mercoledì 19 agosto 2009

Dell'estate, dei bassi istinti e di una crema di ricotta al caffè


So già di poter passare per una sbruffona - o per una demente -, ma anche oggi, giorno in cui a Firenze i termometri hanno registrato i 39 gradi, mi sono ben guardata dal tenere inoperoso il mio forno (tanto per richiamarmi al tema dell'ultimo post 'gastronomico').

Ma non di questo volevo scrivere (ché, tra l'altro, si tratta di un esperimento, e solo parzialmente riuscito), quanto di un dolce molto più adatto ai tempi tristi che ci tocca di vivere adesso.
Niente paura, non sto per lanciarmi in un'invettiva contro la decadenza della società contemporanea; alludevo, molto più banalmente, all'estate.

Non ricordo di averla mai amata moltissimo, nemmeno da bambina. Prima di tutto perché in estate non potevo andare a scuola.

A me piaceva andare a scuola, e non tanto perché così sarei stata con i miei amichetti che, a dire il vero, non mi facevano impazzire, anzi.



Non solo studiare, ma anche fare i compiti, tenere i quaderni e i libri ordinati, avere un bell'astuccio con dentro tutto quello che mi sarebbe servito: la matita blu per sottolineare le cose importanti; quella rossa per sottolineare le cose MOLTO importanti; la gomma pane, di cui, a volte, in preda a qualche passeggero attacco di noia o di nervosismo, sbocconcellavo con aria assente gli angoli; la Coccoina, di cui ero ghiottissima, che usavo per incollare le figurine sul quadernone delle ricerche; le penne multicolori che avrebbero dovuto profumare di frutti, e invece emanavano ognuna un diverso fetore dolciastro e sintetico che impestava il mio diario per mesi (ne andavo matta), per scrivere i compiti...


Ero la classica secchiona zelante, che però non passava mai per tale, perché mi mancavano gli occhiali e la erre moscia per rappresentare al meglio, al limite della macchietta, la classica figura della prima della classe, e poi perché, per quanto alti fossero i miei voti e ordinati i miei quaderni e i miei libri, io ero sempre un po' disordinata, con le dita perennemente sporche di inchiostro e un'aria da sciamannata.


Benché, infatti, mia madre si impegnasse strenuamente per farmi indossare ogni mattino un grembiule candido e stirato alla perfezione, io riuscivo, anche solo nel breve tragitto da casa a scuola, a dargli subito un'aria vintage, per così dire, a ciancicarne i polsini, gli orli e il colletto, a sciogliere il fiocco (che naturalmente non ero più capace di annodare nella giusta maniera e finiva sempre per penzolarmi sbilenco sul petto), in questo modo acquistando io stessa quell'aria trasandata e non 'a posto' che, mi piace immaginare, era la stessa che doveva avere spesso la mia adorata Virginia Woolf, di cui qualcuno, un giorno, disse che sembrava fosse sempre appena passata attraverso una siepe.


Naturalmente ero contenta di andare in vacanza, soprattutto in quegli anni felici della mia infanzia in cui trascorrevo tre mesi filati al mare (e mio padre veniva solo nel fine settimana, come nella più classica delle tradizioni italiane: la mamma in campeggio al mare coi figli, il papà in città a lavorare che raggiunge la famiglia il venerdì sera); ma ero ben più contenta di tornare a scuola e ritrovare quelle attenzioni e quelle gratificazioni che mi era tanto facile ricevere lì e che sembravano invece tanto difficili da conquistare in casa mia. Ma questo, come al solito, è un altro discorso...

Ma per tornare al punto, in quest'estate rovente ho sviluppato una vera dipendenza dalla
crema di ricotta al caffè del grande Stefano Arturi, che potete trovare a pag. 189 del suo più volte citato Pausa Pranzo (guardate per esempio qui e qui e anche qui), di cui mai mi stancherò di cantar le lodi.

E' davvero facilissima (sentito, Grazia cara?) e dunque si può fare anche in quei momenti in cui si pensa di non avere nemmeno l'energia per mangiare, figurarsi per prepararsi qualcosa di tutto sommato superfluo (ma quanto ci si sbaglia, al riguardo!) come un dolce.

