mercoledì 29 dicembre 2010

Le poesie del mercoledì: George Gray - Edgar Lee Masters

La prima volta che ho letto questa poesia credo avessi 17 o 18 anni ed ero ossessionata da Cesare Pavese.

Come molti sanno, fu grazie a lui che Fernanda Pivano conobbe L'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, dalla quale rimase tanto incantata da volerla tradurre in italiano "per uso personale", come si suol dire: quel suo manoscritto, tenuto in un cassetto della sua scrivania e nascosto con pudore, finì poi nelle mani di Pavese, che convinse Giulio Einaudi a pubblicarlo.

Lunga è la lista di intellettuali, poeti, musicisti e persone comuni (se mai è pensabile usare un simile aggettivo per le persone) che negli anni questa straordinaria raccolta di poesie ha sedotto e turbato.

Forse proprio le parole di Fernanda Pivano possono aiutare a capire le ragioni di tanta fascinazione:

Non c'è dubbio che per un'adolescenza come la mia, infastidita dalla roboanza dell'epicità a tutti i costi in voga nel nostro anteguerra, la semplicità scarna dei versi di Masters e il loro contenuto dimesso, rivolto a piccoli fatti quotidiani privi di eroismi e impastati soprattutto di tragedia, erano una grossa esperienza; e col tempo l'esperienza si approfondì, individuando, coi temi di quel contenuto, il mondo che lo ispirava: la rivolta al conformismo, la brutale franchezza, la disperazione, la denuncia della falsa morale, l'ironia antimilitarista, anticapitalista, antibigottista: la necessità e l'impossibilità della comunicazione. In questi personaggi che non erano riusciti a farsi "capire" e non avevano "capito", dal loro dramma di poveri esseri umani travolti da un destino incontrollabile, scaturiva un fascino sempre più sottile a misura che imparavo a riconoscerli; e per riconoscerli meglio presi a tradurli, quasi per imprimermeli nella mente.

Tante le voci di questo cimitero di collina che mi emozionano e mi parlano (e negli ultimi tempi trovo sempre più vera quella di Dorcas Gustine).

Ma quella di George Gray rimane, da sempre, quella che più sento mia.
Oggi, come al tempo dei miei 17 anni, mi ricorda quanto e che cosa si rischi a non vivere la propria vita.


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George Gray

Tante volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vano desiderio -
è una barca che anela al mare eppure lo teme.

martedì 28 dicembre 2010

Di maratone culinarie, di eleganza natalizia e di una crema da spalmare al caffè

Esattamente come l'anno scorso, anche quest'anno non sono riuscita a scrivere il post pre-natalizio con tutte le ricette delle varie conserve che ho deciso di regalare.

E dire che, rispetto a quella del 2009, la produzione di quest'anno è stata quasi industriale (chiedete alla Spia quanti chili di cioccolata e burro e litri di panna ed etti di nocciole e uvetta l'ho mandato a comprare negli ultimi giorni): credo di aver sfornato almeno una ventina di teglie di biscotti e preparato una trentina di vasetti di ogni genere.

Sono praticamente rimasta chiusa in cucina per 3 giorni.

E poi la mattina del 25, prima di salire su un treno che mi portasse a Roma, di corsa a preparare etichette, biglietti, pacchi, sacchetti.

E dove mettere tutta quella roba evitando indesiderate esondazioni di sciroppo, olio d'oliva e creme?
Credo di essere stata l'unica persona in tutta Italia ad essere andata a un pranzo natalizio con il carrello della spesa dell'Ikea (un'elegantona, ne converrete).

Ovviamente di fare fotografie non se n'è nemmeno parlato: ho fatto tutto talmente di corsa che l'ultimo dei miei pensieri è stato quello di immortalare i risultati delle mie fatiche.

Della produzione su scala industriale di regali mangerecci di quest'anno restano dunque poche testimonianze, per non dire pochissime.

A voi scegliere di credermi o sospettarmi di millantare imprese mai compiute.

Intanto ecco una crema da spalmare che pare abbia riscosso grande successo.
Praticamente è quasi una ganache, e dunque è molto semplice, talmente semplice che mi pare non sia quasi una ricetta (il che è probabilmente vero).

L'ho trovata in Je fais mes pâtes à tartiner, grazioso libercolo scritto da Rachel Khoo e pubblicato da quei furboni della Marabout.
Ne riparleremo.

Per ora, ecco qui la pâte au chocolat noir-moka.

