situazione.
Superato lo scoglio iniziale (terribile, come lo è per tutti i timidi), finivo spesso per appassionarmi.

Il mio interlocutore, invece, tutto preso dal racconto di sé, non si accorgeva nemmeno se fossi intelligente o scema, bella o brutta, interessante o spiritosa, ma se ne tornava a casa sicuramente convinto che fossi un ricettacolo di ogni cristiana virtù.
A parte rari casi di sociopatici, infatti, chi si sente ascoltato da te te ne sarà grato e tu, in cambio, trarrai la sensazione di aver fatto qualcosa di utile, o quanto meno di non dannoso, per la società.
Il che non ti salverà, sia ben chiaro, dal rischio di farti comunque ammorbare, a volte, da racconti noiosissimi sui più insignificanti dettagli di vite assai modeste come respiro, orizzonte e contenuti - e questo spiega le mie pur frequenti crisi di avvilimento, allora.

Ovviamente quella vita è stata in parte redenta da incontri significativi, anche affettuosi e stimolanti, con persone cui sono riuscita - spero - a dar veramente qualcosa di me, e non solo la mia educata attenzione per una sera.
Alcune di loro, benché non le veda e non le senta da anni (e non ne senta il bisogno, diciamolo pure), mi sono rimaste in qualche modo nel cuore.

Per un gesto di gentilezza autentica, magari durante una serata particolarmente pesante in cui avrei voluto scappare saltando a pie' pari le siepi del giardino e invece sono rimasta lì a sorseggiare vino cattivo in preda alla colite.

Oppure per uno sguardo fugace, brevissimo, di complicità e di ironia condivisa.

O per una parola detta con spontaneo calore, rivolta davvero a me e non al personaggio che in quel gioco fatuo cui pure dovevo giocare mi era stato assegnato.

Una di queste persone, un signore, la prima sera che venne a casa nostra per una cena cosiddetta "di rappresentanza", arrivato questo dolce in tavola, per un momento si intenerì.

Mi chiese come fosse esattamente e, ascoltata la mia descrizione, concluse: "Un dolce inusuale per una cena così, un dolce di casa".

Lo disse con tenerezza, con nostalgia (della moglie che lo attendeva a svariate migliaia di chilometri e dalla quale desiderava tornare? della bambina che aveva appena adottato con tanta fatica dopo mesi e mesi di burocrazia e incertezze? della sua mamma?).
Per me, lo disse con la voce giusta, quella che io volevo sentire in quel momento.

Dopo quella cena, quel signore sedette alla nostra tavola altre volte e furono tutte occasioni di incontro reale ed affettuoso, di allegro nutrimento del corpo e dello spirito.

Tutte le volte che preparo questo dolce, penso a quell'uomo, alla sua espressione quasi riconoscente quando ne assaggiò una fetta, all'intima condivisione che si creò, magicamente, intorno a quel tavolo tra persone che fino a quel momento avevano parlato, con civiltà e garbo, sì, ma anche con una certa educata ritrosia, soprattutto di lavoro e politica e si ritrovarono, invece, ad un tratto, a discorrere di figli e mariti, di mogli e ricette, di ricordi del liceo e di libri, di musica e gatti e a ridere spesso e volentieri, con gran gusto.

E mi dico che quella vita lì, che oramai è passata e a volte sembra quasi assumere i tratti sfumati e vaghi del sogno, non solo non è stata inutile, ma mi ha lasciato anche qualche gemma tra le dita.
Cose piccole, come questa.
Infinitamente preziose.
Cerco di non dimenticarlo mai.


Torta di mele con salsa toffee (da Falling Cloudberries di Tessa Kiros)

per una tortiera di 24 cm di diametro

3 mele
100 gr. di burro, a temperatura ambiente
200 gr. di zucchero
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
3 uova
200 gr. di farina 0
2 cucchiaini di lievito per dolci
1 cucchiaino di cannella
(assente nella ricetta originale; per me è un riflesso condizionato: dove ci sono mele, non può non esserci della cannella)
60 ml (4 cucchiai) di latte

per la salsa toffee:

20 gr. di burro
115 gr. di zucchero
125 ml di panna


Preriscaldate il forno a 190°.

Imburrate e infarinate la tortiera, possibilmente di quelle a cerniera.

Sbucciate le mele, tagliatele in quarti. Da ogni quarto ricavate delle fette non troppo spesse.
In realtà, ad essere sinceri, io le taglio in modo sempre diverso. A volte uso la mandolina e faccio delle fettine sottili sottili, che si fondono quasi nell'impasto. Altre, invece, no. Regolatevi voi.
Come che sia, disponete queste fette nella teglia. Se siete bravi e avete pazienza, optate per il classico disegno a raggiera. Se siete impazienti e sciattoni come me, mettetele più o meno a casaccio, cercando di non sovrapporle troppo e di coprire i buchi.

Con le fruste elettriche sbattete insieme lo zucchero, l'estratto di vaniglia e le uova, fino a quando il composto non si sia schiarito e trasformato in crema.

Setacciatevi dentro la farina, il lievito e la cannella (se la volete usare).
Aggiungete anche il latte, mescolate con cura, indi trasferite il composto nella tortiera e cuocete per 35'-40' (prova stecchino).

Nel frattempo preparate il topping.
Mettete burro e zucchero in un pentolino e a fiamma media fate cuocere per 3'-4'.

Aggiungete la panna, all'inizio con cautela (attenzione agli sputazzamenti bollenti).
Abbassate il fuoco e cuocete per un altro minuto.

Liberate la torta dalla sua tortiera e versateci sopra un po' della salsa.

Il resto portatelo in tavola, magari in una bella lattiera, così che chi lo desidera possa aggiungerne altra.

Enjoy!