Eccola qui:

per 3-4 persone:

350 gr. di ricotta
60 gr. di zucchero
2 cucchiai di rum scuro
(io li ho sostituiti con 2 cucchiai di brandy)
70 ml di caffè forte e freddo (per pigrizia e comodità io ho usato due cucchiaini di caffè solubile sciolti in 70 ml di acqua)

Non dovrete far altro che mettere tutti gli ingredienti nel robot da cucina e azionare. Non troppo a lungo. L'Arturi dice addirittura, se si vuole, di usare semplicemente una forchetta. Io preferisco che la crema sia più morbida, ma è questione di gusti, ovviamente.

In teoria, il tutto andrebbe messo in frigo per 10-12 ore.
L'Arturi deve essere evidentemente un uomo virtuoso e con un'invidiabile capacità di contenere i suoi bassi istinti, oltre che un ottimista con una grande fiducia nel genere umano.
Io non riesco mai a resistere per più di qualche ora, ma è vero che il giorno dopo è nettamente più buona, soprattutto se, come viene consigliato, la si serve con una spolverata di cacao e di cannella; in realtà
immagino che sia più buona così, perché appena la tiro fuori dal frigo la divoro in preda ai bassi istinti di cui sopra, e non mi lascio nemmeno il tempo necessario a compiere questa semplice operazione; l'ingordigia però, paradossalmente, mi obbliga a lasciarne sempre un po' per il giorno dopo.

La via della virtù è a volte tortuosa.

Enjoy!

(Che non lo venga a sapere l'Arturi, che lo aborre, ma trovo che nella crema stiano benissimo anche 50 gr. di cioccolato bianco sciolti a bagnomaria con due cucchiai di latte, da aggiungere agli altri ingredienti nella coppa del robot. Volendo evitare di sentirmi troppo in colpa nei suoi confronti, ogni tanto ho optato per del cioccolato fondente, sempre sciolto a bagnomaria).


5 commenti:

  1. persone a lui vicine, mi dicono che arturi aborri si' il ciocco bianco, ma vada in sollucchero quando le "sue"ricette vengano impossessate e fatte proprie da altre persone. s

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  2. Come invidio la tua bravura in cucina! Io so mangiare molto bene, ma in quanto a cucinare... ehm..
    Però quest'inverno voglio provare alcune tue ricettine che ho memorizzato.
    Ora no, eh, che non ho voglia nemmeno di mangiare :-/

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  3. Cara Gabriella,
    io ti invidio, invece, per la tua assenza di appetito! :-)
    Anche con 40 gradi io ho sempre una fame atavica, non so perché...
    Poi io non sono brava, sono solo una diligente esecutrice di ricette. Giuro. Tutto qui!
    Grazie per la visita, a presto!

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  4. nemmeno durante un piccolo soggiorno nelle "mie terre" (suona molto nobile, in realtà è molto più banalmente il mio paese d'origine) rinuncio, nella torrida ora della siesta pomeridiana, a venire a dare una sbirciatina al tuo blog. la ricetta mi ispira (l'hai un po' nigellata! :-)). potrei cimentarmi e proporla agli aspiratori di c che mi circondano. chissà che figurone. nel fratempo cercherò anche il libro dell'arturi, che già il nome mi suona bene. un salutone,
    t. (the t time)

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  5. Ciao,
    avevo capito che ti eri momentaneamente assentata per una breve vacanza, ché ogni giorno vado a vedere se qualche nuova, mirabolante foto è apparsa nel tuo blog.
    Gli aspiratori di c dovrebbero essere ben contenti di questo dessert. Una versione più casereccia, meno nigellata, che il mio babbo (aspiratore di c per eccellenza) si preparava ogni tanto in passato era ricotta, zucchero e caffè in polvere, tutto lavorato con la forchetta e accompagnato da un bicchierino di grappa o liquore. Credo sia proprio tradizionale toscana, o giù di lì.
    Dell'Arturi non posso che dir bene (e giuro, non mi paga per farlo!), quindi caldeggio vostra conoscenza tramite acquisto del suo libro.
    Riposati e divertiti (ma torna presto ad allietarci!), un bacio

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