lunedì 27 aprile 2009

Del non sapere attendere, o di un contorno di zucchine


Non so voi, ma quest'anno ho accolto l'apparizione delle prime zucchine più o meno di stagione con vera e propria esultanza.

In realtà, almeno al supermercato vicino casa mia,
ci sono sempre state montagne di zucchine, anche sotto Natale.

E' un gran casino capirci qualcosa quando si parla di stagionalità di alcune verdure. Col fatto che si coltivano per lo più in serra, o che si importano senza remore da ogni angolo del globo (e più remoto e lontano è e meglio è, pare che sia il principio), ci si ritrova piuttosto spaesati.

C'è chi mi dice che, come gli spinaci, le zucchine hanno in realtà una doppia stagione.

Quando ero bambina, a casa mia, si cominciavano a mangiare a primavera inoltrata, quasi all'arrivo dell'estate ed io, benché il tempo meteorologico si ostini a negarlo, sento che questo momento è arrivato.

Così, dopo la pasta del precedente post, qualche giorno fa mi sono preparata per pranzo un bel piatto di zucchine ripassate come le fa Stefano Arturi.

La ricetta, facilissima, veloce e mooooolto buona, è sempre sul suo Pausa pranzo, che, come ho già fatto in precedenti occasioni (per esempio qui e qui), vi invito a cercare la prossima volta che andrete in libreria.

Eccola qui, tale e quale:

per 3-4 persone

600 gr. di zucchine
olio
uno spicchio d'aglio
un cucchiaio di aceto
un pizzico di zucchero
2 cucchiai di uvetta
50 gr. di pinoli
menta e prezzemolo

Arturi suggerisce sempre di mettere sotto sale le zucchine prima di cucinarle, il che significa tagliarle sottili, metterle in un colapasta, metterci su un abbondante pizzico di sale e lasciarle lì per almeno mezz'ora (un'ora è meglio).

Dopo di che, dovete assaggiarne una: se è salata, sciacquatele velocemente sotto l'acqua, asciugatele e strizzatele in uno strofinaccio. Altrimenti limitatevi a scolarle e ad asciugarle nel solito strofinaccio di cui sopra.

Nel frattempo mettete i pinoli in un padellino e fateli andare per qualche minuto: devono tostarsi leggermente senza bruciare. Metteteli da parte.

Prendete l'uvetta e fatela rinvenire nell'acqua.

Quando sarete pronti a cuocere le zucchine, mettete
dell'olio e lo spicchio d'aglio in una bella padella capiente (più lo è, meglio è, così le zucchine non si lessano). Quando sentite il profumo dell'aglio, rimuovetelo (io l'ho tenuto, ma più per pigrizia che per altro) e aggiungete le zucchine. Fatele cuocere a fuoco alto per una decina di minuti, senza farle attaccare.

Negli ultimi minuti di cottura, aggiungete l'aceto e lo zucchero, infine l'uvetta. Le zucchine, dice l'Arturi, "devono risultare tenere ma non si devono spappolare".

Quando si saranno raffreddate, aggiungete i pinoli e la menta e il prezzemolo tritati (io ho usato solo la menta, perché sprovvista di prezzemolo). Sarebbe meglio lasciarle in pace per un'ora, prima di mangiarle. Se però, come me, benché vi sforziate di dominarla, avete una natura fondamentalmente ingorda e impaziente, portatele in tavola.


Enjoy!

sabato 25 aprile 2009

Chesil Beach di Ian McEwan

Avevo visto Ian McEwan parlare di questo suo libro da Fazio e mi aveva molto incuriosita, così quando l'altro giorno, in biblioteca, in preda alla consueta smemoratezza che mi coglie quando ci vado (ho una lista dei libri che vorrei leggere sulla mia agenda, che però, 9 volte su 10, dimentico a casa in qualche borsa che non è mai quella che prendo per uscire), i miei occhi che scorrevano le coste dei libri lo hanno individuato, non ci ho pensato due volte.

Ad ogni pagina si sente la tenerezza che Mcewan prova per i suoi due protagonisti, due giovani innamorati in un'Inghilterra non ancora toccata dal cataclisma portato dalla rivoluzione sessuale, due giovani intelligenti, ognuno a modo suo con un temperamento forte e una sua originalità, lei violinista talentuosa e appassionata che sogna di metter su un quartetto d'archi di successo, lui che vorrebbe diventare uno storico.

