domenica 25 gennaio 2009

Momenti di essere

Il 25 gennaio 1882, al 22 di Hyde Park Gate, a South Kensington, Londra, nasceva Adeline Virginia Stephen, più nota come Virginia Woolf.Non ho certo la pretesa di poter scrivere qualcosa di nuovo o di originale su di lei: ogni anno aumenta il numero di libri, pagine web ed articoli che ne scandagliano le opere e la vita, secondo le prospettive e le ottiche più diverse. A ciascuno la sua Virginia Woolf. A me la mia.
Sono anni che accumulo su di lei libri su libri. Tre interi scaffali della mia libreria sono occupati dai suoi romanzi, racconti, epistolari, diari e da alcune delle centinaia di biografie che sono state scritte su di lei, da quella del nipote Quentin Bell, pubblicata da Garzanti nel 1974 (che resta una delle più complete e piacevoli da leggere), all'intensa Possiedo la mia anima (Mondadori 2007) di Nadia Fusini; da quella monumentale di Hermione Lee del 1997 a quella di Julia Briggs del 2005 (queste ultime mai tradotte in italiano). Esistono libri che hanno esplorato le sue relazioni con le donne (come Virginia Woolf e le sue amiche di Vanessa Curtis, La Tartaruga Edizioni, 2005) e il complesso e simbiotico legame che per tutta la vita la unì alla sorella Vanessa Bell (Jane Dunn, Sorelle e complici, Bollati Boringhieri, 1995); altri che hanno parlato del suo tormentato rapporto con le sue domestiche (se non mi credete date un'occhiata qui, malfidati! pare si tratti di uno studio serissimo, prima o poi me lo comprerò!) e quelli che invece, ovviamente, si sono concentrati sul ghiotto boccone dei suoi disturbi psichici.
Di alcune opere di Virginia Woolf ho sia la versione inglese sia quella italiana, e mi rendo conto che da fuori la cosa può sembrare solo una stramberia da maniaci; temo lo sia. Non c’è altra definizione per il mio legame con questa scrittrice se non ‘mania’; forse‘ossessione’. Ma vorrei che da entrambe queste parole venisse eliminata ogni connotazione negativa e mortifera. Perché il mio attaccamento per questa scrittrice è assai lontano dalle atmosfere cupe ed inquietanti che in genere si associano a termini tanto estremi. Al contrario, leggerla per me è sempre stato un grande conforto, spesso puro divertimento, sempre una fonte di perenne stupore di fronte alla limpidezza e all'agilità di una mente superba, capace di scandagliare l’intera gamma dei sentimenti e delle emozioni umani con una chiarezza, una fedeltà al vissuto e un’acutezza per me ineguagliate.
A Virginia Woolf interessava ogni più piccolo moto dell'anima, soprattutto quelli fuggevoli, vaghi, senza nome, che scolorano l'uno nell'altro, nella perenne corrente in cui è immersa la nostra vita interiore, in un fluire ininterrotto di movimenti impercettibili: difficile coglierli, quasi impossibile dar loro un nome. Lei ci riusciva. Per farlo, utilizzava le parole con una maestrìa ed una flessibilità incomparabili e si sottoponeva a degli sforzi mentali inauditi. Per farlo, viveva con intensità, concentrazione, con un'instancabile e reale curiosità per il mondo.
Ma non pensate ad una donna ombrosa, chiusa in profonde e sublimi meditazioni, separata dalla vita. Nelle parole di chi la conobbe ritorna sempre l'immagine di un essere capace di grandi allegrie, amante del pettegolezzo e delle chiacchiere, dalla risata argentina e irresistibile, che inventava su due piedi le storie più buffe e stralunate per divertire un amico, o i nipoti, da lei, donna senza figli, amatissimi. Si sa che le piacevano le pere, il verde, cuocere il pane, ricamare, e che quando faceva il bagno ripeteva ad alta voce i dialoghi dei suoi personaggi scritti il giorno prima. Univa una bellezza insolita, preraffaelita, che metteva soggezione, ad un'assoluta mancanza di gusto nel vestire (cosa di cui era acutamente consapevole e di cui si crucciava immensamente); non sapeva scegliersi un cappello decente e non era capace di raccogliersi i capelli senza far cadere almeno una forcina nel piatto della minestra. Eppure, incantava praticamente chiunque la incontrasse.
Non si contano le illuminazioni su me stessa, sugli altri, sulla vita che ho avuto leggendo i suoi libri. E non è in fondo questo quello che si cerca leggendo? Capire di più il mondo, guardarlo da una prospettiva diversa dalla nostra, osservarlo sotto una lente che non abbiamo mai avvicinato ai nostri occhi? Non tutto mi è chiaro di lei, nonostante siano più di quindici anni che la leggo, la studio, cerco di conoscerla. Non tutto ciò che ha scritto ha trovato la strada del mio cuore, come si suol dire. Ancora oggi non sono riuscita a finire di leggere La camera di Jacob (Jacob's Room), da molti considerato un capolavoro.
La Virginia Woolf che preferisco è quella degli scritti autobiografici; la mole immensa del suo epistolario è una miniera ricchissima ed inesauribile di stimoli. I suoi diari sono uno straordinario strumento che permette al lettore di osservare da vicino e senza troppe mediazioni una mente geniale al lavoro, nella sua quotidianità fatta di passeggiate, conversazioni, meditazioni davanti al camino, vagabondaggi per le strade dell'amatissima Londra.
Forse, però, il
'libro dell'isola deserta' come lo chiamo io, o dello 'scoppia-un-incendio-in-piena-notte-devi-fuggire-e-puoi-portare-con-te-un-solo-libro' è Momenti di essere (La Tartaruga Edizioni, pubblicato per la prima volta nel 1977; ecco qui la solita scheda), pubblicato postumo e contenente alcuni scritti autobiografici. E' stata una delle prime acquisizioni del mio piccolo 'fondo Woolf', e forse quella cui sono più legata. Non so quante volte ho letto e riletto i brani in cui vengono tratteggiati i ritratti dei suoi genitori, le loro personalità per molti versi eccezionali, il loro intenso ed esclusivo rapporto, i sentimenti ambivalenti di idolatria, amore e rancore che i figli avevano per loro.

