domenica 26 giugno 2011

(Sunday Music): W il Margatania FC!

Sì, lo so, qui si bara.

Questo non è un video musicale - benché la musica ci sia, e anche di mio gusto - ma è un gioiello.

Me lo ha segnalato la Spia, che mi conosce bene e sapeva che avrei apprezzato, anche se probabilmente non si aspettava che, durante la visione di questo video, mi trasformassi in un vero e proprio idrante umano.

Ho pianto praticamente dalla prima scena fino all'ultima. Ma non vorrei fuorviarvi. Non è un video strappalacrime. O meglio: non fa questo effetto su individui adulti mediamente equilibrati, cosa che io evidentemente non sono (la parte che mi difetta sarà quella adulta o quella mediamente equilibrata?, mi chiedo. Meglio non approfondire).

Questo video racconta la storia di una squadra di calcio di bambini, che in un anno ha incassato 271 goal e ne ha segnato solo uno - ma al momento in cui è stato girato, questo traguardo non era ancora stato raggiunto.

Una squadra di bambini che sì, sono perfettamente consapevoli di aver sempre perso e si aspettano di perdere ad ogni partita (ma sono contenti quando il punteggio finale si attesta sull'11 a 0, perché ne hanno avuti altri che viaggiavano intorno al 27 a 0), ma coltivano il sogno fresco e fiducioso di segnarlo quel benedetto gol, anche uno solo. 

E si preparano a quell'evento, e continuano a giocare, con immutato entusiasmo e ottimismo e impegno, ma soprattutto con divertimento, che è forse la cosa che più mi ha commosso.

C'è da imparare molto dalla visione di questo video, io credo.

C'è da imparare da questi bambini e dagli adulti che sono loro vicini, che evidentemente sono stati capaci di trasmettere non soltanto le regole del gioco (che però non sembrano essere state assimilate del tutto, visti i risultati!), ma anche una tenerissima fiducia nella propria capacità di migliorare e un incrollabile gusto del gioco, a dispetto di ogni disfatta e sconfitta. 

Questi bambini sulla carta sono dei perdenti tragici, degli sfigati colossali e degli incapaci.
Nella realtà, sono dei veri sportivi e dei vincitori.

Concedete a questo video 10 minuti della vostra attenzione e del vostro tempo. 
Non ve ne pentirete.

Buona domenica!







giovedì 23 giugno 2011

Di piaghe d'Egitto, di audaci piccioni e di una torta di ricotta

Insomma, c'è poco da girarci intorno. 
Qui si batte la fiacca.

Il problema è che è arrivata l'estate.

"Qualche mese fa il problema era che era arrivata la primavera", qualcuno potrebbe osservare, ricordando certe mie geremiadi.
E a ragione. 

"Forse il problema è che tu hai molti problemi con molte cose diverse", potrebbe dire qualcun altro, e anche lui a ragione.

E comunque.
La primavera mi fa dormire, più o meno ovunque, e mi fa venire un po' di malinconia e di paturnie.

L'estate, invece, mi spossa. 
E mi fa venire voglia solo di leggere, ascoltare Paolo Conte e giocare a videogiochi (al momento Rise of Atlantis, una roba che dà vera dipendenza). Insomma, come direbbe mia madre, mi riduce ad una piaga d'Egitto fatta e finita.

Per fortuna, tra i suoi effetti collaterali l'estate non mi toglie la fame, per cui in questa casa si mangia, come al solito.
Ma si sperimenta poco. E quando lo si fa, raramente si ha voglia di fare qualche scatto (non che faccia una grande differenza, data la media qualità delle mie foto!).

Ma questa torta - che non è certo né una novità né una ricetta particolarmente esotica - è davvero buona e piace molto alla Spia, e non solo.

Qualche giorno fa, l'avevo appena fatta e l'avevo lasciata su una gratella, sul tavolo.

Dopo di che, un piccione particolarmente audace - o goloso, chi sa - è entrato dal balcone in cucina, è salito sul tavolo e si è abbondantemente servito della torta.

Quando la Spia, presentendo qualche disgrazia, è entrato in cucina, ha avuto una delle visioni più raccapriccianti della sua vita: un piccione - animale da lui sommamente detestato - che mangiava la SUA torta.

Ripresosi dal trauma, la Spia l'ha cacciato via a male parole e il piccione, poveretto, è volato via come un fulmine e per la paura ha dato una sonora capocciata alla porta finestra. 
Poi la Spia ha inveito contro le due gatte, che sono sempre in giro a cacciare moscerini e farfalle (mai una zanzara che sia una, mai,  accidenti a loro!) e quando c'è bisogno davvero di loro che cosa fanno? Dormono. "Vi mando a lavorare!" l'ho sentito urlare, la Spia, che è una personcina educata e parla sempre come se fosse dentro un confessionale - e quanto mi piace questa cosa di lui, benché a volte faccia una fatica del diavolo a capire che cosa dice e che cosa vuole (ma ho notato che dire "Sì, caro" risolve gran parte delle situazioni).

