martedì 13 ottobre 2009

Sabato di Ian McEwan

Henry Perowne è un neurochirurgo di successo, con una splendida casa nel centro di Londra, una bella moglie della quale è innamorato come il primo giorno, una figlia ventenne amatissima (con la quale non fa altro che polemizzare) dal brillante avvenire di poetessa e un figlio diciottenne enfant prodige del blues britannico. E', insomma, un uomo fortunato, che sembra avere tutto.

Nella sua vita quieta, ma intensa e ricca di sfide e soddisfazioni professionali, tutto è ben regolato e programmato.
Il sabato mattina, che viene dopo una settimana di lavoro spesso massacrante, è dedicato alla partita settimanale di squash con l'anestesista del suo reparto.
Per non arrivare tardi a questo gradito appuntamento, il giorno in cui si svolge tutto il romanzo Perowne ha un banale incidente automobilistico, dalle conseguenze drammatiche, ma non immediate. Si intuisce che questo mortale baciato dagli dèi non se la caverà così a buon mercato (come sembra all'inizio), si capisce che prima o poi una qualche forma di nemesi lo colpirà e gli farà pagare il fio della sua vita perfetta e quasi immemore della disperazione e dello squallore del mondo che lo circonda, dominato dalla paranoia di essere sotto costante minaccia di possibili attacchi terroristici.

Per gran parte del romanzo si segue con crescente angoscia lo scorrere delle ore, in attesa di una catastrofe che però sembra non giungere mai.
Nel frattempo, McEwan vaga con il suo personaggio per le vie di Londra (e noi con lui): lo accompagna a fare la spesa per preparare, quella sera stessa, una cena sontuosa a base di pesce, durante la quale bisognerà ricucire, con tatto e diplomazia, lo strappo che è avvenuto nella relazione tra la figlia poetessa e il nonno materno, gloria della poesia nazionale, ma in crisi creativa da decenni.
Poi fa visita alla madre, Lily, che, da quando ha cominciato a dare segni di demenza senile, vive in un istituto, in una dimensione per lo più serena ma autoriferita e totalmente scollata dalla realtà.

Intanto ci si continua a preparare a qualcosa di orribile che si sa sta per accadere: la tensione sale pagina dopo pagina, ma McEwan ci tormenta con lunghe e soporifere digressioni, a volte decisamente ipertecnicistiche, descrivendoci nei minimi dettagli raccapriccianti operazioni chirurgiche, infinite partite di squash, o compiacendosi nel rendere a parole l'esecuzione di uno strascicato pezzo di blues composto dal giovane Perowne, che sembra non dover mai finire.

Poi il dramma esplode. Finalmente! si è tentati di esclamare, trionfanti, quando si arriva alla pagina in cui tutto accade. E dopo, tutto torna come prima. O forse no.

Nella vita perfetta di Perowne, dopo la deflagrazione provocata dall'irruzione della bruttura e della disperazione del mondo, lo strappo sembra ricucirsi quasi in maniera indolore, tutte le tessere tornano al loro posto ricostruendo nuovamente l'immagine della sua vita armoniosa e risolta.
Ma non è proprio così.

L'uomo che ha aperto il romanzo affacciandosi alla finestra della sua camera da letto, sulla piazza addormentata in piena notte, non è lo stesso che, di nuovo alla finestra, 24 ore dopo, fatica ad abbandonarsi al sonno dopo una giornata allucinante, che lo ha visto toccare con mano la possibilità di veder distrutta, in una frazione di secondo, la sua vita e tutto ciò che ama.

E' un uomo che finalmente, nonostante vi sia a contatto tutti i giorni, ora sa che la morte non è mai troppo lontana da noi e con essa la disperazione e il male e la fragilità degli uomini, e ha capito questa verità sulla sua pelle. Quando si capisce questo, quando veramente si tocca con mano quanto la vita possa essere atroce e spietata e in pericolo, si esce per sempre dall'Eden, ma si incontra veramente l'uomo e, nei casi migliori, si apprende l'arte della compassione.

Il Perowne che nell'ultima riga, disfatto dal sonno e dalla stanchezza, si arrende finalmente all'oblio e alla propria mortalità, ha imparato la sua lezione.



Ian McEwan, Sabato, Einaudi 2005, traduzione di Susanna Basso.

6 commenti:

  1. Cara Duck, è un piacere leggere le tue recensioni e al contempo un rammarico per non aver tempo a sufficienza per dedicarsi ai libri. No aspetta, è più che un piacere leggere le tue recensioni, sono diverse dalle altre, molto: sempre più felice di averti scovata :)
    buona giornata,

    wenny

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  2. ... e io sempre più lusingata dalle tue gentilezze!
    Sei sempre la benvenuta!

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  3. BRAVA che metti il nome del traduttore! Sai che Susanna e' la mia amica del cuore? A proposito del romanzo della vita, le nostre mamme si sono conosciute al reparto di maternita' quando sono andate a partorirci a 6 giorni di distanza. Poi ci siamo ritrovate compagne di banco in prima elementare e non ci siamo lasciate piu'...
    Rossella
    p.s. ma perche' il tuo blog mi crea tanti problemi a postare come wordpress, name & url, google account?

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  4. Ciao Rossella,
    non so perché blogger crei tanti problemi a chi voglia lasciare un commento (non sei la prima a dirmelo) e temo di non saper fare molto per risolvere il problema - ahimé sono un'analfabeta informatica -
    Il nome del traduttore lo metto sempre, perché solidarizzo (nel mio piccolo faccio parte anche io della categoria!).
    Te e la Susanna, più che il romanzo della vita, direi 'il romanzo del destino'!

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  5. Ciao Duck, arrivo qui da Wenny e... wow. mi piace. "Sabato" non l'ho letto,anche perchè Amsterdam mi deluse e mi parse che Mc Ewan avesse perso un po' di smalto. L'ho comunque sentito in conferenza una decina di anni fa a Londra, durante un festival di letteratura, e devo dire che come persona mi fece simpatia. The cement garden e Child in times, poi, due capolavori. A presto

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  6. Ciao Merilì, grazie di quel WOW!
    Non so se si capisca bene dalla recensione, ma Sabato non l'ho trovato all'altezza di Atonement, Chesil Beach o, ancora di più - e sono d'accordo con te - Bambini nel tempo.
    McEwan però rimane sempre McEwan e come persona ha fatto molta simpatia anche a me, quando l'ho visto da Fazio.
    A presto!

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