lunedì 10 maggio 2010

Il mestiere di riflettere. Storie di traduttori e traduzioni

Da qualche anno collaboro con una casa editrice come traduttrice, la stessa casa editrice per la quale, più di dieci anni fa, ho fatto per un po' la correttrice di bozze, due lavori entrambi tragicamente sottopagati.

Per molti versi, può risultare comprensibile che la correzione delle bozze venga considerata tanto poco in termini retributivi: è un lavoro cui non si attribuisce alcuna valenza 'creativa' e, in quanto tale, rientra nell'ambito della bassa e bruta manovalanza editoriale.

Chi corregge un libro deve solo seguire regole precise, stabilite per convenzione e per lo più condivise dalla maggior parte delle case editrici. Deve dunque avere la conoscenza di queste norme (e una piccola dispensa allungata da un redattore in occasione del primo lavoro è in genere più che sufficiente a garantirla) e, ovviamente, un occhio allenato: su centinaia di pagine può sempre scappare una virgola eccentrica o una e corsiva che invece dovrebbe essere tonda.

Detto ciò, a me pare che sia comunque ingiusto non retribuire dignitosamente un lavoro che per molti versi è assolutamente alienante e provoca livelli di stanchezza fisica e mentale che solo chi lo ha svolto può comprendere.

Risulta, invece, meno comprensibile il motivo per cui anche il lavoro del traduttore sia tanto poco riconosciuto. Che nella traduzione, infatti, sia presente un forte elemento creativo, mi pare fuor di dubbio. Eppure, sono stati pubblicati libri su libri che indagano il rapporto ambiguo, sfuggente, complesso (traduttore-traditore è una vecchia espressione sempre tirata in ballo in questo contesto) tra il testo letterario originale, nato dalla mente, dalla sensibilità, dall'esperienza di un autore e quello in un certo senso 'nuovo', anche se generato da quello stesso testo, partorito invece dalla mente, dalla sensibilità e dell'esperienza di un traduttore, un essere umano, quasi sempre un filo nevrotico e spesso con spiccate tendenze eremitiche, che passa gran parte delle sue giornate solo come un cane, ossessionato dalle parole anche nel sonno, e la cui principale relazione, per mesi, è con un libro, un computer e svariate tonnellate di dizionari (i profani non immaginano di quanti tipi ne esistano).

Chi traduce narrativa (perché è di questo che si parla qui; la traduzione saggistica è, in parte, un'altra cosa e, anzi, tanto per sgombrare il campo di ogni possibile equivoco, chiarisco subito che io per ora ho tradotto solo testi di astrologia), chi traduce narrativa, dicevo, è davvero chiamato, a mio parere, ad assumersi responsabilità non da poco. Si fa mediatore e canale di trasmissione tra due mondi: quello dell'autore e quello di un pubblico che altrimenti non potrebbe leggere, godere, vivere libri scritti in idiomi stranieri e che resterebbe dunque tristemente all'oscuro dell'esistenza di testi meravigliosi e fondamentali.

Per questo fa tanta più rabbia ritrovarsi tra le mani libri tradotti in modo sciatto, superficiale, disattento, nati dal poco amore - in parte comprensibile - per un mestiere che invece, per quanto sottopagato e vilipeso, può davvero far molto per la diffusione della cultura e della passione per la lettura. Un testo tradotto e rivisto male (perché un libro mal tradotto che arriva in libreria è anche e soprattutto un libro mal rivisto, o rivisto con la stessa sciatteria, superficialità e disattenzione con cui è stato tradotto) nuoce a tutti: all'autore che l'ha scritto, che vede la sua creatura, partorita spesso con appassionato e doloroso accanimento, stravolta dal pressapochismo e dall'incuria altrui; al traduttore che lo traduce, che si priva della possibilità di redimere la fatica del suo mestiere nella bellezza e nel senso di umile orgoglio che può provare nel farsi prezioso mediatore e, soprattutto, al lettore che, a parte rari casi di assoluta insensibilità, invece di esser messo in condizione di avvicinarsi con piacere e con passione ad una nuova occasione di conoscenza e di bellezza e, prima di tutto, ad un altro essere umano (l'autore), ne viene brutalmente allontanato.