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100 gr di cioccolato fondente al 70%, tagliato a pezzetti (per me 150)
100 gr di cioccolato al latte, tagliato a pezzetti (per me 50)
140 ml di panna liquida
50 gr di burro, tagliato a dadini
60 ml di caffè forte
un pizzico di sale

Scaldate in un pentolino la panna, il sale e il caffè.
La panna non deve bollire.

Versatela sui due cioccolati e sul burro, attendete qualche istante, poi amalgamate.

Ecco.
Finito.
Non un grande sforzo, vero?

Se regalate questa crema, ricordatevi di accludere sull'etichetta alcune informazioni: per esempio che va tenuta in frigo e consumata entro 2 settimane.
Ho l'impressione, però, che non duri tanto a lungo.

Enjoy!

domenica 26 dicembre 2010

Sunday Music: Costruire - Niccolò Fabi

Non conosco molto Niccolò Fabi, per non dire che non lo conosco affatto.

Mi ricordo quando andò a Sanremo la prima volta perché la sua canzone mi sembrò divertente e piuttosto originale nella vetrina generalmente ammuffita e deprimente del festival e perché, ma sì, è sciocco non dirlo, trovai che fosse un gran bel fanciullo, proprio di mio gusto.

Poi, di recente, non ho potuto non sapere del suo dramma, ovviamente.

Qualcuno ha pensato che abbia gestito questo suo dolore tanto personale in maniera discutibile (coinvolgendo i fan, scrivendone su Facebook, rilasciando interviste etc); io non ho un'opinione in proposito, ne so troppo poco per poterne esprimere una - lo ripeto, non è un cantante che seguo.

Mi auguro soltanto che qualunque cosa abbia fatto, non abbia addolorato nessuno e gli sia servita per stare meglio e in pace con la sua coscienza.

Questa sua canzone mi piace molto.

Se avete un attimo di tempo, provate ad ascoltarne le parole: io le trovo bellissime.

Mi sembra una grande consolazione che ci sia qualcuno, ancora, che parli di 'costruire' (un rapporto, un'amicizia, un amore, un legame filiale, un lavoro), che per una volta tanto non canti il fascino della novità, il bisogno ansioso di cambiare, di consumare ogni esperienza e persona con bulimica impazienza ma che, al contrario, celebri la bellezza dell'impegno, la poesia del "giorno dopo giorno", spesso incompresa e soffocata dalla fatica della continuità, dallo sforzo che richiede la cura e il nutrimento, dall'apparente assenza dell'eccitazione di ogni inizio.

Quanta saggezza in questi versi:

nel mezzo c'è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno è silenziosamente
costruire

e costruire è sapere
e potere
rinunciare
alla perfezione


Buona domenica a tutti!

(Grazie a Shiva)




mercoledì 22 dicembre 2010

Le poesie del mercoledì: Ringraziamento - Wislawa Szymborska

Chi non conosce (e non ama, aggiungerei io) Wislawa Szymborska?

Devo alla suocera, qualche anno fa, il mio primo incontro con una sua raccolta di poesie: per me è stato amore a prima vista.

Mi ha subito conquistato la voce di questa poetessa, il suo timbro pervaso spesso di ironia leggera, di umorismo sottile e stralunato, ma anche di tenerezza, nostalgia, passione.

Quelli della Szymborska sono occhi ben aperti sul mondo: c'è molta verità e molta realtà nelle sue poesie, nessuna posa da poeta ispirato, in contatto con dimensioni sublimi e profonde dell'essere cui i comuni mortali, le cui orecchie sono miseramente sorde ai richiami delle muse, non hanno accesso.

Non mancano atmosfere a tratti visionarie, spesso nate da suggestioni semplici, quotidiane; per la Szymborska, meditazioni filosofiche e morali o introspezioni chirurgiche e precise nella propria nebulosa interiorità possono essere fatte anche solo osservando una banalissima cipolla.

Come nel caso di Vivian Lamarque, è stato difficile per me scegliere una poesia, una soltanto.

Alla fine ho pensato che questa, in questo esatto momento della mia vita, proprio oggi, qui, in questo studio nel quale sto scrivendo questo post, sia quella che mi rappresenta forse di più.


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Ringraziamento


Devo molto
a quelli che non amo.

Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.

La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.

Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l'amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.

Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come una meridiana,
capisco
ciò che l'amore non capisce,
perdono
ciò che l'amore mai perdonerebbe.

Da un incontro a una lettera
passa non un'eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.

I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.

E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che trovi su ogni atlante.

È merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perché mobile.

Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.

"Non devo loro nulla" -
direbbe l'amore
sulla questione aperta.


(da Wielka liczba [Grande numero], 1976)

domenica 19 dicembre 2010

Sunday Music: Tears Dry on Their Own - Amy Winehouse

Non c'è molto da scrivere, a parer mio, su Amy Winehouse.