Il libro parla della loro notte di nozze, con excursus nel passato di entrambi; parla della paura di fallire di lui e della paura del sesso di lei, racconta di come due giovani che pur si amano non riescano a trovarsi, a capirsi, e si perdano per un soffio.

Se la loro notte di nozze fosse stata anche solo un anno dopo, suggerisce l'autore, se l'atmosfera intorno a loro avesse già subito la corroborante scossa della liberazione dei costumi che avrebbe fatto di quel decennio i mitici anni '60, forse la loro storia non sarebbe andata a finire così.

Come in tutte le meditazioni sul passato all'insegna dei 'se...', in questo libro, per me di sublime bellezza, si respira un'aria leggera di gentile malinconia.

Come sempre, McEwan dimostra non solo di essere un grande scrittore, ma soprattutto di essere capace di grande empatia nei confronti dei suoi simili; raccontando la storia del fallimento sentimentale di due ragazzi lontani da noi nel tempo e nello spazio, racconta, con rispettosa tenerezza e partecipazione, la storia di noi tutti.

lunedì 20 aprile 2009

Dei traumi infantili (degli altri) e di una pasta con le zucchine



Non so voi, ma io ho notato che se mangio un piatto di pasta a pranzo, alle 3 del pomeriggio ho di nuovo una fame bestia che mi indurrebbe ad addentare un polpaccio della mia dolce metà (se non fosse tanto magrolino e dunque di poca soddisfazione).

Ho quindi deciso, indipendentemente da ciò che dicono i libri e gli studiosi (in realtà non mi sono affatto documentata), che d'ora in poi, se posso, mangerò carboidrati la sera e proteine a pranzo.

Per la pasta non ho mai fatto follie, preferisco di gran lunga mangiare la pizza (come ho già scritto un po' di tempo fa), o al limite una bella fettona di pane con l'olio, piuttosto che un piatto di spaghetti al pomodoro (bestemmia per le orecchie della Spia).

Però ogni tanto, la pasta ci vuole. Ne sento proprio il bisogno, e lo assecondo. Non avendo ancora il coraggio di farmi un piatto di spaghetti al tonno, ho optato per una ricetta che mi incuriosiva da un po', da quando ero ancora a Lusaka, dove però il mascarpone (ce n'è poco poco, e la ricetta prevede anche eventualmente di sostituirlo con del formaggio fresco, ma non lo farei mai!), quando lo si trovava, e non era andato a male o muffito, costava quanto il tartufo. Stasera era arrivato il momento che aspettavo da un po'.

La ricetta proviene da Rachel's Food for Living, quarto libro di Rachel Allen, e io le ho apportato qualche modifica:


Rigatoni with courgettes, lemon & basil
(non c'è bisogno della traduzione, vero?)

dosi per 2 persone (di cui una a dieta):

mezza cipolla (l'ho aggiunta io; non concepisco un sugo di nessun tipo senza un po' di cipolla)
170 gr. di pasta corta (io ho usato penne di farina integrale)
1 cucchiaio di olio di oliva
2 zucchine
50 gr. di mascarpone
1 cucchiaio di latte
la scorza di mezzo limone
basilico
sale e pepe

Mettete sul fuoco la pentola con l'acqua.

In una padella grande abbastanza per poter contenere più tardi la pasta da ripassare, mettete la cipolla tagliata finissima e, dopo averla bagnata con l'acqua (non abbiate timore di farla affogare, mettetene), lasciatela cuocere, evitando che tutto il liquido evapori. Quando la cipolla vi apparirà morbida e trasparente, e quasi tutta l'acqua sarà sparita, aggiungete un cucchiaio di olio e continuate a far cuocere la cipolla, girandola con un mestolo in modo da coprirla tutta con l'olio.

Da quando sono a dieta questo è il mio modo di cuocere la cipolla. Si evita di usare troppo olio. Ci sono arrivata da sola (non che ci voglia chissà cosa...), a naso, finché ho scoperto, per caso, che anche la mia nonna paterna, la mitica nonna Olga (che non ho mai conosciuto, è morta all'inizio degli anni '60), che non aveva di sicuro nessun tipo di preoccupazione di peso, nel senso che era un donnone giunonico immune da qualsiasi complesso, cuoceva sempre la cipolla così. Mi piace pensare che in qualche modo, dentro di me, abbia agito il ricordo inconsapevole delle migliaia di volte in cui nonna Olga ha compiuto quei gesti che ora compio io nella mia cucina, e questo 'ricordo' si sia fatto strada nella mia memoria genetica.