I momenti di essere sono quei rari, preziosi istanti in cui si sente di essere entrati veramente in contatto con la 'realtà'; in cui, liberati dallo stato di inconsapevolezza nel quale si vive gran parte della propria vita (soggiacendo alle convenzioni, adagiandosi in rapporti sterili, obbedendo agli stereotipi, resistendo ai richiami della propria autenticità), in un lampo si intuisce che oltre questa dimensione quotidiana di parziale insensibilità ne esiste un'altra, densa di significato, dove risiede il senso del nostro essere qui.

Questi momenti di essere sono delle scosse, dei colpi violenti. E, ipotizza Virginia Woolf, forse è proprio 'la capacità di ricevere scosse' a fare di lei una scrittrice; è la volontà di trovare una spiegazione che dà senso ad un'esperienza spesso fonte di sbigottimento.


Lo sento, il colpo, ma non è più, come credevo da bambina, un colpo sferrato da un nemico nascosto dietro l'ovatta della vita quotidiana; è o diventerà la rivelazione di un altro ordine; è il segno di qualcosa di reale che si cela dietro le apparenze; e sono io che lo rendo reale esprimendolo in parole. Solo con l'esprimerlo in parole gli conferisco unità; e questa unità significa che ha perduto il potere di farmi del male; mi dà una grande gioia, forse perché così facendo tengo lontano il dolore, rimettere insieme i frammenti. Questo è forse il piacere più intenso che io conosca. (...) Di qui nasce potrei dire una filosofia; o comunque un'idea che ho sempre avuto, che dietro l'ovatta si celi un disegno; che noi - tutti noi esseri umani - rientriamo nel disegno; che il mondo intero è un'opera d'arte; che noi siamo parte di quell'opera d'arte. L'Amleto, o un quartetto di Beethoven, è la verità su questa massa immane che chiamiamo il mondo. Ma non esiste nessuno Shakespeare, non esiste nessun Beethoven; sicuramente e decisamente non esiste nessun Dio; noi siamo le parole; noi siamo la musica; noi siamo la realtà.
(da Momenti di essere, traduzione di Adriana Bottini, La Tartaruga Edizioni, 1993, pag. 92)



I momenti di essere vengono 'attivati' dalle cose più disparate; non dobbiamo pensare a situazioni solenni o ad eventi drastici che in qualche modo segnano un marchio indelebile nello scorrere dei giorni. La verità è che queste violente, fulminee incursioni nella realtà autentica del vivere possono verificarsi in seguito al fatto più banale, all'incontro più insignificante, allo scambio di battute più modesto. La visione di un fiore e l'improvvisa consapevolezza che esso sia una parte vibrante di vita di un tutto più vasto e ricco di senso può bastare a renderci individui diversi, segnati per sempre da quell'istante prezioso e irripetibile di consapevolezza, di contatto immediato e autentico con la realtà, benché sia difficile, a volte penosamente impossibile, esprimere a parole questa esperienza, farne partecipe chi non ha vissuto con noi quell'istante di rapinosa comunione con il mondo.
Proprio questa è l'impresa in cui è riuscita, per sé e per tutti quelli che la leggono, Virginia Woolf. Come si può non amarla per questo, mi chiedo io. Soprattutto pensando a quanto tutto ciò le sia costato.