Da accanita e ossessiva lettrice (e da traduttrice), non dimentico mai il debito di gratitudine che porto ai tanti eremiti nevrotici che mi hanno permesso, negli anni, di leggere testi che altrimenti mi sarebbero rimasti ignoti. Anche perché spesso i traduttori sono anche i promotori di un libro: lo hanno letto, se ne sono innamorati, lo hanno proposto a qualche casa editrice e ne sono poi diventati traduttori. È grazie anche al loro amore per un libro e all'ostinazione con cui, spesso, se ne sono fatti padrini, a dispetto dell'indifferenza o dell'ignavia delle case editrici (soprattutto quando si tratta di testi coraggiosi, importanti), che anche noi veniamo presi da passione e da amore per quel libro. Uno splendido, e a volte assai faticoso, circolo virtuoso.

Il traduttore è chiamato dunque a svolgere un compito paradossale: in parte ricrea il testo, perché comunque lo fa rinascere in un idioma diverso da quello in cui è stato pensato e generato e per farlo attinge alla propria esperienza, non solo linguistica, ma anche personale, di vita; in parte, invece, si nasconde, si rende invisibile, si concentra tutto nell'ascolto della voce del 'suo' autore: cerca di ricrearla, di riprodurne la cadenza, il timbro, le particolarità, come un imitatore che di un personaggio studi la postura, il modo di camminare, i tic, gli intercalari, le espressioni tipiche.

Si tratta di un'operazione complessa, che richiede sensibilità, umiltà, disponibilità e una certa assenza di protagonismo. Un'operazione che può insegnare una nuova forma di rispetto e di attenzione: per un testo, in primis, ma anche e soprattutto per l'essere umano che a quel testo ha dato vita.
La traduzione è per me, oltre che un lavoro disperante e bellissimo che assai di rado e in modo del tutto discontinuo mi dà qualche soldo, soprattutto una disciplina quasi spirituale. Come dice Emanuela Bonacorsi (uno dei traduttori-autori di Il mestiere di riflettere): (...) basta una svista, un errore oppure un abbaglio, una stanchezza, un narcisismo per piegarsi a inseguire un vagheggiamento che non appartiene al testo, ed ecco perpetrato il tradimento.

Il mestiere di riflettere è una raccolta di brevi testi, a metà tra il saggio e il mémoir, scritti da alcuni noti traduttori italiani. Ognuno ha il suo stile, il suo taglio particolare: ironico, intimista, autobiografico, tecnico, meditabondo, astratto. Tutti hanno in comune questo tormentato interrogarsi su quel confine scivoloso e ambiguo che esiste, appunto, tra traduzione come operazione 'neutra' e traduzione come operazione, invece, 'creativa'. Tutti oscillano tra il desiderio di rivendicare il proprio personale, artistico contributo e il bisogno di riconoscersi strumento flessibile, il più possibile trasparente e non invasivo, della voce altrui.

Non tutti questi testi sono a mio parere interessanti; alcuni li ho anzi trovati privi, per me, di stimoli e spunti di riflessione. Ho amato invece, moltissimo, quello di Giuseppe Iacobaci, così personale e 'scoperto' e disarmato nel confessare senza mezzi termini la straniante miscela di insicurezza, paura, euforia, eccitazione e angoscia che ogni nuovo testo (soprattutto se molto amato) porta con sé.

A chi fosse interessato, per questioni professionali o di puro masochismo intellettuale, a leggere qualche altra riflessione 'dall'interno' sul mestiere della traduzione, sentirei invece di consigliare l'ottimo Gli autori invisibili di Ilide Carmignani, una raccolta di interviste a famosi e autorevoli traduttori italiani (ma anche a chi di traduzione si è occupato 'tangenzialmente' ma con maestria, come Claudio Magris o Cesare Cases).

Difficile dire, tra le molte interviste, quale io prediliga, ma quella a Delfina Vezzoli (traduttrice, tra le altre cose, dei romanzi di David Leavitt, di Underworld di Don De Lillo, de Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsig, tanto per citare alcune delle sue fatiche) è senz'altro tra le mie preferite.

Ai giovani che abbiano la pazza idea di diventare traduttori, la Vezzoli consiglia di farsela passare, prima di tutto.
Qualora però la passione, il sacro fuoco e la volontà masochistica di condannarsi ad una vita quasi di stenti siano superiori a qualunque considerazione razionale e pratica, bisognerebbe almeno che non si leggessero nel dettaglio i codicilli del contratto di traduzione perché "È un contratto di lavoro a cottimo, preindustriale: non fateci caso, altrimenti la tentazione di maciullare il testo invece di tradurlo potrebbe essere travolgente. La gente dell'editoria per fortuna è molto migliore dei contratti che stila".

