venerdì 12 febbraio 2010

Delle orecchie a sventola e di una manualità ritrovata


Qualche tempo fa, la Spia, in un dopo pranzo silenzioso e assorto, se n'è uscito dicendo, come se riprendesse una conversazione interrotta pochi istanti prima (che invece non era mai iniziata):
"Tra l'altro nel tuo blog non scrivi mai delle cose che fai con le perline, la lana etc."
Mi ha presa in contropiede e ho dovuto dargli ragione (di solito, pur di non dargli questa soddisfazione, mi produco in circonvoluzioni mentali degne di un contorsionista, ma ho bisogno di un minimo preavviso).

In effetti, in questo blog, che porta addirittura nel titolo un'indicazione della mia passione per la manualità, di manualità si parla ben poco. Per non dire che non se ne parla affatto, se si esclude quella che si esplica in cucina (e che poi, ad essere sinceri, è poca cosa, considerato che evito come la peste qualunque ricetta richieda la minima destrezza).

Delle mie ore trascorse assorta e concentrata a far qualcosa con le mie mani, in effetti non ho mai parlato, se non di sfuggita.

Perché il problema è che io, sì, mi dedico con grande divertimento ed entusiasmo alle mie innumerevoli attività manuali, ma non sono molte le volte in cui sono davvero soddisfatta di ciò che alla fine riesco a combinare e l'idea di mostrare le mie 'creature', soprattutto in uno spazio come questo, mi ha sempre lasciata piuttosto perplessa (se avete voglia, date un'occhiata a qualcuno dei blog che segnalo e capirete che cosa intendo).

Non per fare la piccola fiammiferaia che cerca di impietosirvi, ma per fare la piccola fiammiferaia che cerca di impietosirvi vi racconterò un illuminante aneddoto, nella cui eloquenza confido.

Per molti, moltissimi anni, ho avuto il complesso delle orecchie a sventola.
Da piccola pregavo i miei genitori perché mi dessero il permesso di farmi crescere i capelli, così da parzialmente occultare quelle due foglie di verza che pensavo di avere al posto delle orecchie.
I miei, ovviamente, si guardavano bene dall'accontentarmi ("I capelli corti sono più pratici e igienici, e poi stanno bene a tutti!"), continuavano a portarmi regolarmente dal barbiere di mio padre (specializzato nel taglio 'a carciofo') e minimizzavano il mio complesso, salvo poi unirsi ai cori scherzosi dei miei fratelli che mi chiamavano Dumbo o Andreotti o Glemp (un cardinale polacco che quando ero piccola era un giorno sì e l'altro pure in tv, non ricordo il motivo).

Intorno ai 14 anni, mi svegliai dal mio torpore e decisi che dal barbiere non ci sarei più andata. Punto e basta.
Ricordo ancora la sera in cui lo comunicai, tremebonda, ai miei. Mi aspettavo chissà quali furibonde reazioni. Invece niente, annuirono distrattamente e tornarono a dedicarsi alla loro cena (allora avrei dovuto trarre da quel fatto conclusioni più generali che invece ho impiegato anni a trarre, ma lasciamo stare).

Cominciai a farmi crescere i capelli, dunque, facendo però sempre bene attenzione a non scoprire le orecchie: niente code, niente trecce, niente di niente. Solo i capelli con la riga in mezzo, portati lunghi e mossi come una nostalgica degli anni '70, come una Janis Joplin de noantri ("come la Madonna del petrolio", diceva mia madre).

Ci son voluti anni perché io mi liberassi, in un pomeriggio, di un complesso del quale, ora ne sono perfettamente consapevole, posso fare a meno di soffrire.
Io ho tante cose che non vanno, ma non ho le orecchie a sventola, non le ho mai avute. Però sono stata per tantissimi anni convinta di averle, perché così mi era stato detto e io ci ho creduto, perché, come diceva l'eroina di non ricordo più quale film, è più facile credere alle cattiverie che ai complimenti (o qualcosa del genere).

