giovedì 22 ottobre 2009

Di biblioteche e ricerche, della contorta mentalità femminile e dell'ennesima torta al cioccolato



Chi mi conosce sa molto bene che in questo periodo sto traducendo un libro che mi crea un po' di problemi (me ne lamento in continuazione stile piaga, per dirla tutta).

Non entrerò nei particolari (sono tediosi); mi limiterò a dire che è un libro scritto dolorosamente male, cui sto cercando di restituire un minimo di grazia e che, trattandosi di un'opera con velleità accademiche, e dunque traboccante di citazioni tratte da ogni genere di testo (con una predilezione per astrusi trattati di argomento esoterico risalenti, per lo più, al periodo ellenistico; tanto per darvi un'idea di quanto mi stia divertendo), mi costringe a recarmi più spesso di quanto vorrei alla Biblioteca Nazionale e a trascorrerci dentro intere mattinate.

Anche perché l'autore del suddetto libro (o, più probabilmente, il redattore incaricato di seguirne la pubblicazione per la casa editrice inglese per i cui tipi è uscito) non si è premurato di verificare un'ultima volta la correttezza dei molteplici rimandi bibliografici, dunque confonde, come se niente fosse, gli Annali di Tacito con le sue Storie (ma sì, che differenza fa?!), tanto per dirne una, e mi manda ai pazzi facendomi cercare ciò che devo cercare lì dove è sicuro che io non possa trovarlo, perché in realtà è da un'altra parte.
Disorientati? Bene, è come mi sento io.

Credo di non aver mai perso tanto tempo come in questi giorni, se si escludono i mesi che anni e anni fa trascorsi, sempre alla Biblioteca Nazionale (ma di Roma), per la mia laurea, alla ricerca di orridi libri sull'emigrazione femminile.

Non so per quale motivo queste grandi biblioteche abbiano sempre delle regole cervellotiche che disciplinano il prestito e la consultazione in modi che dovrebbero, in teoria, favorire entrambe le parti in causa (i bibliotecari e gli utenti) e che invece a entrambe finiscono per far venire un esaurimento nervoso.

Come che sia, da quella bolgia dantesca non riesco ad andarmene mai prima dell'ora di pranzo. Per fortuna la Biblioteca non è lontana da casa. Il tempo di avvertire per telefono la Spia che tra qualche minuto sarò di ritorno e sono già lì.

La Spia, che è un uomo gentile e tendenzialmente alieno da certe perversioni del pensiero machista per cui un vero uomo non entra in cucina se non per aprire il frigorifero e ingurgitare qualcosa, ieri ha pensato bene di farmi trovare il pranzo pronto. E non un pranzo qualsiasi: gnocchi.

Se non che, qualcosa è andato terribilmente storto. Quando sono entrata in casa e l'ho salutato, ho sentito provenire dalla cucina un grugnito poco rassicurante.
L'ho trovato sull'orlo di una crisi isterica, in una cucina letteralmente devastata, con gnocchi attaccati sugli occhiali, sulle sopracciglia e sul maglione (oltre che su quasi qualunque superficie lì intorno), a bofonchiare improperi: ci ho messo almeno un paio di minuti per capire che ce l'aveva con chi ci aveva venduto le patate: lo aveva rassicurato, a suo tempo, che fossero adatte per fare gli gnocchi.

'Adatte per attaccare i manifesti per le strade!' sbuffava la Spia.
In effetti, quell'ammasso colloso e bozziforme che, nell'attesa di essere calato nell'acqua bollente, faceva bella mostra di sé un po' ovunque, tutto sembrava tranne che degli gnocchi.
La Spia mi ha raccontato la sua odissea, di come avesse perso più di un'ora cercando di far assumere a quell'impasto appiccicoso una parvenza di consistenza e di come, per farlo, avesse finito per usare circa mezzo chilo di farina per quattro etti di patate (!).

'Saranno immangiabili!', tuonava in preda alla disperazione.
La mia Spia io la conosco bene e so che non c'è niente di meglio, per rabbonirlo in simili situazioni, che compatirlo un po'.
Qualche minuto di 'Povera Spia, lo fanno arrabbiare, ce l'hanno tutti con lui' ed eravamo entrambi impegnati a salvare il salvabile, facendoci finanche dell'umorismo (con cautela, sempre con cautela, ché ci vuole un attimo a ripiombare nel dramma).

C'è stato un altro momento di crisi quando, osservando i primi gnocchi riemersi dall'acqua, la Spia si è fatto prendere dallo sconforto notando che non c'era traccia del 'ricciolino' (che aveva impiegato tanto tempo a creare con la forchetta su ogni singolo grumo di impasto); ma l'abbiamo superato, concentrandoci invece sul sugo di pomodoro fresco, che pareva assai promettente.

In definitiva, posso affermare con tranquillità che quella cosa che abbiamo mangiato ieri a pranzo non era affatto malvagia.
Che non fossero degli gnocchi di patate era fuori discussione, ma qualunque cosa fosse, con quel buon sugo di pomodoro e un'abbondante dose di pecorino, si è fatto mangiare con piacere.

Nel pomeriggio, volendo risarcire la povera Spia con una crostata (me ne chiede una da qualche settimana), mi sono accorta, però, che eravamo senza farina: il famoso mezzo chilo da lui utilizzato per gli gnocchi era l'ultimo.