Verissimo.
Secondo me è anche per questo che esistono ancora molti eremiti nevrotici sfruttati ai limiti dell'indecenza che amano appassionatamente questo mestieraccio infame e meraviglioso.


Autori Vari, Il mestiere di riflettere. Storie di traduttori e traduzioni, Azimut 2008.

Ilide Carmignani, Gli autori invisibili. Incontri sulla traduzione letteraria, Besa 2008.

15 commenti:

  1. Già il titolo mi affascina, lo trovo un buono spunto per riflettere.
    Ho letto con piacere l'intero post, commuovendomi per l'amore che traspare :)
    Grazie cara Duck.
    Buona giornata,

    wenny

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  2. Nei cortei del '68 si gridava, oltre a molte morettiane "cose giustissime", anche la frase: "A salario di merda, lavoro di merda". Purtroppo molti traduttori l'hanno presa alla lettera, confermando la mia opinione che di quel periodo è sopravvissuto soprattutto il peggio. Basta leggere un Oscar Mondadori per rendersene conto, ma è un problema che affligge anche la cinematografia di qualità.
    Siano dunque benedetti i nevrotici masochisti che hanno sfidato la frustrazione professionale animati da chissà quale misteriosa passione. Quelli come Brunella Gasperini, che si è giocata d'un sol colpo salute e affetto coniugale, sacrificati all'altare del Super-Io, o come la splendida figura della madre che ha disegnato Michele Serra nel "Ragazzo Mucca".
    "To work for peanuts", dicono gli inglesi. Salvo che chi lavora anche peggio delle scimmie, spesso sapendo stentatamente l'italiano, può arrivare a guadagnare anche 10.000 Euro al mese. Chi non ci crede faccia una bella ricerca sul personale delle ambasciate.

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  3. Che bello scoprire un pezzetto in più di te!!
    E' un piacere leggerti Duck, tutto scorre in modo così naturale ed i tuoi discorsi, cristallini, non inciampano mai!!
    Traduci dall'inglese?

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  4. @ Wenny: grazie soprattutto per aver letto tutto il post. Mi rendo conto che è di una lunghezza esagerata, ma l'argomento mi sta talmente a cuore che non sono riuscita a contenermi!

    @ Spione: non c'è bisogno che ti dica niente. Io e te sappiamo fin troppo bene di cosa stai parlando :-)

    @ Federica: cara, grazie. Per i complimenti e soprattutto perché ti fa piacere conoscermi. Come dicono gli inglesi: Likewise, vale a dire: 'Anche a me' (sottinteso: fa piacere conoscerti e scoprire pezzetti di Federica).
    Traduco soprattutto dall'inglese, ma volendo anche dal francese. Un abbraccio

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  5. Bella, devo avertelo già scritto in privato, ma questa è occasione giusta per fare outing: da persona-gravemente-in-difficoltà-con-lingua-originale, non finirò mai di essere sufficientemente grato ai traduttori di qualità. Penserò a questo post tutte le volte che mi divertirò-commuoverò-perderò in un buon romanzo. Davvero.

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  6. bello sentirti parlare cosi, brava, cosa si puo fare senza un po di amore-odio ? è proprio cosi la passione !
    cosa vuol dire il spione sul personale delle ambasciate ? ...

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  7. @ Alfonso: grazie per essere passato. Ecco perché è importante che ci siano buoni traduttori e che essi siano incentivati a fare bene questo mestiere: perché sono relativamente poche le persone che leggono in una lingua che non sia la loro. Sarebbe un abominio perdersi per la strada, per via di una cattiva traduzione, un lettore formidabile e sensibile come te!

    @ Vera: la Spia vuol dire che il personale delle ambasciate italiane nel mondo è spesso composto di ultracinquantenni che 9 volte su 10 non hanno una laurea, pur lavorando in paesi stranieri non parlano una parola di inglese o di francese (e molte volte lavorano nella sezione consolare, dunque a contatto col pubblico), smanettano appena su un computer, non brillano per efficienza e intascano stipendi che un giovane laureato, con ottime conoscenze informatiche, che parla bene almeno due lingue straniere e sarebbe ben felice di fare quel lavoro - o qualunque altro - non vede in un anno di impieghi precari e in nero. Una realtà che la Spia conosce molto bene (nella sua 'vita precedente' è stato un diplomatico) e che sta descrivendo in un libro. La cosa difficile, se verrà pubblicato, sarà convincere la gente che le cose raccontate sono tutte rigorosamente vere!