È un genio, io credo.

Un talento vero, potente, originale.

Un personaggio così inusuale e insieme così stereotipato - l'ennesima star dalla vita più che spericolata, perennemente in lotta con la consueta ansia di autodistruzione che al solito si manifesta, ahimé, con le più varie e letali forme di dipendenza.

Sembra incredibile abbia meno di 30 anni e abbia vissuto la vita che finora si è trovata a vivere (o che ha scelto di vivere, a seconda dei punti di vista).

Sembra assurdo che un dono come quello che evidentemente ha non riesca ad esprimersi se non anche attraverso tutta la consueta gamma di abiezioni e abbrutimenti di cui i giornali si affrettano ogni volta, con impietosa dovizia di particolari, ad informarci.

Questa non è forse tra le sue canzoni più rappresentative o più belle, ma è di sicuro tra le mie preferite.

Ci avverto una nota di speranza che, mi piace pensare, possa una volta o l'altra convincere questa talentuosa e tormentata fanciulla che non c'è davvero bisogno di infliggersi ciò che finora si è inflitta.

(Grazie a Francesca)



venerdì 10 dicembre 2010

Del cane pavloviano e di assi nella manica o di un gratin di patate

Mi ha sempre affascinata la strana mistura di complessità e semplicità della Spia.

Per certi versi è un uomo complicato e circonvoluto, con meccanismi e dinamiche nient'affatto prevedibili e scontati.

Per altri, invece, è semplice e comprensibile come un organismo monocellulare dal quale ci si può attendere una precisa gamma di determinate reazioni e non altre, e sempre quelle, e sempre secondo determinati ritmi e tempi e modalità.

Per esempio, un po' come il cane pavloviano, la Spia non può che reagire con un inerme e riconoscente sorriso ogni volta che gli preparo questo gratin di patate, non importa quanto abbia desiderato, fino a un minuto prima, spaccarmi la testa o usarla come bersaglio per tirare a freccette.

(Sia detta per inciso una grande banalità: se anche il vostro amato bene è un po' come la Spia, vi consiglio di procurarvi un paio di ricette di piatti da lui/lei prediletti, da tirar fuori - come assi nella manica - al momento opportuno. Scegliete voi le occasioni, ma sceglietele con saggezza e anche, se posso permettermi di dirlo, con magnanimità: avere simili frecce al proprio arco significa prendersi anche delle responsabilità e non approfittare troppo del proprio potere!).

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Creamy Potato Gratin da Nigella Bites di Nigella Lawson

(per 3 persone, o per una Spia)

600 gr. di patate
160 ml di latte
160 ml di panna
1 cipolla intera, sbucciata
1 spicchio d'aglio, passato allo spremiaglio
1 cucchiaino di sale
burro


Preriscaldate il forno a 240°.

Pelate le patate e tagliatele a fettine spesse circa 1 cm (io ho usato un'affilatissima mandolina); mettetele in una casseruola insieme a tutti gli altri ingredienti, tranne il burro.

Fate sobbollire dolcemente fino a quando le patate non si siano ammorbidite, diciamo 15'-20' - ma molto dipenderà dal loro spessore: tenete presente, però, che non dovete ottenere un puré: le fette devono essere ancora riconoscibili, ma sul punto di sfarsi.
Se vi sembra che latte e panna si siano troppo ridotti, aggiungetene un po', senza esagerare.
(La casseruola avrà un fondo incrostato da far paura ma non fatevi prendere dal panico: lasciatela in ammollo, volendo con poco sapone per lavastoviglie, e pulirla non sarà il delirio che immaginate. È un consiglio di Nigellona, non mio, e funziona).

A questo punto prendete una pirofila, ungetela leggermente con del burro e rovesciateci dentro le patate e tutta la loro crema.
Qualche fiocchetto di burro e in forno per circa 15': in alcuni punti le patate dovranno essere quasi bruciacchiate e la crema dovrà gorgogliare come lava.

Vi consiglio di attendere almeno una decina di minuti prima di avventarvi sopra questa squisitezza: la temperatura è davvero assai prossima a quella di fusione del criceto (come diceva Lorenzo/Guzzanti).


Enjoy!

