giovedì 14 gennaio 2010

Di altri traumi infantili, del vittimismo e di uno sformato di verza


Recentemente mi sono imbattuta in una bella frase di Theodore Roosevelt che dice, testualmente:

Do what you can, with what you have, where you are.

Ovvero sia:

Fa' quel che puoi, con ciò che possiedi, dove ti trovi.

Penso sia un gran bel motto da tenere presente, soprattutto quando nella cassetta 'a sorpresa' che il produttore biodinamico da cui si rifornisce il nostro GAS ci prepara ogni due settimane (a sorpresa perché sul suo contenuto noi del GAS non possiamo esprimere preferenze, ma accettiamo quello che, nei vari mesi dell'anno, il produttore ha a disposizione) ci si trova davanti un gran bel verzone e si viene presi da momentaneo - e per me comprensibilissimo - sgomento/avvilimento e dal desiderio irrefrenabile di lasciarlo a marcire lì nella cassetta e mangiare per pranzo un panino al salame.

Pure, non si può certo pensare ogni volta di regalare questa verza a qualcuno (e a chi, poi? visto che quasi tutti i nostri amici qui a Firenze fanno parte del nostro GAS e hanno dunque, anche loro, eventualmente, il loro bel da fare a smaltirne la loro quota personale?).

Se c'è qualcosa che proprio non ho mai tollerato è la verza. Ho ricordi traumatici infantili di orridi e brodosi involtini preparati con le sue foglie e ripieni di carne e altrettanto traumatiche memorie di certe padellate di verza stufata all'aceto che in casa mia accompagnavano immancabilmente, alternandosi con i broccoletti, le salsicce.

Ho scritto più volte in questo blog che da anni cerco di portare avanti una sorta di personale programma di rieducazione alimentare, nel tentativo di raddrizzare le numerose storture del gusto cui i miei sadici genitori mi hanno indotto e di vincere certe idiosincrasie che hanno limitato per molto tempo le mie esperienze culinarie.
Questo programma di rieducazione ha avuto, finora, un discreto successo. A parte quelle per i cardi e il cavolfiore lesso, sono orgogliosa di aver vinto molte mie storiche avversioni (ultimamente addirittura quella nei confronti dei finocchi cotti, di cui si favoleggiava nei cinque continenti).
La natura è evidentemente e fortunatamente più saggia di noi e fa in modo che ogni tot i nostri gusti cambino, in armonia con il ricambio delle nostre cellule, forse.

Quel che è difficile cambiare, però, è la propria testa. Se da decenni siamo convinti di non poter sostenere nemmeno la vista di una verza senza automaticamente provare un desiderio di fuga, un istinto omicida nei confronti del povero contadino che l'ha coltivata o dei nostri genitori che ci hanno costretto per anni a cibarcene, o semplicemente un conato di vomito, sarà assai difficile provare a mettere in dubbio questa granitica certezza. I meccanismi cristallizzati che scattano quasi senza che ce se ne accorga sono tra le robe più letali dell'esistenza. Si rimane incastrati in quell'ingranaggio che sembra partire da sé (sembra, e proprio questo è il punto), e ci si ritrova vittime inconsapevoli e passive.

Ora, se c'è una cosa che proprio non sopporto è sentirmi una vittima. E visto che ci sono diverse occasioni che la vita mi offre quotidianamente perché io possa fare questa avvilente esperienza, non voglio proprio metterci del mio e crearmene altre da me, dal nulla.

Dunque, qualche giorno fa, di fronte a quel bel cespone di verza che occhieggiava dal bordo della cassetta, invece di farmi prendere dallo scoramento ho deciso di sedermi in corridoio, per terra, davanti alla libreria su cui trovano posto i miei libri di cucina, alla ricerca di una ricetta che utilizzasse proprio ciò che in quel momento avevo a disposizione, e in abbondanza (do what you can, with what you have etc. etc.), e che, sperabilmente, mi facesse anche cambiare idea sull'argomento.

E siccome chi cerca (quasi sempre) trova - a meno che non sia la Spia, che come gran parte degli uomini ha delle difficoltà intrinseche nel reperire qualunque oggetto, a meno che non si tratti del telecomando del televisore - mi sono imbattuta in una splendida creatura del mio caro Stefano Arturi. Da quella grotta di Alì Babà che è il suo Pausa pranzo, ecco qui uno stupefacente sformato. La ricetta è copiata pari pari, senza variazioni di rilievo.


per 4-6 persone

una verza (un kg circa)
50 gr. di farina
50 gr. di parmigiano grattugiato + 3 cucchiai (io ho usato del pecorino e del parmigiano, in proporzioni che al momento mi sfuggono; più pecorino che parmigiano, comunque)
400 ml di latte intero
60 ml di olio d'oliva
3 cucchiai di farina di mais per polenta
sale e pepe

Scartate le foglie più esterne della verza, tagliatela a metà, poi in quarti. Affettatela sottilmente e lavatela. Mettetela in una capace terrina e versateci sopra dell'acqua bollente. Lasciatela a bagno per circa 5', poi scolatela, passatela sotto l'acqua fredda, scolatela ancora, asciugatela con un canovaccio pulito e tritatela in modo grossolano (sembra complicato, non lo è. Non usate questa scusa per non provare questo sformato!).