Comunque sia, quando la cipolla sarà cotta e insaporita dall'olio, aggiungete le zucchine.


Ora, Rachel Allen è bravissima, io sono una sua grande fan. E' simpatica e carina, e un'ottima cuoca. Però è irlandese, e non bisogna dimenticarselo. Quindi per lei le zucchine possono cuocere per 3-4 minuti. Ora, anche tagliate fini fini con la mandolina come ho fatto io, le povere zucchine devono cuocere una decina di minuti. I cuochi anglosassoni risentono probabilmente di quotidiani traumi subiti fin da piccoli, ad opera delle loro mamme e delle cuoche delle mense scolastiche, che gli hanno sempre ammannito verdure 'boiled to death' (bollite a morte), prive ormai non solo di qualsiasi sostanza nutritiva, sale minerale o vitamina, ma soprattutto di ogni parvenza di sapore, colore e consistenza. Quindi, per reazione, prevedono tempi di cottura ridicoli: 30 secondi per un fagiolino, 3 minuti per le zucchine, 10 per una patata. Bisogna comprenderli, e compatirli, e fregarsene allegramente delle loro indicazioni sui tempi di cottura delle verdure, e proseguire serenamente.

Dunque, fate cuocere queste zucchine a fuoco alto per una decina di minuti, agitando la padella, mescolandole con il mestolo, insomma, non perdetele d'occhio, non le fate attaccare!

Intanto, l'acqua avrà cominciato a bollire, voi avrete calato la pasta e avrete spento il fuoco sotto le zucchine, dopo averle salate e pepate.

In una ciotola amalgamate il mascarpone, il latte, la buccia di limone e tutto il basilico che volete, aggiungete il tutto alle zucchine e quando avrete scolato la pasta trasferitela nella padella e ripassatela per un minuto sul fuoco, così da far amalgamare tutti i sapori.

Servite immediatamente, con una bella grattugiata di parmigiano (che io non ho messo).

Enjoy!



Rachel Allen, Rachel's Food for Living, Collins
, London 2007.

domenica 19 aprile 2009

Il professore di desiderio di Philip Roth

Questo è il primo romanzo di Roth che leggo. Me ne avevano parlato tanto di Roth, de Il lamento di Portnoy e di Pastorale americana, che mi erano stati presentati come capolavori. Quindi mi sono avvicinata alla lettura di questo suo libro con una certa apprensione e forse con un filo di pregiudizio, come ahimé a volte mi accade quando sono a cospetto di mostri sacri o libri che vendono tanto e sembrano piacere a chiunque.
E' una meditazione sofferta sulle dinamiche del desiderio, sul mistero del suo sorgere e del suo sottrarsi, sulla dolorosa inquietudine che può generare quando viene represso e sugli sconvolgimenti cui può sottoporre chi gli si opponga in nome della paura della propria ombra e dell'umano bisogno di tranquillità.
Le donne che appaiono nel romanzo sono tutti personaggi riusciti, diverse tra loro ma tutte ugualmente vive, palpitanti, coraggiose.
La mia scena preferita è quella alla fine del libro, la cena nella casa delle vacanze in cui la nuova compagna di Keplesh incanta i suoi ospiti con il suo naturale e spontaneo talento, tutto femminile ma ahimé raro, per far sentire gli uomini intorno a lei accuditi, avvolti da una rete gentile e discreta di premure e attenzioni e Keplesh, ammaliato e innamorato come mai, in quello stesso istante in cui riconosce questa sublime qualità della sua donna, e le è grato per il meraviglioso senso di appartenenza e di intimità che sa trasmettergli così, naturalmente, sa che tutto questo non basterà comunque a salvare la loro storia dalla fine.
"Solo un intermezzo, penso, e come se fossi davvero stato pugnalato e la forza vitale sgorgasse fuori da me, mi sento sul punto di ruzzolare giù dalla sedia. Solo un intermezzo. Non conoscerò mai qualcosa di duraturo. Soltanto gli irrinunciabili ricordi di sentimenti discontinui e provvisori; un'interminabile saga di tutto ciò che non ha funzionato..."
Non è una lettura che definirei amena (troppo scomodamente sincera su tante inquietudini in cui ci si può riconoscere), ma senz'altro stimolante, a volte dai toni sarcastici, a volte grondante sublime malinconia.