Insomma, non credo sia nella lista dei primi 100 motivi per cui si consiglia di fare una torta, ma nel caso voleste compiacere un piccione, sappiate che con questa potreste riuscirci con facilità.

Una parola ancora sulla ricetta, che è presa da I love cake di Trish Deseine di cui ho parlato già qui.

Ho fatto questa torta diverse volte e a parte la prima ho sempre modificato la procedura (sul libro ce n'è una a mio parere piuttosto inusuale) e anche le quantità di burro,  zucchero e ricotta. Forse la versione più equilibrata è questa di cui vi do le quantità, ma tra parentesi metto l'ultimo "modello", in cui ho aumentato considerevolmente la ricotta e ridotto ulteriormente il burro. Ovviamente tutte queste modifiche comportano variazioni nel tempo di cottura e nella consistenza della torta, che diventa più morbida, quasi fondente. Non è una torta ariosa, sappiatelo, ma umida. 


Torta di ricotta da I love cake di Trish Deseine

(per una tortiera di 20 cm di diametro)

80 gr di uvetta
100 ml di Marsala
125 gr di burro (80 gr)
125 gr di zucchero 
3 uova, separate
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
250 gr di ricotta (300)
175 gr di farina
1 cucchiaino e mezzo di lievito per dolci

Preriscaldate il forno a 180°.

In un pentolino scaldate appena il Marsala, poi metteteci l'uvetta e lasciatela riposare per circa 20'.

Nel frattempo lavorate il burro con lo zucchero fino ad avere un composto soffice.
Aggiungete i rossi delle uova, poi l'estratto di vaniglia, la ricotta e le uvette CON il Marsala (secondo la ricetta originale il Marsala si butta; orrore e abominio!, al limite lo si beve, ma buttarlo...), la farina e il lievito (entrambi setacciati).

Montate le chiare e unitele al composto che poi verserete nella teglia imburrata e infarinata.

Fate cuocere per circa 40-50' (nel mio forno più 50' che 40').

Sfornate, mettete su una gratella e lasciate raffreddare - eventualmente vigilando che nessun piccione ne approfitti per assaggiare il risultato delle vostre fatiche (si fa per dire, è facilissima!).

Servite eventualmente con zucchero a velo - cosa di cui io e la Spia non abbiamo mai sentito il bisogno: la torta è ottima anche così, nature.

Enjoy!




lunedì 13 giugno 2011

Legittimo godimento

La ricetta che oggi intendo proporvi per festeggiare il raggiungimento del quorum è davvero semplice semplice: aprite il rubinetto dell'acqua della vostra cucina, riempiteci un bicchiere, bevete.

Alla salute di tutti gli italiani, qui e all'estero, che hanno fatto tutto il possibile perché l'acqua rimanesse una risorsa per tutti, il no al nucleare una conferma - ma non si era già deciso tutto nel 1987? Altro che Viagra, questi politici dovrebbero assumere qualche pillolina di fosforo! - e la legge effettivamente uguale per tutti, ma davvero tutti, e non solo i ladri di polli o i poveri disgraziati.

Evviva!

(La foto, a mio parere bellissima, ovviamente non è mia. 

È del mio carissimo amico Claudio Santambrogio, anima eclettica e curiosa, che tra le sue attività di concertista, informatico e guida artica - avete letto bene - da qualche tempo si è appassionato alla fotografia e con risultati eclatanti.

Bellissime le foto scattate durante la sua lunga permanenza in Norvegia [Claudio ha una sorta di inquietudine nomadica che lo spinge a cambiare paese di residenza almeno una volta ogni 4-5 anni], ma io trovo magnifiche quelle "domestiche" [ma va?], semplici, essenziali, suggestive, assolutamente non costruite o artefatte, ritraenti gli oggetti quotidiani così come sono, con le loro imperfezioni e la loro sommessa poesia.

