giovedì 4 marzo 2010

Dell'abbandonarsi alla corrente (più semplicemente, di una torta)


Ci sono momenti in cui la vita scorre lentamente, serenamente, e ci si abbandona fiduciosi al suo flusso soave, lasciandosi dolcemente trasportare dalla sua corrente. Si sa dove si sta andando, nella maggior parte dei casi, quanto meno se ne ha un'idea, seppur vaga: verso il mare. Ma non si sa quando ci si arriverà e al limite neanche come. Non importa. Si sa che prima o poi si arriverà e in questa fiduciosa certezza ci si culla, ci si prende il tempo di lasciar vagare lo sguardo lungo l'argine, si notano gli alberi, gli uccelli, le nuvole che si rispecchiano nell'acqua, si lascia pigramente penzolare una mano a lambire la corrente, sognanti, ci si compiace della bellezza del mondo, se ne gode, immemori e beati.

Ce ne sono altri in cui invece non ci si concede il delizioso lusso di farsi pigramente trasportare: non è possibile, non ce lo si può permettere. Bisogna essere fattivi, operosi, si è indaffarati, sulla propria barchetta, ci si dà un gran da fare coi remi, con in mente ben precisa la meta da raggiungere, concentrati sullo sforzo di arrivare senza sfracellarsi sugli scogli o precipitare giù da una cascata. Si guarda appena il paesaggio, la fronte aggrottata e gli occhi socchiusi a scrutare l'orizzonte, per accertarsi si stia andando nella giusta direzione; lo sguardo ogni tanto scende a controllare il movimento delle braccia che si affaticano sui remi. Si è un monumento di determinazione e forza.

Poi ce ne sono altri ancora, e sfortunatamente per molti sono la maggior parte, in cui si è sulla barca, si fa fatica, si arranca, non si sa se si arriverà mai: le braccia dolgono, il sole è impietoso, la fatica ottunde e snerva, ma non ci si può fermare. Si è persa l'idea della propria direzione, ma si va avanti, sentendo solo il peso del procedere, la stanchezza che si accumula nelle membra, sapendo che ogni giorno sarà come quello appena trascorso: una lunga, impietosa fatica che a tratti appare senza scopo e senza senso.

Infine, ci sono i giorni che sto vivendo io adesso.
Non so se sono su una barca. Se questa barca c'è, è di sicuro una barca fragilissima, dove è difficile mantenersi in equilibrio senza cadere in acqua.
La corrente è impetuosa e mi trascina senza che io riesca ad oppormi. Ovunque massi che affiorano, gorghi, salti vertiginosi.
Per lunghi tratti mi accorgo di trovarmi sott'acqua solo quando sento che i polmoni cominciano a esplodermi. Allora emergo e prendo fiato e di nuovo vengo presa e portata via dalla corrente. Non ho il tempo né il modo di capire dove sono: il paesaggio circostante è una macchia indistinta in fuga, non riesco a scorgerne la bellezza, i lineamenti, niente. So che c'è, so che è lì, ma non posso vederlo.

E' terribile sentirsi trascinare dalla corrente, soprattutto quando si cerca di fare resistenza. Comunque vince lei, è troppo forte.
Ma all'inizio l'istinto è quello di opporlesi, cercando con tutte le proprie forze di non farsi portare via, a dispetto del panico che prende quando si sente di perdere il controllo, dei crampi che paralizzano, dell'acqua che si beve perché la paura fa perdere il ritmo del respiro.

Poi arriva il momento in cui si capisce che forse la cosa migliore è farsi trascinare, abbandonarsi alla corrente e non fare resistenza. Si andrà senz'altro contro qualche masso, ed ogni tanto, fatalmente, ci si troverà con la testa sott'acqua. Si spera di non rompersi la testa o qualche osso fondamentale e ci si affida. Alla misteriosa, ambigua clemenza della natura e della vita, alla superiore saggezza di cui dà prova quella parte di sé che capisce e sa molto più di quanto sia possibile immaginare.
Prima o poi, lo si sa, si arriverà al mare. Quando e in che stato non è dato saperlo. Ma si confida nel fatto che ci si arriverà.
È già abbastanza, è qualcosa. E comunque è tutto quello cui ci si può aggrappare e non si ha scelta.

Io sono adesso in questa situazione.
La vita mi sta trascinando via, verso il mare ed io, dopo un primo momento di resistenza, dopo essermi sfiancata nel tentativo di oppormi, ora mi sono abbandonata.
Ci sono ancora momenti in cui mi prende la paura, il panico. Perdere il controllo è difficile; richiede coraggio, richiede fiducia, richiede umiltà.


Quando si è impegnati, come lo sono io, adesso, in un'impresa simile, molte cose, anche quelle molto amate e da sempre fonte di conforto e di rapimento, perdono di interesse e sapore.
Il cibo, la sua preparazione, la sua condivisione, diventa qualcosa che si fa automaticamente, senza consapevolezza, senza piacere, perché bisogna nutrirsi.
A volte - cosa difficile a credersi, inaudita - si fa addirittura peso, fatica insostenibile.

Poi, un giorno, inopinatamente, viene voglia di preparare una torta.
Non per sé.
L'ultimo dei pensieri, ora, è mangiare una torta.
Ma per gli altri.
Viene voglia di far qualcosa per gli altri, per dirgli che siamo grati della loro presenza, che ci si fa forza del loro esserci, del loro pensarci.
E allora ci si mette il grembiule, si tira fuori la bilancia, si dispongono gli ingredienti sul tavolo, si prepara la teglia.