giovedì 9 aprile 2009

Del tradimento o di nuovi esperimenti con i brownies

Mi rendo conto che per una persona che sostiene di essere a dieta, sfornare teglie su teglie di brownies non sembra essere la cosa più intelligente da fare.
Eppure (o dovrei dire: proprio per questo...), è esattamente ciò che sto facendo negli ultimi giorni. C'è da dire che per lo più ne ho fatto omaggio ad amici e conoscenti, concedendomene una briciola (forse più di una briciola...) per assaggiare e valutare.

La mia fitta corrispondenza
sull'argomento col mitico Stefano Arturi (che potete trovare nei commenti al precedente post), nonché alcuni scambi sul suo blog sul sito di Marieclaire, mi hanno infatti convinto della necessità di provare altre ricette.

Insomma, da fuori potrà sembrare una cretinata. Per me è stato come sfatare un tabu, come una di quelle azioni, azzardate e rischiose, a volte del tutto incomprensibili, dettate dal desiderio di conoscenza o di emancipazione, che danno il via, nei miti e nelle fiabe, al viaggio al termine del quale l'eroe o l'eroina si ritroveranno adulti e trasformati.

Per non farla troppo lunga (perché mi piace giocare con le parole e le immagini, ma fatalmente ho una tendenza al dramma e all'esagerazione - ve ne sarete accorti), mi fermo qui.

Il primo esperimento è nato per cercare di vedere se fosse possibile ottenere un risultato altrettanto libidinoso come quello prodotto dalla ricetta di Nigellona, senza utilizzare tonnellate di qualsiasi cosa non si dovrebbe neanche nominare (burro, cioccolato, zucchero, uova).

Tra le tante ricette a mia disposizione, ho scelto di provarne una di Linda Collister, dal suo Cioccolato (Luxury Books, 2004; ecco qui il link alla scheda del libro nel sito della casa editrice). Ho un paio di altri libri di questa autrice, che ha studiato alla prestigiosa Cordon Bleu di Parigi e, come dice una nota biografica sulla quarta di copertina, 'trascorre gli inverni a Londra e le estati nel Maine'.

Questo potrebbe forse essere motivo sufficiente a giustificare la mia scarsa simpatia per il personaggio (ne ho ben donde, non vi pare?). Oppure è l'espressione dura e un po' sarcastica in questa foto, (l'unica che io abbia mai visto)? Sicuramente, però, la cuoca ha tutto il mio rispetto e la mia ammirazione.

Da anni faccio dei suoi biscotti con gocce di cioccolato che sono tra le cose più buone che io abbia mai mangiato in vita mia. Tra l'altro, mi sono sempre venuti benissimo nel forno sgarrupato che avevo nella mia casa a Lusaka, mentre quando ho provato a farli in quello nuovo di zecca della mia cucina a Firenze mi è venuto un papocchio, gommoso e spetacciato. Misteri della pippa nera, direbbe mia sorella.

Comunque, la tiro per le lunghe perché mi secca moltissimo ammettere che i brownies della Collister mi sono piaciuti molto di più di quelli di Nigellona. Oh, l'ho detto! Belli croccanti fuori e morbidi e umidi dentro, una meraviglia. Libidinosi il giusto, si fanno mangiare senza quel carico di senso del peccato che di certo non mi ha mai impedito di mangiare alcunché, ma un po' rovina il sano piacere di concedersi, di tanto in tanto, qualche vaccata.

Purtroppo (o per fortuna), niente foto. Li ho preparati e portati ad una riunione che ha segnato la fondazione di un piccolo GAS (Gruppo d'Acquisti Solidale) cui sto dando vita insieme ad altre persone del quartiere e non ho avuto il tempo di immortalarli. Gli altri aspiranti 'gasisti' hanno apprezzato, però.