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  8. ciao Duck, sono arrivata qui per le vie misteriose dei blog e alla fine ho passato quattro ore a leggere tutto il tuo blog, credo fino al primo post, sazia anche di 'cibo virtuale' oltre che di stimoli intellettuali. Piu' che altro quello che mi ha tenuta li' a leggerti, oltre a una comunanza di affinita' (sensazioni di straniamento da un mondo alieno nell'infanzia, ho fatto Lingue all'Universita' - mille anni fa - sto traducendo un libro per lavoro, scrivo... e amo amo amo i libri da sempre in mezzo alle varie vite che ho vissuto, per citarne alcune), e' stato il ritrovare cose che in genere e' difficile condividere. Come spiegare a chi ci racconta di mille apparentemente mirabolanti cose e avventure fatte nel weekend il piacere di un pomeriggio con gatti intorno e un libro dentro cui viaggiare? Che bene fa leggere di una persona che lo fa...ci si sente meno soli !! Jokes apart, avrei sparso svariati commenti in giro ma ne lascio uno cumulativo qui - complimenti per come scrivi e grazie: lo dico spesso, ma credo sempre che scrivere, contrariamente a come spesso viene visto, sia un grande atto di generosita'. a presto donatella

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  9. Ciao Donatella, e benvenuta.
    Mi fa un piacere immenso che tu abbia trovato qui cose che trovi difficile condividere, perché quella che racconto in questo blog è davvero la mia vita, né più né meno: sapere che altri condividono le mie passioni, il mio modo di stare al mondo mi fa sentire, come dici giustamente tu, meno sola.
    E grazie infinite per aver voluto trascorrere così tanto tempo tra queste pagine. Lo apprezzo moltissimo.
    A presto!

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  10. oh la la ! in confidenza ... te lo dico che ho qualcuno a casa diplomatico ? ;-)

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  11. Ciao Vera!
    Mi interessa molto la tua opinione sull'argomento, visto che vivi in quel mondo dove ho vissuto anche io. Se vuoi puoi scrivermi qui: pisi72@hotmail.com
    Buon sabato!

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  12. Io sono fiduciosa in un cambiamento nel mondo della traduzione professionale. Per fortuna sta lentamente cambiando il vecchio adagio del "basta sapere una lingua e saprai tradurre", per fortuna è sempre più difficile improvvisarsi traduttori.
    I corsi universitari specializzati e validi sono ancora pochi, ma ci sono e sono di alto livello. Confido che piano piano si sgombri il campo di dilettanti diventati miracolosamente professionisti, e che i compensi si adeguino a questo. Questo è già sostanzialmente vero nel mondo della traduzione tecnico-scientifica, io che sono un'ottimista convinta spero che piano piano ci si arrivi anche nella narrativa e nella saggistica "meno specializzata".
    Detto questo, io sarei una traduttrice "certificatissima", anche se poi ho scelto di non tradurre a tempo pieno, un po' per esigenze economiche, ma soprattutto per preservare la mia già scarsa salute mentale, come ben sai :-).
    Un bacio!

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  13. Ciao Lelia, che piacere trovare il tuo commento. Un commento da esperta e da traduttrice 'certificatissima', come giustamente dici.
    Voglio condividere il tuo ottimismo circa la possibilità che si possa sgombrare il campo di quei dilettanti allo sbaraglio (o criminali, se si guarda alla questione da altri punti di vista) che rendono un così povero servizio alla categoria alla quale pur appartengono, ma soprattutto agli autori e ai libri, che meriterebbero davvero maggiore rispetto e professionalità.
    Un bacio anche a te!

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  14. Articolo che reputo straordinario. C'è un pezzo che specialmente mi emoziona: si tratta di un'operazione complessa, che richiede sensibilità, umiltà, disponibilità e una certa assenza di protagonismo. Basta una distrazione per tradire.... è vero ma è comunque umano!

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  15. @ Elisabetta: ciao, benvenuta e grazie per il tuo commento. Sì, è decisamente umano tradire il testo, anche non volendolo, anche non essendone del tutto consapevoli. Forse è proprio questo a rendere la traduzione un'operazione profondamente coinvolgente e, nel migliore dei casi, un atto d'umiltà e d'amore nei confronti delle parole altrui. Bisogna saper ascoltare, ascoltare davvero. Cosa sempre molto difficile! A presto.

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