Una torta facile che richieda davvero poco sforzo, ma restituisca comunque il senso della normalità, di una quotidianità che ora è stravolta e chissà per quanto ancora lo sarà.
Una torta da preparare come si celebra un rito: con concentrazione, con consapevolezza, con intenzione.
Una torta semplice che ci ricordi, mentre la facciamo, che non è vero che siamo completamente nel delirio, perché appunto, siamo ancora in grado di preparare una torta.
Una torta che porti con sé il ricordo struggente di un tempo più felice, e la speranza di tempi migliori a venire.
Una torta che ci rammenti, quando la vediamo divorata con gusto e con riconoscenza dagli amici, e sebbene noi non si riesca proprio a trovare la voglia di mangiarla, una cosa piccola e banale, ma vera: che la vita riserva ancora molto, anche a chi si trovi a vivere nella sua ombra.
Per il momento.


Boiled cake da Real Life Cooking di Trish Deseine

225 ml di acqua
110 gr. di burro
200 gr. di zucchero di canna (io ho usato in parte del Mascobado e in parte del Golden Caster Sugar, entrambi del commercio equo e solidale)
300 gr. di frutta secca (io ho usato 3 fichi secchi, dell'uvetta sultanina, dei mirtilli rossi e del ribes nero disidratati)
2 cucchiai di spezie miste (cannella, noce moscata, zenzero e chiodi di garofano o qualunque altra combinazione di vostro gradimento)
230 gr. di farina
1 cucchiaino di lievito per dolci
1 uovo, sbattuto

Preriscaldate il forno a 180°.
Imburrate e infarinate una teglia da plumcake.
In un pentolino mettete tutti gli ingredienti tranne la farina, il lievito e l'uovo e portare a bollore. Lasciate sobollire per 20', poi spegnete il fuoco e lasciate raffreddare un po'.
Aggiungete la farina e l'uovo, amalgamate bene.
Cuocete per circa 1 ora e mezzo (fate la consueta prova dello stecchino).

Se in questo periodo sarò un po' assente, sapete dove sono.
In mezzo al fiume, a cercare di arrivare al mare.
Spero di arrivarci presto.

Enjoy!






9 commenti:

  1. Amica mia, ho aperto il blog proprio perche' pensavo a te. Il tuo posto odierno e' bellissimo, e come sai molto vicino al mio cuore.
    Anche se ora non lo sai, tutto questo ti rendera' piu' forte, e ti aiutera' a scoprire tanto di te, la parte piu' nascosta. Ti abbraccio. Il resto via mail, appena riesco.
    C

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  2. Cara Duck, spero che tu possa navigare in acque più tranquille al più presto.

    Un abbraccio

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  3. è poco che ti ho scoperta e mi è piaciuto subito il tuo modo di scrivere, qs post mi ha commosso non ho grandi parole ti mando solo un abbraccio forte, ti aspetto qui.
    Francesca

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  4. Il dolce sa di buono e alla cannella non so resistere. Grazie per aver pensato anche a noi. Cucinare non è il mio forte ma di tanto sono ispirata… Chissà che non lo provi presto.
    Attenta ai sassi. Ti vogliamo indietro in tutto il tuo splendore!
    Un abbraccio
    Barbara

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  5. ... che tutte le creature acquatiche possano nuotarti attorno e accanto, possano farti da scudo e proteggerti dai sassi e dai gorghi, possano sostenerti quando sei stanca e vorresti lasciarti andare, e possano condurti sana e salva fino al mare.

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  6. Una torta semplice che ci ricordi, mentre la facciamo, che il delirio può essere solo il segno di un cambiamento necessario.
    Una torta che porti con sé il ricordo struggente di un tempo felice, che però avrà valore soprattutto a fronte della certezza di tempi migliori a venire.
    Una torta che ci rammenti che - come si dice in "Io e Annie" - una relazione è come uno squalo: deve andare sempre avanti se vuole sopravvivere, e che la vita riserva moltissimo a chi non si adatta a vivere nell'ombra.
    Per il momento e per sempre.
    La torta però non l'ho assaggiata. Com'era?
    Vabbè, posso immaginarlo. Buonissima come tutte le altre, vero?
    Tutte le papere possono affrontare l'impeto della corrente, è nella loro natura dopotutto. Solo una, però, sa anche preparare delle torte così. E di nuovo, fortunato l'uomo che la incontra!

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  7. Sono dispiaciuta di sentire queste parole; è così, d'altronde la vita è imprevedibile, no? Mi associo all'augurio di Tiziana, che non si smentisce mai nella sua delicatezza e magia: per conto mio ti abbraccio forte forte.
    Torna quando credi, lo capirai da sola.

    wenny

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  8. A Claudia, Federica, Barbara, Tiziana e Sara: grazie, di cuore, davvero, per avermi mostrato con tanta delicatezza e tanto tatto il vostro affetto.
    Anche se può non sembrare, sono pudica e mi confondo facilmente. Mi avete fatto piangere!

    Un grazie particolare a Francesca: benvenuta e grazie, mille volte grazie, del tuo aspettarmi qui.
    Credo di essere tornata.

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  9. Non sai quanto ho temuto di esserti sembrata fuori luogo.
    Dopo aver premuto "posta commento" mi sono accorta che le mie, in conclusione, potevano essere parecchio scontate come parole.
    Fiuu.
    :)
    Un caro abbraccio,

    wenny

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