Ecco le dosi:

100 gr. di cioccolato fondente
125 gr. di burro, a temperatura ambiente
275 gr. di zucchero semolato (io ho usato poco meno di 200 gr. di zucchero di canna leggero e penso si potrebbe ulteriormente diminuire la quantità, soprattutto considerato il fatto che viene usato anche l'estratto di vaniglia: la cosa mi è stata confermata anche da Arturi)
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
2 uova di grandi dimensioni
85 gr. di farina 00
2 cucchiai di cacao in polvere
una presa di sale
100 gr. di noci pecan o noci a pezzetti (io ho usato il cioccolato bianco)

Ho fatto fondere a bagnomaria il cioccolato col burro (procedura Nigellona), per poi accorgermi che secondo questa ricetta il burro andava prima montato a crema da solo, e poi con zucchero, vaniglia e uova. Non credo, onestamente, che il risultato sia cambiato di molto, ma se volete seguire la ricetta originale montate prima il burro a crema, aggiungete lo zucchero e la vaniglia e montate fino ad ottenere un composto spumoso, quindi amalgamate le uova.

Comunque sia, al composto di uova, zucchero e vaniglia, ho aggiunto quello di cioccolato e burro intiepidito, quindi ho unito la farina e il cacao e il sale tutti passati al setaccio e per ultimo i pezzetti di cioccolato bianco.

Ho versato il tutto in una teglia quadrata da 23 cm di lato imburrata e foderata interamente di carta da forno e messo a cuocere a 180° per 30 minuti (a seconda dei forni potrebbero volercene altri 5).


Questa foto qui, invece, l'ho scattata stasera al secondo esperimento. Stavolta ho seguito la ricetta di Stefano Arturi proposta su Pausa Pranzo (qui il link al mio post nel quale parlo di questo libro), che, a sua volta, è una variazione di un'altra ricetta sempre di Linda Collister.
Il tocco di genio di Arturi è l'aggiunta dell'arancia e delle nocciole che, con il cioccolato, creano una combinazione gradevolissima e molto profumata. Della consistenza non sono felicissima, ci devo lavorare un po' su. Sono venuti un po' troppo secchi per me, ma sono sicura si possano migliorare aggiustando i tempi e la temperatura.

Comunque, ecco a voi la ricetta:

150 gr. di burro
4 uova, leggermente sbattute
250 gr. di zucchero di canna (il tipo morbido)
un pizzico di cannella
la scorza grattugiata di un'arancia
80 gr. di cacao amaro
140 gr. di farina 00
100 gr. di nocciole tostate

Fondere il burro dolcemente e mettere da parte.
Con un cucchiaio di legno, mescolare le uova con lo zucchero.
L'Arturi vieta di usare uno sbattitore elettrico per questa operazione, perché non bisogna montare le uova, ma soltanto amalgamarle allo zucchero.
Aggiungere il burro, la cannella e la scorza d'arancia.
Setacciare il cacao e la farina e unirli al composto.
Infine, con una sola mescolata, aggiungere le nocciole.
Versare il tutto nella solita teglia quadrata da 23 cm. di lato e mettere in forno a 170° per 30 minuti.

Insomma, che dire? I miti esistono anche per essere sfatati. Rimane un po' la sensazione di aver tradito qualcuno, ma di fronte ad un brownie si dimentica facilmente qualsiasi senso di colpa.

Enjoy!

In questi giorni, in giro per i vari blog che bazzico abitualmente, si respira ovviamente un'aria dolente.
Quello che è accaduto in Abruzzo è qualcosa cui non si può non dedicare molti dei propri pensieri, ogni giorno, e di fronte cui molte cose si relativizzano, perdono valore, senso, importanza.

Qualcuno ha ospitato appelli, pubblicizzato lodevoli iniziative promosse da privati o da associazioni. Tutti si sono quasi scusati di voler continuare, nonostante tutto, a scrivere sui propri blog, parlando di libri o pizze di pasqua, cioccolato o perline.

Mi scuso anch'io, non c'è molto che io possa fare se non ciò che mi detta la coscienza (e questo blog non mi pare la sede adatta per parlarne) e invitare chiunque leggesse queste righe a rispondere ai tanti appelli disseminati tra i blog, appunto, sui giornali o in tv.

mercoledì 1 aprile 2009

Della varietà umana e dei brownies


Che le persone siano tutte diverse tra loro è un dato ineludibile della condizione umana. Che ciò sia vissuto come una maledizione, causa di incomprensioni e senso di separatezza, o come occasione salvifica o quantomeno stimolante di confronti costruttivi ed ardite esplorazioni fuori di sé, dipende ovviamente dalla coscienza e dalla volontà del singolo.