Claudio ama sperimentare soprattutto in fase di stampa, utilizzando tecniche inusuali e antiche - ad esempio usando il bianco dell'uovo.
Questa fotografia, invece, è una "stampa lith". 
Come mi ha scritto in una mail stamattina:
La stampa lith usa carta e rivelatori tradizionali b/n, ma lo sviluppo si  
effettua con un rivelatore altamente diluito: in questo modo si ottengono  
ombre scure e luci morbide.  Si può osservare un caratteristico viraggio  
del colore, dovuto ai tempi di sviluppo lunghissimi.  Viraggi creativi  
possono ulteriormente esaltare la paletta cromatica.
Trovate le sue bellissime foto, oltre ad altre notizie su di lui e sulle sue multiformi passioni e attività, nel suo sito: http://csant.info/).

domenica 12 giugno 2011

Domenica 12 e lunedì 13 giugno: si va a votare!

La vita non è né brutta né bella, ma è originale! - così diceva Italo Svevo.

Oh se aveva ragione Italo Svevo!

Questo mese di giugno me ne ha dato ampia conferma.

La faccio breve perché vi voglio bene, ma sono stata a lungo convinta che non sarei stata in Italia e non avrei votato per i referendum, e non a causa di impegni improrogabili o nobili cause, ma per una vacanza. 

Per colpa mia e dei miei pochi neuroni, che pur sapendo da tempo che il 12 e il 13 giugno si sarebbe votato, al momento giusto abbiamo disinvoltamente dimenticato questa informazione e abbiamo prenotato e comprato biglietti aerei e ferroviari per una sospiratissima e lungamente progettata vacanza a Londra.

Non voglio assumere pose melodrammatiche, ma la consapevolezza di aver dato un'ottima prova dei lati forse peggiori di me - una certa qual superficialità e una tendenza al velleitarismo - e di non poter scaricare la colpa su nessuno se non su me stessa, mi ha ridotto per quasi un mese ad una mezza larva, incline all'autoflagellazione e in preda a una profonda vergogna.

L'impossibilità di uscire dall'impasse se non a caro prezzo (economico, nel caso in cui avessi deciso di cancellare la vacanza per andare a votare; morale, nel caso in cui avessi optato per il fatalistico "E' andata così, va bene è colpa mia, ma ora comunque cerchiamo di goderci la vacanza" - che non mi sarei goduta, ovviamente) mi ha ridotto ad uno stato di pressoché totale impotenza finché la vita che, appunto come diceva Svevo, è originale, ha avuto pena di me.

Con un colpo di scena ha scompigliato le carte e mandato all'aria la vacanza. 
Stavolta non per colpa mia, ma per cause indipendenti dalla mia volontà: il che ha significato, tra le altre cose, perdere tutti quei soldi che mi sentivo in colpa a buttar via dalla finestra per andare a votare; ma dato che non l'ho deciso io, ora, il fatto di buttarli davvero via mi fa sentire leggera ed euforica.

In realtà, a ben guardare, il disagio di chi si è visto salvare per un pelo ma non per propri meriti, c'è, eccome; e il fatto che se non fosse stato per questo provvidenziale imprevisto oggi, invece di scrivere queste righe, sarei probabilmente stata in una libreria londinese, rimane comunque un fatto che lascia l'amaro in bocca; ma di riflessioni scoraggianti e avvilenti in questo mese e mezzo ne ho fatte ad abundantiam e credo di aver imparato la lezione, e bene: posso essere superficiale e una gran velleitaria (non che non lo sapessi già, sia chiaro, ma stavolta la consapevolezza è diversa): è brutto dirselo, ma è meglio farlo e, se si può, correre ai ripari.

E ora basta.
Col cuore leggero anche per avervi messo a parte dei miei psicodrammi, vi saluto: vado a votare, e invito tutti a fare altrettanto, e se possibile, invito tutti a votare sì ad ogni quesito.  Approfittiamo di queste poche occasioni di partecipazione che ancora ci sono riservate per cercare di uscire davvero dall'orrido incantesimo in cui siamo precipitati da quasi vent'anni.

Buona domenica a tutti!


lunedì 6 giugno 2011

Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa di Christopher Hitchens

Mi dispiace, forse non era il momento giusto per leggere questo libro, che mi è parso noioso e verboso.

Niente da eccepire sulla tesi: anzi, mi auguro che sempre più vengano scritti e stampati e letti testi intelligenti e onesti in difesa di una sana laicità.

Il fatto è che sono arrivata quasi a un terzo di questo libro e non vi ho trovato una notizia o uno spunto che mi abbiano sorpresa, indotta a riflettere, divertita, incuriosita. Niente.

Neanche l'ironia che l'autore sparge a piene mani è riuscita a conquistarmi: è un'ironia troppo spesso irritante, per i miei gusti, di quella che si porta dietro l'onnipresente sottotitolo "Mamma mia come sono arguto e intelligente e brillante e caustico".
Uno strazio.

Tengo a ripetere che l'autore sposa una tesi della cui bontà sono ben convinta, e da anni, dunque il mio fastidio non nasce dal vedere demolire senza troppo garbo certe mie idee, al contrario.

