martedì 22 novembre 2011

Di indigeni della Paupasia, di ritorni a casa e di una torta con le pere e le nocciole (ma anche le mandorle e il cacao)

L'autunno ha, tra i suoi mille motivi di seduzione per me, anche quello - fondamentale - di essere la stagione in cui trascorro sempre un po' di tempo in quel di Milano.

Risparmierò a chi legge l'ennesima mia dichiarazione d'amore e devozione per quella che considero, a tutti gli effetti, la MIA città.

Dirò soltanto che, ogni volta che ci vado, finisco per rimanere totalmente disconnessa dal mondo e dal web, neanche soggiornassi in una capanna su un albero nel folto della più remota jungla della Paupasia, ospite di un indigeno. 
Invece sto dalla suocera, che però, per certi versi - absit iniuria verbis - è in effetti più lontana da qualunque parvenza di tecnologia di un qualunque abitante di quelle regioni lontane.
(Lo metto tra parentesi: colgo l'occasione per scusarmi con quanti, non sentendomi più, hanno pensato io fossi emigrata o fossi stata rapita dagli alieni: niente da fare, purtroppo per voi).

Ne ho come al solito approfittato per trascorrere il tempo in maniere oltremodo piacevoli, come incontrare amici che sono lontani geograficamente ma assai vicini al mio cuore,  chiacchierare e passeggiare con la suocera, godermi i suoi sontuosi manicaretti, cucinare insieme a lei e alla nipotina 6enne (esperienza interessante, da tenere a mente qualora volessi farmi venire un esaurimento nervoso nel minor tempo possibile: com'è difficile cucinare in una cucina che non è la propria, senza i propri attrezzi; se  poi lo si fa cantando anche canzoncine dell'asilo e cercando di evitare che suocera e nipote diano fuoco alla cucina e anche al gatto è un'impresa quasi eroica).

Anche così, però, è stato molto bello tornare a casa, alla mia quotidianità, e ritrovare tutti i miei riti familiari, anche quelli di cui farei a meno - per esempio la corvée settimanale alla tavola da stiro (la Spia non stira mai perché dice che soffre di schiena; dice).

Sempre mi piace, soprattutto, tornare in cucina e fare una torta per la colazione, questa volta con delle pere e - ancora?! - degli albumi provenienti, come saprete già, dalle gelide profondità del mio freezer.

La torta è presa da Rachel's Favourite Food at Home di Rachel Allen, e in realtà prevede l'uso di pere e farina di mandorle. Ma la prima volta che l'ho fatta di mandorle non ne avevo. In compenso avevo una tonnellata di nocciole, buone, comprate al biomercato del quartiere da una signora emiliana che parla come Guccini e comunica con il nostro gas da un indirizzo di posta elettronica che suona più o meno "la tigre del ribaltabile" (non insinuo niente; mi perplimo, però).

Non so se pere e nocciole sia un abbinamento classico o no. A me è piaciuto moltissimo e ho deciso che d'ora in poi sarà un classico della mia cucina.

Benché con le nocciole, le mandorle a lamelle (di quelle ne avevo, un paio di cucchiai) sopra le ho messe lo stesso, perché mi fanno allegria e mi piacciono sempre. 
Nella versione alle nocciole, inoltre, nell'impasto ho aggiunto anche un paio di cucchiai di cacao amaro, perché mi andava e perché con le nocciole e con le pere il cacao ci sta benissimo.

Ho rifatto questa torta anche con le mandorle e il cacao e con le mandorle e la buccia di limone, come dovrebbe essere, e ho deciso che a me piace di più la mia versione. 
Ma tra parentesi metto anche quella originale (modificata nella quantità di burro e zucchero, ma sostanzialmente identica a quella del libro).

Vi siete persi? 
Vi pare che - come si dice a Roma - io l'abbia un po' buttata in caciara?
Niente paura. 
Leggete con calma e fiducia: si tratta di una torta facilissima (e moooolto buona).

****

Pear and Almond (ma in realtà Hazelnut) Tart

(per una tortiera di 23-24 cm di diametro)

125 gr di zucchero a velo
50 gr di farina 0
100 gr di farina di nocciole (nella versione originale: di mandorle)
2 cucchiai di cacao amaro (per la versione alle mandorle si possono sostituire con la buccia finemente grattugiata di un limone)
5 albumi (tadà! in un colpo solo!)
125 gr di burro, sciolto
2 pere, pulite, divise in quarti e tagliate a fettine sottili
25 gr di mandorle a lamelle (facoltative nella versione con nocciole e cacao; ma ci stanno bene)
zucchero a velo per servire

Preriscaldate il forno a 200°, imburrate e infarinate la tortiera.
In una ciotola setacciate lo zucchero a velo, la farina e il cacao, se lo usate. 
Aggiungete la farina di nocciole (o di mandorle; se usate queste ultime e non il cacao unite anche la buccia di limone).
In una seconda terrina sbattete con le fruste elettriche gli albumi per circa un minuto: devono solo cominciare a schiumare, non dovete fare una meringa. Aggiungeteli agli ingredienti secchi insieme al burro sciolto e amalgamate tutto.