Anche chi a parole dice di aver fatto pace con questa questione e di essere in grado di accettare veramente gli altri in quanto diversi da sé è raramente informato di tale nobile principio
in ogni suo atteggiamento. Benché, ad essere sincera, io abbia conosciuto almeno una persona tanto rara. C'è da dire che questa persona, che professava di essere tanto aperta e tollerante(e a onor del vero lo era), un tipo che veniva al liceo con me, era anche quasi sempre sotto effetto di qualcosa di allucinogeno. Rimase storica quella volta che, in mancanza di meglio, si fumò una tisana a base di tiglio della madre - ex figlia dei fiori - in una pagina di Topolino. Era uno tranquillo, come si suol dire, cui andava bene tutto, anche non essere perennemente in stato di sballo (ma ci sarà stato mai?).

Sono rare le cose che mettono tutti d'accordo; c'è sempre qualcuno che rimane fuori dal coro, perché è davvero così e non può farne a meno né si vergogna di esserlo (chapeau!),oppure per spirito di contraddizione, voglia di polemizzare, puntiglio sterile, noia.

Sono riuscita a trovare persone cui non piace la Nutella. Rendermi conto che al mondo esistono individui che non provano una violenta pulsione, primitiva, egoista, quasi sensuale di fronte ad un barattolo di questa crema unta e fatta con non si sa bene cosa ma dal sapore sublime, mi ha, a suo tempo, piuttosto scioccata. Ho in mente più di un caso (clinico), ma quello che mi è rimasto più impresso è stata una compagna di scuola del freak di cui sopra (combinazione), una ragazza di una bellezza ingestibile e ingombrante, che la madre, con spirito imprenditoriale e pochissimi scrupoli, faceva lavorare come modella sin dalla più tenera età, tenendola perennemente a dieta, portandola ogni settimana dal parrucchiere e dall'estetista, scegliendo per lei tutto, dai vestiti allo zainetto all'orologio.

La bellissima fanciulla subiva probabilmente da anni una sorta di lavaggio del cervello: affermava convinta di preferire una ciotola d'insalata scondita a una rosetta imbottita di Nutella. "Ma davvero non ti piace?", le chiesi un giorno, invidiosa e incredula. "Mi fa venire la nausea, e poi mi dà fastidio perché mi si appiccica ai denti", mi rispose lei. Vabbe'.

Ma finora non ho mai incontrato essere umano cui non piacciano i brownies. Di qualunque età, religione, sesso, orientamento politico, ceto sociale e nazionalità. I più, trovandosene di fronte una teglia, se la sparano ingordamente
in poche ore senza farsi grossi problemi.

Un nostro amico, golosissimo e chocaholic, ad un pranzo di Pasqua se ne mangiò quasi mezza, togliendo, come si suol dire, il brownie di bocca ai suoi figli, con la scusa che sì, era una cosa buona, ma faceva anche male. Quando il figlio più grande gli chiese perché, visto che faceva male, lui se ne stesse mangiando un badalucco vietando però a loro di fare altrettanto, il nostro amico, con incredibile prontezza rispose: "Ma sai, ormai il papà ha un piede nella fossa", o qualcosa del genere.

Alcuni cominciano con un quadratino, poi passano al secondo, al terzo, e via così quasi senza farsi notare e si finiscono la teglia comunque. Poi ci sono quelli che hanno un pregiudizio innato nei confronti di qualunque dolce non sia italiano (e non sia una ricetta della loro mamma). "Un dolce americano?" ti chiedono perplessi e con il sopracciglio ad accento circonflesso. Poi se ne mettono in bocca uno e dopo un momento di indecisione si mettono d'impegno a finire la teglia, con l'entusiasmo e lo zelo dei neofiti.

Consapevole dell'ecumenicità di questo dolce, ho deciso che sarebbe stato un buon modo per sdebitarmi (solo in parte) nei confronti di un nostro amico, la cui unica colpa è quella di essere un informatico e di essersi offerto di aiutarmi con un problema che ho col mio portatile. Ieri ho campeggiato nella sua cucina, mentre lui smanettava e si dannava sul mio computer, per qualcosa come cinque ore. Il minimo che potessi fare era preparare il solito teglione di brownies e portarglieli.

La ricetta, la ur recipe, come direbbe la mia Nigellona, è proprio di Nigellona e si trova su Feast. Food That Celebrates Life (il link è alla scheda nel sito della casa editrice).