Per concludere, una nota per me dolentissima: qualcuno potrebbe dire al signor Mario Marchetti, che ha tradotto questo testo, che in italiano - per quanto ne sappia - si dice "pestaggio" e non "picchiaggio", "rivelatore" e non "rivelativo"?
So che il libro abbonda di simili fantasiose creazioni - altri me lo hanno detto.

Ma queste (le due più macroscopiche che ho registrato) mi sembrano più che sufficienti per farsi prendere da una crisi di sconforto di fronte alla sempre più triste situazione dell'Einaudi.


Christopher Hitchens, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, traduzione di Mario Marchetti, Einaudi 2007.

giovedì 2 giugno 2011

Che cosa combino nella stanza accanto: processi creativi erratici

Ma quanto mi piace passare i pomeriggi nella mia stanza, il tavolo da lavoro ingombro fino all'inverosimile di perle, perline, fili, pinze e tronchesini, cercando di ritrovarmi tra le mani qualcosa che mi piaccia.

A volte, ma è raro, parto con un'idea già in testa - idea che, come spesso accade, esce fuori così, inopinatamente, nei momenti meno opportuni, ultimamente soprattutto all'alba: mi sveglio e penso qualcosa tipo "Ecco come fare!" - e c'è solo da raccogliere tutti gli ingredienti necessari e mettersi al lavoro assemblandoli.

Per lo più, però, l'idea è vaghissima e magari si limita a un colore, oppure ad un particolare tipo di perla che voglio usare ma non so come e per cosa e con che cosa.

E allora il processo è tortuoso e assolutamente non lineare e a volte è questione di aggiustamenti minimi, ma necessari: quella perlina che invece di star qui è meglio stia lì o accanto a quella e non a questa, un cordino invece di un altro. 

Ma non è facile capirlo subito, o almeno non lo è per me, e a volte per fare un paio di orecchini ci metto anche una settimana di tentativi anche perché accosto, provo, faccio, sfaccio, riprovo, riaccosto, metto al collo e alle orecchie, valuto, giudico, smonto e ricomincio e nel frattempo vado in cucina, faccio merenda, vado nello studio della Spia a fare quattro chiacchiere, do l'acqua ai fiori, carezzo le gatte, cucino, parlo al telefono con qualche amica, insomma, vivo.

Vorrei avere dei processi creativi più lineari, più disciplinati, meno casuali (e soprattutto meno dispersivi e che richiedano meno tempo) ma pare per me sia assai raramente possibile. E pace, esistono problemi più seri.

Ieri pomeriggio, comunque, ho avuto una di queste "sessioni" creative intensive, a metà della quale sono dovuta uscire per andare dal ferramenta, il mio ferramenta di fiducia, dove quando arrivo i commessi fanno finta di imboscarsi perché li faccio diventare matti.

Spesso non conosco il nome di ciò che voglio, o se lo so lo so in inglese e allora cerco di descriverlo, con risultati che vanno dal surreale allo psichedelico; a volte, invece, semplicemente non so che cosa voglio e vado dal ferramenta in cerca di idee ed è in questa versione, soprattutto, che divento particolarmente molesta e nociva per i poveri commessi.

In entrambi i casi, questi commessi con me sono tanto pazienti, ma pazienti che non vi dico, e sempre molto sorridenti, di quei sorrisi che in genere si riservano alle vecchiette svaporate che si capisce non vogliono tormentare nessuno intenzionalmente, però finiscono per farlo, e con metodo, caparbietà, costanza.

E poi arriva sempre il momento in cui sfoggiando io il mio miglior sorriso chiedo "Non è che mi farebbe passare dietro il bancone che da qui non vedo bene?" e allora davanti a tutti quei cassettini pieni di robine interessanti mi sento un po' come quando sono in libreria e tutti quei libri, quella scelta quasi illimitata, mi mettono letteralmente in uno stato di frenesia euforica. 

Tantissime idee mi vengono in mente quando sono dal ferramenta e se non mi vengono (ma è raro), mi viene sicuramente il buonumore - che è persino più importante, a volte, delle idee.

Come che sia, alla fine sono tornata a casa e ho capito che cosa mancava alla collana che stava cercando di materializzarsi sul mio piano di lavoro: delle schegge di pietre dure zambiane, che ovviamente non ho preso dal ferramenta, ma che con quello che ho comprato lì e certe perle strane di vetro grigio acquistate non ricordo nemmeno dove secondo me stanno molto bene.

Eccola qui, la collana che volevo.
Una con granati per me e una con ametisti per lo shop.