(Altra parentesi: la prossima settimana sarò nuovamente latitante. Vado a Bruxelles, a bearmi - finalmente - dell'atmosfera natalizia del grande Nord. Sognavo di farlo da molti anni e ora ho deciso e vado! A presto!)


mercoledì 8 dicembre 2010

Le poesie del mercoledì: Senza occhiali intravedo - Vivian Lamarque

(Lo scrivo tra parentesi perché un po' mi imbarazza, anche se mi fa un piacere immenso sapere di avere un posto tutto mio in quel blog bellissimo che è the t-time, ma proprio ieri Tiziana ha pubblicato un lungo, lunghissimo post su di me, nell'ambito di quella sua bella iniziativa che va sotto il nome di perché a me piace con la quale promuove "la creatività femminile" sul web.

Se avete voglia e tempo, andate a leggere qui e capirete bene perché da ieri pomeriggio c'è un sorriso beatamente idiota stampato sul mio faccione miope, faccione che avrete anche il privilegio di vedere, visto che c'è anche una mia foto.
Aaargh, che colpo!
Vi siete ripresi? Bene, adesso se volete e non avete niente di meglio da fare, restate pure qui, sedetevi sulla poltrona - ché forse ne avete bisogno - e leggetevi la vostra poesia del mercoledì).


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Mi è molto difficile scrivere il post di oggi, perché non so quale poesia scegliere.

Persino adesso, proprio in questo momento, non ho ancora deciso.

È così difficile nel caso di Vivian Lamarque, una delle mie poetesse preferite.

In questi giorni, per preparare questo post, ho ripreso in mano il volume della Mondadori che raccoglie tutti i suoi testi di poesia dal 1972 al 2002.

Ogni volta che potevo, quando avevo un momento di tempo, lo sfogliavo: una poesia letta in piedi mentre mescolavo il risotto, un'altra mentre attendevo che scattasse il bollitore per versare l'acqua calda nella teiera, un'altra ancora mentre la Spia si lavava i denti, prima che fosse il mio turno di usare il bagno.

Non so decidere, davvero.

Perché Vivian Lamarque ha una voce particolare che suona evidentemente assai familiare al mio orecchio e praticamente ogni cosa che ha scritto e che scrive trova la strada per arrivare a me.

A volte è una strada brevissima, fulminea, diretta; altre è un sentiero più tortuoso, che a tratti scompare alla vista, sembra perdersi, poi torna ed arriva comunque dove deve arrivare.

Come canta lei la nostalgia dell'amore, dell'amore impossibile, negato, sfuggente, come canta lei il dolore del desiderio non corrisposto, forse nessuno (e le sue poesie dedicate al suo analista sono capolavori, da questo punto di vista).

Ma non aspettatevi parole tetre, pesanti, di intensità morbosa.
Al contrario.
Se aprirete un suo libro vi troverete piume, un'incantevole alchimia di leggerezza, ironia, tenerezza appassionata, goffaggine, entusiasmo infantile, malinconia, umorismo.

Non posso certo copiare l'intero volume, dunque eccovi la vostra poesia di oggi.

È una sola, e nemmeno delle più rappresentative e famose, la prima che mi è capitata sott'occhio stamattina.

Ma se volete farvi un regalo, andate a cercare anche le altre, leggetele.
Mi ringrazierete, ne sono certa.


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Senza occhiali intravedo


Senza occhiali intravedo
che quasi quasi mi vuoi bene
infatti pressappoco stai sorridendo proprio a me.
Ma con gli occhiali non si scherza
metto a fuoco perfettamente la tua figura seduta
così moderatamente gentile
e bendisposta nei miei confronti
sorridente per buona volontà.

(da L'amore mio è buonissimo, 1978)

domenica 5 dicembre 2010

Sunday Music: Subdivison - Ani Di Franco

Per anni ho acquistato libri come altre donne acquistano vestiti e scarpe: in maniera compulsiva, sconsiderata, bulimica.

A volte anche solo perché mi aveva colpito la copertina, o perché un'amica di un amico del cugino di un mio amico aveva sentito dire da un amico del fratello del suo ragazzo che quel libro era bello.

Ovviamente ho preso molti granchi nella mia storia di consumatrice di libri.
Di cose francamente e irredimibilmente brutte, per fortuna, me ne sono capitate tutto sommato poche.
Pur facendomi guidare a volte dall'istinto, mi sono sempre mantenuta entro certi limiti per me invalicabili: niente letteratura sentimental-spazzatura, niente best sellers del mese, niente libri presentati in tv in qualche programma orrendo, niente edizioni sciatte e impresentabili.

Anche così, però, qualche delusione l'ho patita. E ci sta.
Ma anche leggere libri brutti o insulsi è istruttivo.
Quanto meno fa capire quali siano i propri gusti in fatto di letture, di cosa si ha bisogno, che cosa si cerca nei libri.
Non è poco.