Dovendo dunque usare quella autolievitante, ho deciso di fare la torta che effettivamente avevo già pensato di fare da un po', e che avrei comunque trovato il modo di fare, benché avessi promesso da tempo alla Spia di fargli la crostata (sembra complicato e cervellotico, ma è solo il modo in cui, qualche volta, noi donne otteniamo quello che vogliamo, facendo però finta di non volerlo ottenere).

E dunque, ecco la ricetta di questo post, che non è quella degli gnocchi (sia mai), né quella della crostata, ma di una strana torta della cara Nigellona, che lei chiama store-cupboard chocolate-orange cake (vale a dire una torta di cioccolato e arancio da fare con cose che si trovano in dispensa), molto densa e profumata.

La ricetta è tratta da How To Be a Domestic Goddess

per una teglia di 20 cm. di diametro

125 gr. burro
100 gr. di cioccolato fondente
300 gr. di marmellata d'arancia (Nigellona intima di usarne una senza pezzi di buccia o polpa; io ne ho usato una proprio così, invece, e credo non sia male affatto)
150 gr. di zucchero
sale
2 uova grandi, leggermente battute
150 gr. di farina autolievitante

Preriscaldate il forno a 180°. Imburrate e infarinate lo stampo.

In un pentolino e a fuoco dolce mettete a fondere il burro.
Quando è quasi del tutto sciolto aggiungete il cioccolato a pezzi e mescolate per qualche secondo; poi spegnete il fuoco, allontanate il pentolino dal fornello e continuate a mescolare fino a quando il cioccolato e il burro non siano del tutto fusi e amalgamati.

Versateli in una ciotola, aggiungete la marmellata, lo zucchero, il sale e le uova e mescolate.

Unite la farina, un poco per volta.

Quando tutto è ben amalgamato, trasferite nella tortiera e fate cuocere per 50'-un'ora (il famoso stecchino deve uscire pulito).

Togliete la tortiera dal forno, aspettate 10', quindi liberate la torta e cospargetela di zucchero a velo.

Godetevi la riconoscenza di chi se ne vedrà offerta una fetta e ancora di più lo sconcerto che si dipingerà sul suo volto quando gli direte che dentro c'è quasi un vasetto di marmellata di arance.
Non si sa per quale motivo (o forse sì...), tutte le persone cui ho detto questa cosa hanno fatto facce stranissime e perplesse.
Il che non ha impedito loro di riservirsi di una seconda fetta, pur continuando a brontolare, un po' assenti e tra sé e sé: 'Marmellata di arance! Roba da matti!'.

Enjoy!

7 commenti:

  1. Commento da puro "utente": si tende a dimenticare quale e quanto lavoro ci sia dietro il libro con cui ti stai dilettando, che immaginiamo sempre legato al solo sforzo creativo dell'autore, dimenticando redazione, traduzione, e tutto il resto. Grazie per avermelo ricordato!

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  2. Grazie a te, Alf!
    Credo che i traduttori siano davvero i più bistrattati (a parte, forse, i correttori di bozze), ad eccezione di alcuni rarissimi casi, cioè di quei pochi di loro affermati e noti.
    Mestiere disperante.
    E bellissimo...

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  3. Ma che spasso leggerti cara Duck!
    Se sei vicina alla Nazionale allora siamo quasi vicine di casa, per giunta. Riguardo alla citata biblioteca si, non posso che darti ragione al 100%: è odiatissima e altrettanto lo è chi ci lavora, davvero c'è da domandarsi chi abbia partorito le regole da seguire pedissequamente (la frequentai l'estate scorsa: per un testo che riuscii a trovare e farmi dare, mi intimarono di leggerlo assolutamente in una stanzetta climatizzata e coi soliti guantini di cotone bianchi (e vabbè fin qui li posso capire e tollerare. Ma quando mi dissero che ero sbilanciata in avanti sul detto libro e che rischiavo di contaminarlo col sudore credevo veramente che di lì a poco sarei scoppiata a piangere!!!).
    Simpaticissima la storia degli gnocchi, e che dire di Nigellona? Mi hai fatto venire una gran voglia di provarla.
    Buon fine settimana cara Duck!

    wenny

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  4. Ah be', allora non sono solo io ad avere tutti questi problemi con quel luogo! Un po' mi conforta...
    Per fortuna non mi sono mai ritrovata a dover consultare testi tanto preziosi, perché di fronte alla storia della 'contaminazione da sudore' non so come avrei reagito!
    Lieta di averti fatto sorridere, comunque!
    Davvero abiti vicino alla Nazionale?
    Il mondo è davvero piccolo piccolo!

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  5. ah ti leggo con piacere !
    la torta sembra deliziosa e poi Nigella e una garanzia ! :-)

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  6. Ciao Vera!
    Sono contenta che ti faccia piacere passare di qui.
    Ho deciso di usare il traduttore automatico per leggere un po' del tuo blog, visto che di portoghese, ahimé, non so una parola!
    A presto!

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  7. La Spia, naturalmente, come si usa oggi, smentisce ogni illazione a suo carico. Poi, forse, domani smentirà di avere smentito e dirà di essere stato frainteso. Ma insomma: qualcuno è in grado di dirmi come si possono riconoscere le patate adatte per gli gnocchi da quelle buone per il puré o da fare fritte?

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