martedì 29 giugno 2010

Di vecchie cose e di nuovi amori

È strano vedere le proprie cose trovare il loro posto in stanze dove non sono mai state: son sempre loro, ma appaiono subito diverse, quasi le si vedesse per la prima volta.

Quanto può fare, in termini di prospettiva, una cornice nuova a una realtà conosciuta!













Una nuova casa che prende lentamente - molto lentamente, un po' TROPPO lentamente! - forma (e sì, avete visto bene: il divano è completamente distrutto, dalle due gatte).

Una cucina ancora parzialmente inagibile, una stanza degli ospiti versione magazzino del rigattiere, un corridoio più o meno invaso di scatoloni. Ma dalle finestre...








L'ho capito appena l'ho vista che questa casa mi sarebbe piaciuta.

Ma non immaginavo quanto.

A presto!

domenica 20 giugno 2010

Delle abitudini, dell'onnipotenza dei bambini e di una casa nuova


Metter su una casa è sempre molto stancante.

Stanca trascinare scatoloni da una parte all'altra, aprirli, svuotarli, appiattirli, ammassarli in qualche angolo in attesa poi di disfarsene nel modo più appropriato.

Stanca ritrovarsi la sera sempre con le mani ammaccate e screpolate dalla polvere, la testa ronzante di ogni genere di pensieri ("Dove sarà lo strofinaccio della nonna? E l'origano? E quella camicia da notte pesante, ché stanotte fa freddo?"), le ossa rotte e i muscoli doloranti.

Stanca - soprattutto se si è una di quelle creatures of habit come me - vedere sospesi o stravolti i propri piccoli riti quotidiani, per esempio il tè del pomeriggio bevuto seduti su quella poltrona speciale, con sulle ginocchia una gatta e un bel libro illustrato da guardare; o la mezz'ora di lettura prima di cena, da assaporarsi in solitudine nel proprio studio, magari con Pachelbel di sottofondo.

Si ha un bel ripetersi che bisogna avere pazienza e prima o poi si tornerà alla propria amata quotidianità. Intanto bisogna accontentarsi: il tè, se si ha la fortuna di ricordarsi quale sia il sacchetto di emergenza nel quale lo si è messo (e ammesso che questo sacchetto lo si ritrovi), lo si beve in piedi, appoggiando la tazza su un foglio di giornale steso su qualche scatolone, senza gatto sulle ginocchia e soprattutto senza libro.
Quanto alla mezz'ora di lettura prima di cena è fuori discussione.

Ma in tutto questo processo, che dall'occhio del ciclone appare complicatissimo e senza fine ("come un giorno senza pane", secondo un bel modo di dire francese), c'è un lato meravigliosamente eccitante e positivo che non bisognerebbe mai perdere di vista.

Quando si mette su una casa nuova, è come se ci venisse data la possibilità di ricostruire completamente la nostra quotidianità. Ci viene messa a disposizione una cornice tutta nuova nella quale la nostra vita può - se lo vogliamo - ricominciare a fluire (dopo il primo fisiologico momento di delirante sospensione) in modo più armonioso e più aderente alle nostre esigenze.

La mia propensione all'animismo, poi, non può che esprimersi al meglio durante il lungo e spesso difficile lavoro (ma per me assai piacevole) che consiste nel cercare e trovare un posto per ogni cosa.
La Spia si stupisce sempre della pazienza e della delicatezza con la quale io (che sono tutto tranne che paziente e delicata) 'ascolto' gli oggetti. Quel vaso blu starà bene su quella mensola o si troverà meglio su quella cassettiera accanto alla lampada di legno? E la scrivania preferirà essere sistemata di fronte alla finestra oppure parallela alla parete?

In questi giorni di stanchezza micidiale e di grande confusione, ogni tanto ci sono momenti nei quali mi fermo a rimirare questa grande casa che ci ha accolto ed assaporo quel senso di selvaggia e gioiosa onnipotenza che, immagino, si possa provare da piccoli, quando si crede di essere i padroni del mondo, esseri onnipotenti cui tutto il creato ubbidisce e deve la propria disposizione e il proprio aspetto.

È una bella sensazione, che ripaga di ogni stanchezza e malumore e disagio.
Mi piace pensare che la vita me la conceda ora che sono adulta per risarcirmi di avermela negata tante e tante volte quando ero bambina.

A presto!

venerdì 11 giugno 2010

Di depressione, (di omicidi, eventualmente) e di un trasloco


È un fatto risaputo che le donne siano soggette a soffrire di depressione più degli uomini e che tra le cause maggiormente scatenanti questa malattia (perché lo è, e sarebbe anche ora che lo si capisse una volta per tutte) ci sono la morte di una persona cara, il divorzio e il trasloco.