Poi, da quando sono tornata in Italia definitivamente, ho scoperto che i libri che veramente mi interessa acquistare e possedere sono pochi. Sono soprattutto classici, libri di cucina, manuali pratici, e i testi di pochissimi autori di cui voglio avere tutto.
Per il resto esistono quelle meravigliose e meritevoli istituzioni che sono le biblioteche.

Bene, direte voi. Così risparmierai un bel po' di soldi, anche.
Purtroppo no. Perché adesso invece che libri acquisto musica.

Ah comprare musica, che emozione!
Portarsi a casa propria canzoni da ascoltare e ascoltare e ascoltare, secondo l'umore del momento, le suggestioni del tempo atmosferico, le emozioni che ci si smuovono dentro: che lusso, che ricchezza, che orizzonti infiniti da esplorare.

E quante scoperte entusiasmanti in questi ultimi anni.
Quanti autori nuovi per me, trovati per caso, ma per lo più presentatimi da amici, persone che mi sono vicine, che mi hanno detto: "Ascolta questo e dimmi che ne pensi".

Ma quant'è bello fare ascoltare musica a qualcuno e vedere sul suo viso accendersi la stessa emozione che proviamo noi.
Che modo semplice, magico, di raffinare e moltiplicare in modo esponenziale il proprio punto di vista sul mondo, di risvegliare la propria sensibilità a temi e suggestioni che altrimenti ci sarebbero lontani, estranei e che invece contribuiscono a far di noi esseri umani più completi, più comprensivi, più complessi.
Che modo splendido, immediato, potente di essere vicini.

Buona domenica!







mercoledì 1 dicembre 2010

Le poesie del mercoledì: Io ti amo - Stefano Benni

Il mio primo incontro con Stefano Benni è avvenuto circa 2o anni fa, in un pomeriggio autunnale, su una panchina in piazza Cola di Rienzo, a Roma.

Appena uscita dalla libreria dove avevo acquistato Il bar sotto il mare, per l'impazienza di leggerlo subito mi sedetti sulla prima panchina che trovai e, incurante del freddo, stetti lì a leggerlo fino all'ultima pagina.

Poi partii alla ricerca dei suoi libri precedenti: alcuni li ho amati molto, altri meno, ma in tutti ho ritrovato la voce inconfondibile del loro autore, quell'umorismo a tratti sottile, a tratti perfido, venato di malinconia o virante al surreale, quello sguardo sulla realtà che è a volte tenero, a volte giocoso, e sempre intelligente e vibrante di curiosità.
Così come ho avuto un periodo Woody Allen e uno Oscar Wilde, ho avuto sicuramente anche un periodo Stefano Benni, concluso - ahimé - diversi anni fa.

Nel pieno del mio periodo Benni, uscì - con mia grande gioia - una sua raccolta di poesie, Ballate, uno dei libri cui sono maggiormente affezionata.

Ce ne sono alcune brevissime, che mi piacciono tanto, come La giraffa:

La giraffa ha il cuore
lontano dai pensieri
si è innamorata ieri
e ancora non lo sa

o ancora L'animale più veloce del mondo:

Il giaguaro in gabbia,
prodigio di natura
fa più di centoventi
sbadigli all'ora

e l'arguta L'amante distratto:

- Gina, forse nel nostro amor
cambiò qualcosa?
"Forse... non sono Gina,
mi chiamo Rosa".

Ma riprendendo in mano queste Ballate, non posso non ricordare la voce di un mio amico che, in un altro pomeriggio di qualche anno dopo, su un'altra panchina, mi declamò, stile "Gassmann legge Prévert", la seguente poesia (e a ripensarci, ancora mi viene da ridere):


****

Io ti amo

Io ti amo
e se non ti basta
ruberò le stelle al cielo
per farne ghirlanda
e il cielo vuoto
non si lamenterà di ciò che ha perso
che la tua bellezza sola
riempirà l'universo

Io ti amo
e se non ti basta
vuoterò il mare
e tutte le perle verrò a portare
davanti a te
e il mare non piangerà
di questo sgarbo
che onde a mille, e sirene
non hanno l'incanto
di un tuo solo sguardo

Io ti amo
e se non ti basta
solleverò i vulcani
e il loro fuoco metterò
nelle tue mani, e sarà ghiaccio
per il bruciare delle mie passioni

Io ti amo
e se non ti basta
anche le nuvole catturerò
e te le porterò domate
e su te piover dovranno
quando d'estate
per il caldo non dormi
E se non ti basta
perché il tempo si fermi
fermerò i pianeti in volo
e se non ti basta
vaffanculo

(da Ballate, 1991)