Sono particolarmente affezionata a questo libro perché la copia in mio possesso è autografata: con un tratto da megalomane (ogni lettera è mezza pagina), la mia eroina ha vergato con un pennarellone nero l'immortale dedica FOR ALESSIA AUGURI! La storia è andata così.

Nel 2005, in settembre, siamo andati a Londra. Poco dopo gli attentati alla metropolitana, ricordo. La Spia ha scritto una mail sul sito della Lawson, spiegandole che avrebbe tanto voluto farmi una sorpresa: portarmi a Londra in qualche ristorante o bar o qualunque altro luogo e farmi conoscere la mia cuoca feticcio.

La Lawson ci mise quasi un mese a rispondere, perché era in vacanza in Italia (nel frattempo altre frequentatrici del sito lasciarono messaggi su messaggi alla Spia, nei quali si dicevano estasiate dalla bellezza del suo gesto e si auguravano che io fossi capace di apprezzare tanta bontà e carineria) e comunque, com'era prevedibile, disse che la cosa non era possibile. Se avesse dovuto accontentare tutte le richieste che riceveva di incontrare i suoi fans, avrebbe fatto solo questo nella vita. Ma si offrì di spedire una copia autografata del suo nuovo libro, che io avevo comprato appena uscito, mesi prima.

Il giorno del mio compleanno, in dicembre, la Spia mi fece trovare un bel pacchetto sul tavolo della colazione. Era chiaramente un librone, e in qualche modo aveva un'aria familiare. Quando lo aprii, non sapevo bene come comportarmi: la Spia è di una distrazione patologica e davvero non si rende conto, per lo più, di ciò che gli sta intorno. Potrei tagliarmi i capelli a zero o tingermeli di verde e lui lo noterebbe dopo qualche mese. Possibile non si fosse accorto che da mesi andavo leggendo quel tomo di notevoli dimensioni, commentandone per di più alcuni passi ad alta voce?

Poi vidi la dedica, e feci un sospiro di sollievo: rincoglionito sì, ma fino ad un certo punto.

Non vi spaventate leggendo le quantità di burro, cioccolato e zucchero usati in questa ricetta. Pensate al fatto che la teglia è enorme, che questi brownies non li mangerete tutti voi, che farete felici parecchie persone con pochissima fatica, che vi conquisterete un posto nei loro cuori per molto tempo come benefattrici dell'umanità.


Snow-flecked brownies

375 gr. burro

375 gr. cioccolato fondente, tagliato a pezzetti
6 uova
350 gr. di zucchero
1 cucchiaio di essenza di vaniglia
225 gr. di farina
1 cucchiaino di sale
250 gr. di cioccolato bianco, tagliato a pezzetti
zucchero a velo

Preriscaldate il forno a 180 gradi.

Foderate con un foglio di alluminio o di carta da forno una teglia 33 x 23 cm.

Sciogliete a bagnomaria il burro col cioccolato e lasciate poi raffreddare un po'.

In una ciotola capiente, sbattete lo zucchero con le uova e l'essenza di vaniglia. Aggiungetevi il cioccolato e il burro fusi e raffreddati e amalgamate.

Unite la farina e il sale e per ultimo il cioccolato bianco.

Versate il composto (dal profumo paradisiaco) nella teglia e cuocete per circa 25 minuti. I tempi sono traditori quando si parla di forni, si sa. I brownies non dovrebbero essere assolutamente secchi all'interno, ma piuttosto morbidi e umidi. Vi consiglio di non abbandonarli a loro stessi andandovene in salotto a leggere; restate in cucina e sorvegliateli, senza ansia ma con sollecitudine.


Nigellona suggerisce di servirli tagliati a quadrotti, disposti a piramide su un bel piatto di portata, spolverati di zucchero a velo e con tante candeline sopra per festeggiare (nel libro il Natale, in altre occasioni un bel compleanno, invece del solito, canonico tortone multistrato e glassato, contro il quale non ho nulla in contrario, sia chiaro).

Se non è Natale e non c'è un compleanno in vista, festeggiate anche il semplice fatto che un dolce tanto buono sia anche tanto semplice da fare, e soprattutto che siete dei fortunati mortali perché potete mangiarvelo!

Enjoy!


Nigella Lawson, Feast. Food That Celebrates Life, Chatto & Windus, London 2004.