Così, ci sono voluti anni perché io mi liberassi - e solo parzialmente - anche della convinzione di non essere capace di fare nulla con le mani. In una famiglia composta di persone assai dotate da questo punto di vista, io ero l'eccezione, quella che sapeva a malapena allacciarsi le scarpe.

Poi, quando ero all'università, quasi di nascosto e vergognandomene, con aria da cospiratrice, un pomeriggio chiesi a mia madre di insegnarmi a lavorare ai ferri.
Fu un incubo.
Sotto lo sguardo allibito della mia genitrice, in qualche ora riuscii a creare qualcosa che non aveva una forma conosciuta né in natura né in geometria, su cui proliferava una fitta vegetazione di fili aggrovigliati, crateri, gnocchi, maglie perse per strada o magicamente moltiplicatesi per partenogenesi.

Il mio fidanzato di allora credette di incoraggiarmi chiedendomi di confezionare per lui una sciarpa a righe.
Ci misi dei mesi per produrne una, orrida e sbilenca (e, essendo fatta di scarti e rimasugli, dai colori raccapriccianti). Lui ne fu commosso fino alla demenza, che Dio lo benedica, ma sua madre - che per altro mi adorava, ricambiata - gli impedì tassativamente di indossarla, cosa per la quale neanche allora fui capace di biasimarla (lui la indossò un paio di volte, di nascosto, per la cronaca. Poi fui io stessa a pregarlo di bruciarla).

Ho impiegato quasi un decennio per cominciare a produrre qualcosa, non dico di bello, ma di riconoscibile ("questo è indubbiamente e incontrovertibilmente un maglione"), e un altro decennio per creare con le mie mani qualcosa che non mi vergognassi di regalare.
Benché spesso frustrata e insoddisfatta dei risultati e innervosita fino alle lacrime da schemi che non capivo, maglie che sparivano, punti che non venivano etc etc., non ho desistito. Novella Penelope, ho fatto, sfatto e rifatto infinite volte maglioni, sciarpe, scialli e coperte, tutto senza la supervisione materna. Quando si vive a migliaia di chilometri di distanza, non è facile farsi spiegare per telefono come si chiudono le maglie o come si fa una cucitura invisibile. E si ricorre ai libri (che Dio benedica anche loro).

Sono contenta di averlo fatto. Molto contenta. Contenta di aver perseverato, di non essermi arresa, di aver continuato a coltivare, con pazienza, con dedizione, in silenzio, quella manualità di cui sentivo una grande nostalgia e un grande bisogno. Di aver liberato una parte di me repressa e per anni negletta, finendo, così, davvero per risvegliarla.

Negli anni mi sono infatti dedicata anche al ricamo, alla pittura sul vetro, alle perline, e infine al cucito.

Ovviamente, siccome tendenzialmente sono una maniaca, quando mi infervoro per qualche nuova tecnica devo possedere:

a. tutti i libri che sono stati scritti sull'argomento
b. tutto il materiale necessario (soprattutto quello accessorio e facoltativo)
c. un luogo specifico e dedicato per mettere tutta questa roba - al momento la stanza degli ospiti, dove ora campeggia trionfalmente la famosa vetrina dell'Ikea, oggetto del mio desiderio su cui, at last!, ho potuto (rocambolescamente) mettere sopra le mani.

Nelle foto che vedete sparse nel post ci sono alcune delle cose che ho fatto di recente.
Vado particolarmente fiera del microscopico scaldacuore (un modello che faccio da anni per tutte le mie amiche che aspettano un bambino, una specie di maglione portafortuna) e soprattutto delle prime, primissime cose che ho cucito.