Virginia Woolf, Momenti di essere, La Tartaruga Edizioni, Milano 1977. Traduzione di Adriana Bottini


7 commenti:

  1. sai che Woolf era una brava fornaia? ci sono ricordi della sua cuoca a proposito, louise Mayer in Recollection of Virginia Woolf, ed Joan Russell Noble, 1972. post lungo da leggere ora, mi ci sono imbattutto. domani leggo bene
    io letto sola Mrs dalloway. lettura nn facile (non che tutto debba essere facile). alcuni passi memorabili, dritti al cuore. inglese non facilissmo
    ciao stefano arturi

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  2. oh sì, lo so che le piaceva fare il pane e mi ha sempre intenerito pensare a questa donna geniale e per lo più inetta sotto molti punti di vista pratici, ma esperta fornaia.
    clarissa dalloway è uno dei personaggi memorabili di woolf, ma prova a leggere orlando. non è facile neanche lui, ma è puro divertimento!

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  3. ciao...
    sono incappata nel tuo post tramite il gruppo dedicato a virginia su anobii.
    l'ho letto e mi sono detta "ma siamo sicuri che non l'abbia scritto io?"
    ho controllato e no, si direbbe proprio che siamo due, ma il pensiero è uno solo. è la prima volta che mi imbatto in qualcuno di "comune" che veda virginia come la vedo io e abbia le mie stesse preferenze, le stesse manie librarie (ivi compresa quella di comprare i suoi libri in italiano e poi pure in inglese, e di abbuffarmi di biografie) e che addirittura si sia fatta fotografare con quel libro in mano (ho una foto di me fuori dalla Tate Modern con il volume in mano e un'espressione di ebete soddisfazione)!
    per non parlare poi della lista dei tuoi libri che vedo qui di fianco, e che ne comprende molti letti anche da me. insomma, è bello trovare uno spirito così affine. e mi pareva necessario dirtelo.
    ora vengo a cercarti anche su anobii, e se non ti dispiace ti avvicino. e magari torno anche a leggere il tuo blog. chissà che non scopra altri elementi in comune :)
    grazie!

    ps ovviamente la mia gatta si chiama virginia
    pps mi chiamo chiara, ma su anobii mi trovi sotto le spoglie di Clarissa D (originale, eh?)

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  4. "Di qui nasce potrei dire una filosofia; o comunque un'idea che ho sempre avuto, che dietro l'ovatta si celi un disegno; che noi - tutti noi esseri umani - rientriamo nel disegno; che il mondo intero è un'opera d'arte; che noi siamo parte di quell'opera d'arte."
    L'intuizione di un momento d'essere...

    P.S.
    Non voglio tediarti con le analogie ma come faccio a non dirti che "Momenti d'essere" è il libro di Virgi che mi è più caro, seguito a ruota da Orlando e dall'"ottocentesco"( per impianto) Night and day?

    P.S.2 Ti invidio la possibilità di leggere in lingua originale. Una volta ho provato ( mi sono dovuta fermare dopo qualche pagina ) ma ho capito che perdevo tanto della freschezza e dell'agilità originarie del testo.

    P.S.3 ( e la faccio finita, prometto!)
    Hai notato che una delle etichette dei miei post è "momenti d'essere"?

    Baci!

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  5. @ Giacinta: abbiamo gli stessi identici gusti, dunque. Anche io amo moltissimo Orlando e il tanto bistrattato (dalla Woolf per prima, che non lo amò mai) Night and Day.
    Leggere in originale i suoi libri è difficile: il suo inglese è complesso, ricco di parole preziose, mai viste. Di solito leggo con le due versioni (inglese e italiana) appaiate sul piano della scrivania. Praticamente la studio!
    Non avevo notato che hai una tag di chiara ispirazione woolfiana e trovo la cosa molto confortante.
    Baci a te

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  6. IO non ho mai letto Virginia Woolf, ma leggere questo post è un gran godimento , come sempre . Ora mi toccherà leggerla. Lei era amica , o aveva una relazione con Vita Sckville West, che creò il giardino di Sissinghurst insieme al marito, questo mi incuriosice molto , di arrivare a lei attraverso questo giardino .

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  7. @ Vitamina: Sissinghurst deve essere un luogo magico: ho visto delle fotografie e ne sono rimasta incantata. E sulla scrivania dello studio nella torre nella quale Vita Sackville West scriveva e leggeva c'è sempre stata - e credo ci sia ancora - una foto di Virginia Woolf incorniciata. Saluti!

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