giovedì 10 settembre 2009

Dei legami di sangue e delle affinità elettive, e di una torta di limone e mandorle


Da anni credo di esser arrivata alla conclusione che la famiglia, tradizionalmente intesa, non fa per me.

Sono sempre stata insofferente a quella morale spicciola e piccina per la quale i legami di sangue sono sacri e bisogna farsi piacere, anzi, amare, chi per accidente o per destino si trova a condividere con noi un cognome, un'origine comune.
Ancora più insofferente sono di fronte a quegli obblighi ipocriti per cui bisogna comunque accogliere nella propria vita (anche se solo per le feste comandate, per la rituale telefonata di auguri) la zia dispotica e snob, il cugino borioso dal quale tutto ci divide - dalle idee politiche ai gusti gastronomici -, il fratello o la sorella con i quali si sente di non aver un terreno comune sul quale incontrarsi.

A rischio di apparire patetica, ho sempre confusamente sentito di azzeccare ben poco col resto della mia famiglia e credo che anche i miei familiari abbiano sempre pensato la stessa cosa, benché in modo del tutto inconsapevole (anzi, sono certa che negherebbero energicamente qualunque affermazione di simile tenore).
Se quando ero più giovane la cosa era fonte di struggimenti a volte rancorosi e di malinconiche nostalgie di una famiglia che non avevo mai avuto, ma che, da qualche parte, in qualche luogo, ero certa mi attendeva a braccia aperte, crescendo ho imparato a farmi una ragione di questa mia 'incongruenza', ad accettarla come ho accettato di avere gli occhi castani e non di un bellissimo grigio, come una delle mie sorelle.

La famiglia, per me, la si crea: negli anni, vivendo, intessendo giorno dopo giorno quella rete di affetti e intimità le cui maglie sono (o dovrebbero essere) sempre morbide, elastiche, come quelle delle reti di protezione nei circhi, resistenti per poter ammortizzare gli urti degli acrobati volteggianti, lasche quel tanto per non sentirsi presi in lacci troppo stretti.

La famiglia è dunque, per me, d'elezione: composta per lo più di amici, ma anche (se si è fortunati) di fratelli e parenti, con i quali si dà vita ad un tessuto di condivisione e comunione, con cui si parla un linguaggio comune, spontaneo, aperto, il più possibile aderente al proprio e all'altrui sentire.

Ai rappresentanti di questa famiglia ci si rivolge in primis per piacere, perché è bello vivere con loro e attraverso di loro e, qualche volta, anche per bisogno.

A loro si può chiedere, ad esempio, di accompagnarci alle dieci di sera di una domenica a portare in una clinica veterinaria un gatto moribondo in preda a crisi convulsive che ulula come un licantropo e si piscia addosso, certi che di buon grado si toglieranno il pigiama che avevano già indossato, pregustando una lunga e serena notte di sonno, e si metteranno una polo e un paio di jeans, attendendoci sotto casa con un bel sorriso stampato sulle labbra e distraendoci con discrezione e delicatezza dalla nostra ansia e dalla nostra pena parlandoci di vacanze e di bambini.

Ai rappresentanti di questa famiglia, che alla bisogna e senza alcun risentimento - a volte, anzi, con un gusto divertito del trasformismo - vestono i panni di ambulanzieri, psicologi, muratori, tassisti, tecnici informatici e della tv, architetti e chi più ne ha più ne metta, è giusto, trasformandoci noi stessi in cuochi, preparare con commossa riconoscenza una torta da mangiare a colazione.

Una torta semplice, casalinga, non celebrativa; una di quelle torte oneste che si fanno senza quasi pensarci, per sfamare, appunto, una famiglia.




Torta di limone e mandorle (da Twelve di Tessa Kiros)


per una tortiera a cerniera di 20 cm. di diametro

125 gr. di burro, morbido
125 gr. di zucchero
3 uova, separate
125 gr. di mandorle macinate (non troppo fini)
60 gr. di farina (setacciata)
1 cucchiaino di lievito per dolci
succo e scorza grattugiata di 2 limoni medio-piccoli
zucchero a velo


Preriscaldate il forno a 180°, imburrate e infarinate la tortiera.

Lavorate con la frusta il burro e lo zucchero fino a quando non siano cremosi.
Aggiungete uno alla volta i tre tuorli.
Unite le mandorle, la farina e il lievito.
Ora è la volta del succo e della scorza dei limoni.
Infine aggiungete gli albumi, che avrete montato sofficemente in una ciotola.

Versate il composto nella tortiera e cuocete per 35-40', fino a quando il solito stecchino infilato al centro non esca pulito.

Lasciate riposare su una gratella, poi aprite la cerniera e liberate la torta.

Servite tiepida, spolverata di zucchero a velo (ma è buona anche fredda).

Mangiatela rendendo grazie alla vostra famiglia, qualunque essa sia, che è con voi, soprattutto, si spera, per gioire, ma a volte anche per piangere.

Enjoy!

7 commenti:

  1. Il mio amico Jean, al quale farò assolutamente leggere questo post, credo sottoscriverebbe ogni parola di quel che hai scritto.
    Da sempre mi dice quel che anche tu scrivi, da sempre mi ha eletta come appartenente alla "sua" famiglia ricostruita.
    Ed allora, in omaggio a tutto questo, preparerò per lui proprio questa torta, prima o poi..
    Paola

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  2. Bene, probabilmente ho acquisito un cugino!
    :-)

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  3. non posso non unirmi ai festeggiamenti per l'acquisizione di un cugino!
    forse così mi spetta anche una fetta di torta ;-)
    un saluto a entrambe!
    t.

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  4. Secondo me sei anche tu un po' cugina... :-)
    (La fetta di torta è comunque garantita!)

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  5. i tuoi post e questo in particolare sono la prova che in internet, a saper dove andare, si possono trovare piccole chicche: commenti e pensieri scritti con precisione, limati, divertenti spesso e occasionalmente sobri, pieni di umanita' e curiosita'. la torta e' buonissima e soprattutto ha un buon cuore, cioe' ha un bello spirito> rappresenta una cucina diretta, essenziale, onesta, integra. Buona e bella. ciao. ste

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