Versate l'impasto nella tortiera e disponeteci sopra a raggiera (io non ci riesco mai, neanche per sbaglio) le fette di pere. Potete, se volete, decorare con le mandorle a lamelle.

In forno per circa 15', poi abbassate la temperatura a 180° e proseguite la cottura per circa 20'-25' (controllate dopo 15', però; ogni forno è una creatura a parte; a volte nel mio questa torta è pronta dopo 20', altre volte dopo 25').

Prima di servirla, decoratela con dello zucchero a velo setacciato.

Enjoy!




lunedì 7 novembre 2011

Di lezioni e maestri e di una torta al cioccolato e nocciole

Qualche sera fa io e la Spia abbiamo avuto dei cari amici a cena, amici per i quali è un piacere cucinare, di quelli che apprezzano la qualità (e anche la quantità!) del cibo che offri loro, di quelli che è un piacere vedere seduti intorno alla tua tavola e con cui discetti per intere mezz'ore di ricette, procedure, dosi, ingredienti - il genere di conversazione che adoro.

Volevo preparare un dolce al cioccolato che non avevo mai provato, una ricetta che mi ispirava da tempo, semplice, non elaborata, con le nocciole, che mi piacciono tanto.

La procedura era insolita e a metà della preparazione ho pensato che sarebbe stato un disastro: quel che doveva essere un composto più o meno omogeneo assomigliava a tutto tranne che a un composto, una visione non proprio incoraggiante che non lasciava sperare niente di buono.

Per un attimo la Francesca Bertini che è in me (ricordate? era un'attrice del cinema muto famosa per le scene madri durante le quali, generalmente, si aggrappava a tende e tendaggi in preda alla disperazione) ha preso il sopravvento. 
Poi, grazie anche alle parole rassicuranti della Spia - che prima di darsi per vinto, in effetti, attende sempre prove inconfutabili della catastrofe - ho deciso di andare avanti e ho fatto bene. L'aggiunta degli albumi montati ha salvato la situazione: il composto è tornato ad essere un composto e non un accrocco indefinibile che avrebbe potuto essere quasi qualunque cosa.

Circa 2 ore dopo, mentre i miei ospiti si servivano per la seconda volta di questa torta, ho riflettuto tra me e me su quanto poco ci voglia, a volte, per farsi prendere dallo sconforto, per dichiararsi sconfitti, per saltare a conclusioni pessimistiche - magari frettolose, superficiali.

E su quanto invece, spesso (non sempre, ma spesso), sia solo questione di tempo e speranza.
Si può decidere di avere fiducia e continuare a fare ciò che si deve fare; si può scegliere di mettere a tacere la mente, non farsi trascinare dal panico, concentrarsi sui gesti, fare un passo alla volta.
E le cose si mettono a posto.

Incredibile come da una torta di cioccolato e nocciole si possa trarre una lezione di vita.
Anzi, no. Non incredibile. Io ormai credo di aver capito che le lezioni - se si sia disposti ad ascoltarle - possono giungere praticamente da qualunque cosa. 
È un pensiero confortante, non trovate?
Se l'allievo è pronto, dicono in Oriente, il maestro arriva.

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Chocolate truffle tart with hot chocolate da Falling Cloudberries di Tessa Kiros

(per una tortiera di 20 cm di diametro)

100 gr di burro
100 gr di zucchero (io ho usato il golden caster sugar del commercio equo)
100 gr di cioccolato fondente al 70%
3 uova
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
60 gr di nocciole finemente tritate (nella ricetta originale: 40 gr di nocciole e 20 di farina)

In un pentolino, a fuoco dolcissimo, fate fondere il burro con lo zucchero e il cioccolato tagliato a pezzetti. In teoria, lo zucchero dovrebbe sciogliersi: a me non è successo, benché abbia mescolato per parecchio tempo.
Ma non preoccupatevi: la granulosità del composto non influirà sul risultato finale della torta, credetemi.
Quando il burro e il cioccolato sono fusi e lo zucchero è parzialmente dissolto spegnete il fornello e mettete da parte per una ventina di minuti.

Nel frattempo preriscaldate il forno a 180° e imburrate e infarinate la vostra tortiera.

Separate le uova e aggiungete i rossi e il cucchiaino di vaniglia al composto di burro, cioccolato e zucchero, poi unite le nocciole e mescolate con le fruste.

A questo punto probabilmente vi ritroverete di fronte lo spettacolo che mi ha tanto turbata l'altro giorno: invece di un composto fluido e amalgamato avrete infatti un ammasso di materia bitorzoluta e completamente slegata. 

Prima di maledire me, i miei antenati e la mia progenie - che ancora non c'è, per la cronaca, e dubito a questo punto ci sarà mai - date retta a me, montate le chiare a neve ferma e poi aggiungetele delicatamente al blob inquietante che vi turba: cucchiaiata dopo cucchiaiata vedrete che le cose miglioreranno, il composto comincerà ad assomigliare sempre più a un composto, che alla fine dovrete solo travasare nella tortiera imburrata e infarinata.

Cuocete per circa 35', poi lasciate raffreddare.