Mettetela nella coppa del robot da cucina insieme alla farina, ai 50 gr. di formaggio, al latte e all'olio. Aggiungete sale e pepe. Se volete (ed io lo volli), unite anche un pezzetto di salamella piccante. Ci sta benissimo. Il bell'Arturi suggerisce anche, eventualmente, 50 gr. di groviera o una salsiccia a tocchetti precedentemente rosolata in padella.

Imburrate una tortiera di 28 cm di diametro, spolveratela con un cucchiaio di polenta e uno di parmigiano. Versate il composto di verza, livellate, spolverate con gli altri due cucchiai di polenta e di formaggio, zigzagate con olio e mettete in forno a cuocere per circa 30'-40'.

Lo sformato sarà bello dorato e per la vostra casa si sarà diffuso un profumo invitante che - statene certi - risveglierà l'appetito del più schifiltoso e rompiballe degli ospiti (o di eventuali mariti/compagni/fidanzati/tizietti, ma anche suocere; la mia ne è stata entusiasta e non l'ha neanche trovato cancerogeno).

Come tutti gli sformati che si rispettino, appena uscito dal forno non dà il suo meglio.
Per mangiarlo, aspettate che abbia raggiunto una temperatura che sia inferiore a quella di fusione del criceto (citazione! chissà chi la indovina...).
Il giorno dopo, vi dirò, sarà ancora più buono.

Enjoy!


26 commenti:

  1. Se non altro per solidarietà di genere, mi sento in dovere di spezzare una lancia a favore di quello maschile, che come è noto possiede - a livello di corpo calloso - delle connessioni neuronali diverse (ma non per questo meno efficienti, sia pure in àmbiti non coincidenti) rispetto all'altra metà del cielo.
    Magari non riusciamo a fare due cose contemporanemente, possiamo fare fatica a trovare anche il telecomando, o addirittura "il culo con due mani", come a volte ama chiosare la mia raffinatissima compagna di avventura. Ma anche noi uomini abbiamo i nostri indubbi pregi.
    Ora non me ne viene in mente neanche uno, ma ci penso e poi magari torno, ok?

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  2. Povera verza! sono lieta che tu le abbia trovato una degna collocazione! La proverò di sicuro (ormai sono una conclamata e reoconfessa ladra delle tue ricette). Al solo nome "verza" la mia sabauda piemontesitudine associa subito il concetto "con le acciughe". Qua si fa come antipasto o contorno. Certo, da digerire è impegnativo, ma ne vale la pena. Gli involtini ripieni di carne credo siano quelli che qui chiamiamo "capunet". A me piacciono un sacco...secondo me, se assaggiassi quelli fatti davvero bene cambieresti idea!

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  3. Cara Milady, non chiedo niente di meglio che cambiare opinione sugli involtini di verza. Tengo a precisare, però, che la mia mamma è universalmente riconosciuta un'ottima cuoca, dunque la mia avversione nei loro confronti può veramente essere un caso disperato.
    Se passo dal Piemonte mi aspetto un invito a cena da te. Il menu già lo conosci!
    :-)

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  4. Quando ci fanno odiare le cose da piccoli non c'è verso, hai ragione. E' quel "brodosi" che non mi convince (penso trattisi di un altro piatto, in effetti). Prova a gugolare "capunet", è un bel piatto di riciclo: è vero che si dovrebbero usare tre tipi di carne, ma ci sono un sacco di varianti...gli avanzi offrono sempre spunti fantastici. Ah, per l'invito non c'è problema!!!

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  5. Sì, in effetti gugolando ho trovato un paio di ricette che sembrano assai promettenti e molto molto diverse dagli involtini che ancora oggi funestano i miei ricordi d'infanzia. Temo si tratti davvero di altra cosa, ben più appetitosa e che, come dicevi tu, può benissimo utilizzare degli avanzi. La versione standard, a quanto mi pare di capire, prevede una frittura (e ovviamente sarà divina; qualunque cosa fritta è meravigliosa, anche una suola di scarpa, dice il famoso adagio); ma ho trovato una ricetta che rifugge la frittura e opta per il forno, cosa che mi sembra meno un attentato alla salute. Da provare. Intanto ho salvato e messo nel mio file di ricette.
    Grazie!

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  6. La verza, che meraviglia! :-) l'ho riscoperta e amata nel mio periodo padovano, lì si fanno "sofegae" e sono deliziose. Questo sformato sembra proprio niente male, ne cercherò una nel pomeriggio. Baci! :)
    Piera

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  7. Piera carissima, e come sono queste verze 'sofegae'?
    Se prepari questo sformato dimmi cosa ne pensi.
    Dopo aver assaggiato i tuoi manicaretti non posso che tenere molto alla tua opinione!
    Baci anche a te!
    :-)

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  8. credo che la citazione sia dal fantastico Lorenzo di Corrado Guzzanti, o sbaglio?
    Questa ricettina potrebbe far capitolare anche me, che sul fronte verze invece ho il terrificante ricordo dell'odore del brodosissimo riso e verze della mamma.
    baci Grazia

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  9. E brava Grazia! Hai indovinato! A distanza di anni trovo ancora irresistibile quel personaggio (anche perché sono di Roma e ho fatto il liceo con diverse versioni - anche più grevi e rozze - di Lorenzo/Guzzanti, dunque gli sono particolarmente affezionata).
    Quanto allo sformato, se è riuscito a far cambiare idea a me, è probabile che succeda anche a te. Dagli una chance e se lo provi dimmi la tua spassionata opinione-
    Grazie per esser passata, a presto!

