martedì 23 giugno 2009

Una donna diversa di Anne Tyler

Mi trovo in grande difficoltà nello scrivere qualcosa su questo libro.
E' strano, perché ci sono tutti gli ingredienti tipici della Tyler che mi sono sempre piaciuti e che ho sempre considerato essere i suoi punti di forza e i motivi del fascino che la sua scrittura e il suo mondo esercitano sempre su di me.
C'è la storia di una grande famiglia di 'bizzarri', con i suoi tipi 'alla Tyler', un po' spostati, un po' folli, tutto sommati innocui, ma chiusi nella loro bolla, fondamentalmente dei disadattati alla vita, apparentemente incapaci di lasciarsi andare a qualunque emozione autentica e forte e ad uscire dal loro piccolo mondo autoreferenziale per entrare nella realtà degli altri (e chi lo fa davvero, o almeno tenta di farlo, è destinato a morire, o a vivere solo, a vivere una vita di stenti, a conoscere lo squallore, la miseria, o almeno l'incomprensione degli altri membri della famiglia, la distanza da loro, un garbato, sommesso, ma fermissimo ostracismo che tutto il clan, stringendo un patto silenzioso, decide di imporre a colui o colei che ha 'sfidato' la famiglia pretendendo di vivere a modo suo).
C'è una bella casa di famiglia, vecchia e un po' sgarrupata , dove si consumano quelle cene e quei pranzi complicati durante i quali, tra un discorso sul tempo e le solite banalità sui vicini, si comunicano notizie sgradevoli, si prendono decisioni impopolari, si creano conflitti, rotture, riappacificazioni...
C'è anche la storia d'amore lunga una vita, tra un uomo inquieto e gentile, brutale e distante, affettuoso e disarmante e la donna che lo ama anche se gli vorrebbe spaccare la faccia, che lo ama suo malgrado, con ostinazione, con la stessa, invariata intensità da quando ha 16 anni a quando ne ha 65 e oltre, nonostante lui la allontani dall'amatissima famiglia, la trascini per mezza America facendole fare una vita precaria in case squallide e transitorie, le impedisca di mettere radici e di sentire veramente suoi un luogo, una comunità, un gruppo di amici.
C'è la consueta attenzione discreta ma intensa per i sentimenti, la capacità dell'autrice di delineare, con poche parole, scenari sentimentali nei quali ognuno può riconoscersi.
Insomma, c'è tutto quello che dovrebbe esserci per piacermi.
Invece sono arrivata alla fine di questo romanzo con fatica, spesso reprimendo a stento sbadigli annoiati, con la sensazione sgradevole di non essere riuscita ad 'entrare' nella storia, senza sentire nessun trasporto emotivo per nessuno dei personaggi, nemmeno per Justine, la donna del titolo, che pure è tratteggiata con finezza ed è il genere di personaggio che trovo umanamente interessante.
Forse il problema di questo romanzo è che è troppo 'alla Tyler'. Sembra proprio che l'autrice, prima di scriverlo, si sia presa dieci minuti e si sia chiesta: "Vediamo un po', quali sono le caratteristiche principali che fanno dei miei romanzi i miei romanzi?" e, individuatole, le abbia tutte, ma proprio tutte, coscienziosamente riproposte in questo.
C'è una generale sensazione di inautenticità, ecco, di artificiosità, di creazione fatta col famoso bilancino: un po' di questo, un po' di quello, che non manchi niente alla ricetta.
E' questa ruffianeria (ma elegante, nient'affatto sfacciata, anch'essa 'alla Tyler') che mi ha impedito di godermi il romanzo e mi ha lasciato, alla fine, con la sensazione spiacevole di aver perso tempo: qualcosa che non bisognerebbe mai ritrovarsi a provare, quando si parla di libri.

Anne Tyler, Una donna diversa, Ugo Guanda Editore, Parma 2006. Traduzione di Laura Pignatti

Nessun commento:

Posta un commento