Ora, riguardo alle prime due non posso - fortunatamente - pronunciarmi, ma non ci vuole un grande intuito per capire che in effetti costituiscono un ottimo motivo per ritrovarsi, come si suol dire, un bel po' acciaccati dalla vita.

Quanto al trasloco, sono perplessa. E penso di avere due o tre cose da dire sull'argomento, visto che, come dicevo nel precedente post, negli ultimi dieci anni ne ho fatti ben 6 (anzi, a ben pensarci 7).

Che un trasloco provochi una stanchezza fisica quasi ai limiti dell'astenia, senz'altro.
Che induca spesso, anche nelle persone più serafiche e pacifiche, stati di ansia e isteria mi pare un dato di fatto facilmente osservabile.
Ma che possa causare una depressione mi pare strano. Piuttosto, mi sembra che possa giungere anche a provocare un divorzio, o quanto meno a gettare le basi perché possa prodursi, alla lunga, un divorzio (e forse, a voler proprio essere catastrofisti, anche la morte di una persona cara; intendo ovviamente quella del coniuge, per omicidio) e dunque, per via indiretta, anche una depressione.

Come che sia, come si sarà capito, vi scrivo da una casa che non assomiglia più molto a una casa, ma ad una via di mezzo tra un magazzino e un luogo in cui si sia abbattuto un qualche devastante fenomeno naturale: non proprio un luogo ameno, insomma.

Io e la Spia abbiamo già cominciato a non trovare le cose e a non ricordarci più se il tale oggetto è già stato imballato o no, e dunque passiamo interi quarti d'ora imbambolati, stremati e indecisi sul da farsi (è meglio cercare l'oggetto in questione per tutta casa o cominciare a sballare gli scatoloni dove presumibilmente abbiamo potuto metterlo?), con in mano la pistola per lo scotch e le gatte che ci miagolano, stranite e petulanti, intorno ai piedi e sembrano chiederci ragione di tutto questo delirio (di nuovo! Per i gatti, non è una novità, ogni cambiamento che non sia stato scelto da loro è un incubo).

Ma un trasloco è anche e soprattutto, più che la fine di qualcosa, l'inizio di qualcos'altro.
A me, inguaribile ottimista ai limiti dell'idiozia, piace vederla da questo punto di vista.
E la fatica, la confusione, lo smarrimento, i disagi, le spese (le spese!) sono come i dolori che accompagnano ogni nascita: più o meno sopportabili, ma pressoché inevitabili, e magicamente dimenticati non appena ci si ritrova una nuova vita tra le braccia, tutta nostra, nata dal nostro amore - si spera - da un progetto comune e dalla nostra fiducia nel domani.

A presto!

martedì 1 giugno 2010

Di vecchie cartoline e prozie e di un viaggio


Le papere, si sa, viaggiano spesso - anche quando ne farebbero volentieri a meno.
Ciò non toglie che i loro viaggi, a volte, possano anche essere estremamente piacevoli, soprattutto se ad attenderle ci sono persone e luoghi molto amati.

Prima di lanciarmi nel delirio dell'ennesimo trasloco (il sesto in dieci anni!), mi prendo una vacanza nella 'mia' città.

Dico spesso che potrei finire per fare come Stendhal, che sulla sua lapide volle scritto solo il suo nome e sotto: 'milanese'.

Ecco, io mi sento milanese come ci si sentiva Stendhal, che in quella città trovò amici, amori, arte, musica, ispirazione.
Io, a parte l'ispirazione, ci ho trovato tutto il resto. Non è poco.

Vi lascio con alcune vecchie cartoline milanesi, una pubblicità della Pasticca del Re Sole: sul retro si leggono buffi slogan, tipo: "La Pasticca del Re Sole è da raccomandarsi agli Artisti e agli oratori", oppure: "Le pasticche del Re Sole son le sole per i Re!", e ancora: "La Pasticca del Re Sole!... non ne trovai una migliore!". Ma la mia preferita è senz'altro questa: "La tosse diventa un'opinione, quando c'è la Pasticca del Re Sole!".

Questi piccoli gioielli appartengono alla mia personale collezione di vecchie cartoline della zia di mio padre, la mitica zia Lina, che conservava qualunque cosa: biglietti del tram, cucchiaini di plastica dei gelatai, scontrini, volantini pubblicitari, cannucce e che, ovviamente, ha lasciato tonnellate di fotografie e di cartoline acquistate nelle sue frequenti peregrinazioni: pur nei limiti imposti dal suo sesso, dai tempi e dalla sua educazione borghese, la zia Lina veniva spesso presa da inquietudini romantiche e nomadiche che sfogava viaggiando, preferibilmente sola.

Un personaggio, questa zia. Magari un giorno ve ne parlo.

A presto!