venerdì 18 dicembre 2009

Everyman di Philip Roth

Al centro di questa meditazione sulla vecchiaia e sulla morte, è l'ennesima incarnazione dell'autore, un pubblicitario di successo pluridivorziato e con tre figli, due nati dal primo matrimonio - che non lo hanno mai perdonato per averli abbandonati insieme alla loro madre - una che lo adora, Nancy, avuta con la seconda moglie, la tenera Phoebe. La storia che leggiamo è quella delle vicissitudini mediche del protagonista, la cui vecchiaia viene funestata da una lunga serie di disturbi e operazioni chirurgiche e dalla malattia e dalla morte delle persone che lo circondano.

Altro personaggio chiave è il fratello maggiore del protagonista, Howie, il suo doppio perfetto: atletico, sanissimo, uomo di successo che ha saputo costruirsi una fortuna in modo onesto, senza sacrificare all'impresa l'amore fedele per la moglie e il rapporto intimo e felice con i figli e con il fratello amatissimo.

L'Everyman del titolo fa riferimento a una rappresentazione allegorica quattrocentesca, un classico della prima drammaturgia inglese, che ha per tema la chiamata di tutti i viventi alla morte, recita il risvolto di copertina.

Così come davanti alla morte non esistono i singoli individui, nella loro straziante e forse inutile unicità, ma solo l'umanità tutta, la vita tutta, destinata a passare sotto la sua falce, il protagonista di questo romanzo non ha nome, è una maschera, è l'uomo comune, dotato della sua dose di pregi e difetti, debole di fronte alle tentazioni, incline alla menzogna e al sotterfugio, spesso inconsapevole, per egoismo, per cecità, di far soffrire chi lo ama, non immune da un sentimento meschino come l'invidia (nei confronti di Howie, che lo adora), ma anche capace di provare genuina compassione nei confronti dei suoi simili, di albergare sentimenti di protezione e tenera sollecitudine verso la figlia tanto amata, di trovare una momentanea sospensione estatica, all'indomani della pensione, nella grande passione della sua vita, la pittura, che però, dopo una breve parentesi idilliaca, lo abbandona, appannata anch'essa dall'incombere della malattia e dalla morte e, prima ancora, dalla desolante solitudine che accompagna il declino del protagonista.

Bellissimo, a mio avviso, l'incontro con il vecchio becchino che al protagonista spiega in modo dettagliato la complessa operazione che è poi una sepoltura: nella precisione, nell'attenzione dedicate a un compito tanto ingrato, che quest'uomo svolge (e non è un caso) insieme al figlio (e forte in questo romanzo è l'idea che si continua a vivere attraverso la propria progenie), si respira il civile e sublime rispetto per i propri simili, il desiderio di conceder loro, anche quando ormai sono scivolati nell'oblio e forse non ascoltano e non vedono ciò che si fa per loro e in loro nome, gesti dettati da un'autentica e commovente pietas.



Philip Roth, Everyman, Einaudi 2007, traduzione di Vincenzo Mantovani.

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