La macchina per cucire, modello dismesso dalla mamma, mi intimidisce.
Non so perché ma ho il terrore di romperla, e ogni volta che mi accingo ad usarla, per un lungo istante, mi passano davanti agli occhi scene raccapriccianti e apocalittiche di aghi spezzati, spolette aggrovigliate, clangori sinistri provenienti dal motore, tecnici basiti che scuotono la testa e mi dicono "In tanti anni che faccio questo mestiere non ho mai visto niente del genere".

Poi, la paura che questa catastrofe accada (e proprio a me, e proprio in questo momento) lascia il posto a un po' di ragionevolezza. Potrebbe accadere, certo. Ma potrebbe anche non accadere. E allora, nell'incertezza, perché intanto non provare?


Enjoy!

10 commenti:

  1. ma le tue "creature" sono bellissime !
    e vedo che trovato la tua libreria ikea , e ordinatiiiiissssima sei !

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  2. Ciao Vera, le creature ringraziano!
    Sì, la vetrina dell'Ikea alla fine sono riuscita a comprarla, complice un amico folle che l'ha presa a Roma e me l'ha portata qui a Firenze, per l'incredulità della Spia - che di amici tanto generosi (o incoscienti) evidentemente non ne ha!
    Quanto al mio essere ordinata è una cosa che mi è venuta col tempo: si vive meglio e con meno fatica in una casa in cui tutto ha il suo posto non trovi?
    Un abbraccio e grazie della visita!

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  3. Di solito ho ragione su molte cose, ma - pur di non darmi la soddisfazione di dirmelo - Penolope si produce in circonvoluzioni (e spesso anche in circonvallazioni) mentali degne di un contorsionista.
    Stavolta, per esempio, pur di non darmi la soddisfazione di dirmi che avevo ragione, ha preferito scriverlo nel blog.
    E' anche molto brava con le mani. Lo è sempre stata, ma per capirlo deve continuare a liberarsi - come sta facendo da un po' di tempo - dell'idea molto bizzarra che l'unica parte del corpo degna di considerazione è quella a cui fanno da confine le orecchie (che a sventola proprio non sono, tra l'altro). Una parte che poi, nel suo caso, possiede la malleabilità di un blocco di granito.
    Insomma, non si può avere tutto. Ma per fortuna il suo Ulisse le vuole bene anche così.
    E in fondo sa di essere ricambiato. Basta seguire le circonvoluzioni e le circonvallazioni mentali e, alla fine, si trova sempre un segnale che ce lo fa capire.

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  4. non male per san valentino quest'ultimo commento ;-)

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  5. ma finalmente!
    io per me secondo me, sei bravissima.
    mi piacciono molto le cose che realizzi con le mani.
    lo scaldacuore poi (ma che bella anche solo la parola) è delizioso.
    adesso siamo abituati eh. dovrei dunque mostrarci le tue creazioni con più assiduità. mai più in queste pagine trascurare la parola craft.
    ooohhh. e ho fatto anche la maestrina della domenica mattina ;)
    un abbraccio e buona giornata, cari penelope e ulisse.

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  6. @ Vera: Hai visto? Mi ha di nuovo presa in contropiede, la Spia!

    @ Tiziana: No, no, che maestrina! Sei molto incoraggiante, grazie!
    Penelope e Ulisse ti abbracciano!

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  7. Lo scaldacuore rosso di Emma è gelosamente conservato nella scatola "Emma: mesi 0-6"...
    Bella la libreria, vuoi venire a mettere in ordine anche la mia :-)?
    A presto, mia cara
    C

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  8. Cara, che bello trovare un tuo commento!
    Mi commuove sapere che hai conservato il maglione che feci per Emma, ricordo ancora quando te l'ho portato.
    Quanto alla tua libreria, temo dovrai metterti in fila! La mia proverbiale sindrome di Furio è nota!
    Un abbraccio

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  9. Mi piacciono un sacco le cose che fai, adesso aspettiamo di vedere le cose con le perline!!!

    Mi piacerebbe avere la tua costanza e la tua tenacia, io spesso desisto e abbandono..brava!

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