giovedì 4 febbraio 2010

Come mi batte forte il tuo cuore di Benedetta Tobagi

Benedetta Tobagi ha 33 anni, l'età che aveva il padre, Walter, quando fu assassinato a Milano nel 1980 da un gruppuscolo di terroristi rossi. Lei allora, di anni ne aveva 3.
Essendo stato Tobagi freddato sotto casa, colpito alle spalle, la sua bambina fece in tempo a scendere con la madre e a vederne il corpo senza vita, riverso tra il marciapiede e la strada, immerso in una pozzanghera, la nuca sporca di sangue, prima che un cameriere di una trattoria lì vicino lo coprisse pietosamente con una tovaglia bianca.

Per anni la bambina Benedetta penserà di essere stata la crudele responsabile di quella morte, perché pur avendo disperatamente chiesto a tutti i presenti di chiamare un dottore, fu ignorata da tutti, che in parte erano sotto choc e in parte pensavano che, ignorandola, avrebbero potuto distrarla da quel fatto traumatico e crudele.

È difficile scrivere qualcosa su un libro come questo senza scadere immediatamente nel mélo, nel retorico e nel sentimentale. Ancora più difficile sarà stato scriverlo, facendone al tempo stesso una ricognizione puntuale e informata del variegato - per non dire caotico - mondo del terrorismo italiano, una biografia professionale e privata del giornalista Tobagi e uno struggente atto d'amore di una figlia per un padre perso troppo presto, nei confronti del quale, come è scritto nel bellissimo epilogo, Benedetta sente di avere un doppio debito di riconoscenza: perché questo padre l'ha generata e le ha dato poi la forza di nascere una seconda volta, quando il suo esempio e la sua lezione l'hanno spinta, pur in preda al disagio e alla disperazione a cospetto di un vuoto troppo grande, a voler capire, a voler conoscere, a cercare di dare un significato, o quanto meno una ragione, a una perdita tanto crudele. A scegliere, insomma, la vita.

La sofferenza, lo straniamento, il vuoto atroce che una morte così tragica e insensata ha provocato sono raccontati con sincerità e pudore, con accenti accorati ma sobri, in un gioco sapiente e fragilissimo di equilibrismo tra sentimenti e indignazione, pietà e struggimento, analisi storica e ricerca del padre, nel tentativo di restituire alla vita quell'uomo che, circondato dalla retorica e dall'epica dell'eroismo, per troppi anni è apparso alla figlia come Ettore appare al piccolo Astianatte prima di andare in battaglia, nascosto sotto l'elmo che ne fa un essere estraneo e spaventoso e fa scoppiare in lacrime il bambino che non lo riconosce. Spogliando il padre dell'aura perfetta del martire, Benedetta ha finalmente ritrovato l'uomo che visse per il suo lavoro e per la sua famiglia e temeva di morire prima di esser stato capace di "scrivere una riflessione che spiegasse agli altri, penso a Luca e a Benedetta, il senso di questa mia vita così affannosa".

Quella riflessione Tobagi non fece in tempo a scriverla, ma le parole che avrebbe probabilmente scelto per essa sono tutte lì, nei suoi articoli lucidi e coraggiosi, nei suoi quaderni privati dove annotava tutto (conversazioni, appunti, meditazioni, spunti) e soprattutto nel modo in cui ha saputo vivere la sua vita, i suoi rapporti di amicizia e d'amore, e trasmettere ai figli un'eredità fatta di fiducia nella capacità degli uomini di "cercare soluzioni realistiche e rispettose, per ricavare il meglio dalla realtà, per trasformare e costruire piuttosto che distruggere".

Bellissima quella pagina in cui Benedetta racconta del ritrovamento di un vecchio nastro, registrato in casa in occasione del penultimo compleanno del padre, in cui lo si sente invitare amorevolmente la piccola 'Bebina', intimidita e messa in ombra dal più esuberante e ciarliero fratello maggiore, a dire qualcosa nel registratore.

"Mio padre tiene a bada Luca e ripetutamente, con pazienza e immensa tenerezza, mi invita a parlare, finché non mi faccio coraggio e affronto il microfono. (...) Ogni tanto penso a quella voce dolce e mi ci avvolgo dentro. Non riesco ad ascoltarla spesso, è un'emozione troppo forte, uguale ogni volta. Un minuscolo caleidoscopio di relazioni. Un minuto e cinquantaquattro secondi che mi hanno fatto capire tante cose.
Lo immagino così, un buon padre: una persona che ti sostiene, ti protegge e ti sollecita, amorevole, affinché trovi il coraggio di tirare fuori la tua voce."

Se questo è un buon padre (ed io tendo a pensare che lo sia), in un modo misterioso e sublime Walter Tobagi lo è stato.

Benedetta Tobagi, Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre, Einaudi 2009.

6 commenti:

  1. sembra sconvolgente q.b.
    mi piace la copertina

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  2. Sì, Vera, è abbastanza sconvolgente, anche per chi di quegli anni è figlia - come me - e dunque non li ha vissuti del tutto. Soprattutto è sconvolgente perché è un libro molto sincero, sobrio ma sincero e a questa marea di sentimenti veri e profondi, a questa condivisione del dolore al tempo stesso generosa e nient'affatto sentimentale, non siamo (forse), ahimé, più abituati.
    Grazie per essere passata!

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  3. Mi ero preparata a tutt'altro leggendo il titolo del tuo post nella blogroll.
    Dev'essere denso e impegnativo come libro, da un punto di metabolizzazione del vissuto che è raccontato, intendo. Oltre alla storia personale mi attrae moltissimo la rievocazione storica di quegli anni, anni che, non avendoli vissuti, ho conosciuto tramite una girandola di voci molto spesso troppo confusa, contraddittoria se non assai poco veritiera.
    Grazie Alessia.
    Buon fine settimana,

    wenny

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  4. Sì, cara Wenny, è un libro denso e impegnativo e scritto con grande passione e pudore. Io ho pianto su molte pagine (ma non faccio testo, perché ho un po' la lacrima facile).
    Non posso che consigliartelo.
    Un abbraccio

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  5. Bravissima, Duck. Uno dei tuoi migliori post di sempre.
    Io avevo poco più di 12 anni, quel giorno, e mi trovavo a pochi chilometri in linea d'aria da quel marciapiede. Ma tutto questo tempo che è passato non mi ha saputo dare un briciolo di elemento in più per capire, per trovare un motivo a quella e alle altre morti che le assomigliano in un modo tragicamente per noi misterioso.
    Alle vittime di quell'impazzimento collettivo possiamo regalare una cosa sola: la nostra memoria. In un'epoca - e in un paese - dalla memoria corta, anzi cortissima, quello che possiamo fare è non dimenticare.

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  6. Cara Duck,
    vado un attimo fuori tema: in questi giorni, non so se ti è capitato di inciamparci, tra i blog gira un simpatico meme... io sarei mooolto felice nel caso tu decidessi di farlo :)
    Buona serata,

    wenny

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