Secondo la ricetta, la torta va servita con una cioccolata calda fatta con 375 ml di panna e 100 gr di cioccolato. 
Io ho optato per una sorta di ganache, più sostenuta, con più cioccolato che panna (circa 130 gr per 110 ml, se non ricordo male: l'ho preparata con il figlio 3enne dei nostri amici, in un'atmosfera piuttosto movimentata! ma voi andate tranquilli, a occhio).

Enjoy!

martedì 1 novembre 2011

Di responsabilità individuali e di un'insalata di cavolo rapa

E bene, l'autunno sembra essere ufficialmente qui. Ed  io ne sono assai compiaciuta.

Lo sono un po' meno, molto meno, pensando ai disastri che le sue piogge torrenziali hanno prodotto in Lunigiana e nelle Cinque Terre. 

Ascoltavo giorni fa il sempre caro Luca Mercalli che, con grande equilibrio ed obiettività, distingueva situazioni nelle quali la differenza l'hanno fatta l'incuria e soprattutto l'incosciente tendenza a cementificare territori fragili e particolarissimi come quelli ed altre nelle quali la differenza l'ha fatta l'eccezionale portata delle precipitazioni (in 6 ore sono caduti i millimetri di pioggia che in genere cadono in un anno ad Aosta). 

Chiaro che i cambiamenti climatici hanno dietro di sé anche responsabilità umane, dunque sempre lì si torna.
Al fatto che il momento di pagare il conto per il modo irresponsabile e suicida con il quale abbiamo finora gestito questo pianeta che ci ospita come se fosse solo nostro è arrivato, e il conto è salato, molto salato, com'è giusto che sia.

Il fatalismo e la sfiducia con i quali discorsi tanto seri e tanto importanti vengono affrontati mi lasciano spesso senza parole.
È per me sempre fonte di stupita incredulità accorgermi di quanto, in un mondo come il nostro, così inebriato di individualismo, di fronte a certe questioni si sia prontissimi ad abdicare alla propria responsabilità individuale, rifugiandosi in una strategica impotenza.

Non ho mai creduto che il singolo non possa fare la differenza; non ho mai sentito che come singoli si sia incapaci di fare la propria parte. 
Io credo che come individui si sia sempre e comunque responsabili della propria vita e delle proprie scelte - e non è poco, a ben guardare; è tutto. 

Da diversi anni cerco di vivere una vita responsabile, di limitare al minimo i consumi, gli sprechi, gli eccessi, tutto ciò che è inutile e dannoso. Non sempre ci riesco, ma non smetto mai di provarci, sempre di più, spostando sempre un centimetro più in là il mio limite.
Senza isterismi, atteggiamenti snobistici e compiaciuti da stilita o tentazioni di apostolato fanatico. 
Semplicemente questo è il modo che, negli anni, ho capito essere quello che più si avvicina alla mia idea di "buona vita". 

Non mi sforzo di ricordarmi che se sono in cucina è inutile che la luce in camera da letto sia accesa; non mi pesa chiudere il rubinetto della doccia mentre mi insapono per riaprirlo poi quando mi devo sciacquare. Non mi sembra strano evitare di comprare le arance spagnole quando posso aspettare quelle italiane e nel frattempo godermi altra frutta buona di stagione. 
Non mi sento deprivata per questo e non sento di avere atteggiamenti autopunitivi, al contrario. 

Anche solo preparandomi un'insalata invernale, godendo dei frutti che la terra naturalmente produce in questo momento dell'anno, sento di fare la mia parte e di rispondere a leggi antichissime e sane, che parlano di raffinati e al tempo stesso primitivi e necessari richiami tra il nostro corpo e i cicli della natura.

Ed io questa non la chiamo solo responsabilità. 
La chiamo anche, e soprattutto, felicità. 

***

Insalata di cavolo rapa, pere e feta da Cavoli e zucche in cucina di Rosanna Passione

(per una papera di robusti appetiti)

un cavolo rapa non troppo grande
1 pera
feta (io ne ho usata più o meno un etto, forse meno; insomma, regolatevi ad occhio)
noci (io ho usato quelle dell'Amazzonia del commercio equo e mi sembra ci stiano benissimo)
olio extra vergine d'oliva
aceto balsamico
sale e pepe
erba cipollina (nella ricetta originale non c'è, ma a me piace molto, anche in barattolo)

Pulite il cavolo rapa, dividetelo più o meno in ottavi - difficile che siano proprio ottavi, il cavolo rapa è in genere bitorzoluto e di forme eccentriche (e per questo mi sta istintivamente molto simpatico) - e poi ricavate da questi pseudo-ottavi delle fettine sottilissime. Vi consiglio di usare una mandolina seria per farlo (una mandolina seria è uno strumento indispensabile per l'accorta casalinga; conviene investire una piccola cifra nel suo acquisto, soprattutto se si amano le insalate).

Riunite in una bella insalatiera le fettine di cavolo rapa, la pera pulita e tagliata a dadini, la feta sbriciolata e le noci che avrete prima tostato a secco in un padellino.

Salate, pepate, condite con aceto balsamico e olio extravergine di oliva e un po' di erba cipollina.

Enjoy!