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  10. Povera Duck, evidentemente non ha mai provato la cassoela... strano però, per una aspirante milanese.

    Curiosamente io ho subito un processo di riprogrammazione alimentare, che si svolge in direzione inversa alla tua: in gioventù amavo le verdure, mangiavo poca carne, ero circa astemia. Ora sono sempre sul limite dello scorbuto, se non vedo sangue a cena non mi pare di aver mangiato, e sul vino... vabè. Glissons.

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  11. ciao sono arrivata al tuo blog perche cercavo una ricetta su google della fantastica nigella(una zuppa inglese ispirata alla foresta nera)e sono rimasta letteralmnte rapita dal tuo blog perche anch'io amo nugella l'adoro!!purtroppo come dici tu libri in italiano nn c'è ne sono siccome con l'inglese sono una frana nn posso acquistarli on line....spero che si decidano a stamparli in italiano, li acquisterei al volo!!!!complimenti ancora per il blog che continuerò a seguire e per questo sformato gustosissimo!!!baci imma

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  12. Hai visto? son riuscita a postare un commento! Ma per farlo sono obbligata a cambiare browser. Fa niente, intanto ci son riuscita!

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  13. @ Imma: benvenuta e grazie per il tuo passaggio.
    Hai poi trovato la ricetta nigellonica?
    Posso aiutarti, nel caso. Lo faccio volentieri.

    @ Esmé: ho sobbalzato vedendo il tuo commento. Ohibò, ho pensato, è riuscita a superare le difficoltà. Ne sono assai felice.
    Quanto alla cassoela, effettivamente tutti me ne parlano a Milano; mai un cane, però, che si sia sognato di prepararmela. Magari tu? (La butto lì, in disinvoltura).
    A presto!

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  14. Ma certo, ti faccio vasche di cassoela! E la Sc....ni ci aiuta a finirla. Però devi venire su entro febbraio, che la verza poi non è più buona. Adesso, che prende il gelo, è perfetta.

    Nell'emozione mi ero dimenticata di dire: bello lo sformato, approvato. E Bellissima la citazione, la rubo e me la attacco sullo specchio del bagno.

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  15. Niente adesso faccio un salto nel suo sito magari è li...cmq se è da tradurre faccio un salto da te di sicuro:-)baci,imma

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  16. Cara Esmé, mi sa che dovremo rimandare la cassoela al prossimo anno. La vedo difficile venire prima che finisca la stagione. Ma sono sicura troveremo altre prelibatezze da mangiare insieme.
    Provalo, questo sformato. E' non solo molto bello, ma anche molto ma molto buono.
    Quanto alla citazione, me la ripeto stile mantra da un po'.
    Buona serata!

    @ Imma: Credo di aver capito quale sia il dolce di cui parli: è il trifle al cioccolato e alle ciliegie che si trova su Feast, mi sa. Fammi sapere.

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  17. esatto duck è proprio questa!!!hai la ricetta per caso??io l'ho visto proprio nella trasmissione "Nigella feasts"ma nn ho fatto in tempo a prendere le dosi e nemmeno tutti gli ingredienti:-)...mi aiuti??grazie mille,baci

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  18. Sì, ce l'ho.
    Ti scrivo la ricetta all'indirizzo di posta elettronica che ho trovato nel tuo blog.
    A presto!

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  19. ok grazie mille sei un tesoro!!baci imma

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  20. tu non sai, cara ragazza, la soddisfazione di leggere una ricetta ispirante (scritta poi con un contorno così gustoso) ed accorgersi che, oh cielo, ho giusto in casa tutti gli ingredienti! mi hai risolto la cena mia bella papera. buona serata!

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  21. La soddisfazione è tutta mia, cara Tiziana!
    Mi piacerebbe sapere la tua opinione, poi.
    Buona cena!

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  22. ciao duck, scopro ora il tuo blog dopo una ricerca sui GAS di Firenze, mi piacerebbe molto partecipare, tu a quale apartieni?

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  23. Ciao, benvenuta (o benvenuto?).
    Vengo a trovarti e ti rispondo lì.

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  24. eccomi qui duck cara per dirti che ci è piaciuto moltissimo. a partire dal profumo, fino all'ultima briciola. grazie ancora, buona domenica!

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  25. Evviva, sono molto contenta di aver allietato la vostra cena.
    E grazie per essere passata di qui solo per dirmelo!
    :-)

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  26. il criceto! il criceto!
    Ricetta invitante tesoro, casomai avessi un forno la proverei senz'altro!! (insieme al muco nasale!!) ahahahahahah

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