giovedì 27 agosto 2009

Del potere salvifico dei libri, del ricominciare una nuova vita e di una torta al limone


C'è una bella frase che Simone de Beauvoir fa pronunciare alla sofisticata protagonista di un suo racconto: "I libri mi hanno salvato dalla disperazione".

Per anni ho pensato che queste parole potessero davvero riassumere, in modo se vogliamo un po' enfatico e spudorato, ma autentico e conciso, il ruolo, l'importanza, la necessità della presenza dei libri nella mia vita.

Continuo a pensarlo, benché, a dire il vero, la mia esistenza negli ultimi tempi sia meno complicata che in passato (e sia reso grazie agli dei per questo, o a chi per loro).
Adesso, la citazione della de Beauvoir potrebbe suonare, per essere ancora un mio motto, "I libri mi hanno anche salvato dalla disperazione".
Cioè, tra le altre cose, oltre all'avermi deliziata, fatta pensare e riflettere e maturare e cambiare, fatta divertire e sconcertata, intrattenuta e ipnotizzata, fatta indignare e commuovere, ridere fino a cader dal divano e spaventare i gatti..., tra le altre cose, dunque, mi hanno anche salvata dalla disperazione.

Forse l'ultimo libro che ho investito di cotanta funzione salvifica è stato How to be a Domestic Goddess della mia cara Nigella Lawson.

Gli sono particolarmente affezionata, perché è entrato nella mia vita in un momento difficile e di transizione, in cui, per l'ennesima volta, dopo quattro anni vissuti all'estero, mi ero ritrovata a traslocare in un altro paese straniero, ancora più lontano dall'Italia, con la prospettiva di dover ricominciare tutto daccapo: ambientarmi, trovare una casa, farmi delle amicizie e ricostruirmi un panorama quotidiano riconoscibile, familiare, a mia misura.
Insomma, vivere.

I primi mesi furono molto difficili; li trascorsi, praticamente sola, in un orrido complesso residenziale composto da quelle che l'agente immobiliare aveva definito 'villette di charme' e che, nella realtà, erano orrendi bunker cubici di cemento armato e dai colori deprimenti (la nostra era di uno squallidissimo bordeaux virante al viola, quello che a Milano si direbbe trasü de ciucc), in mezzo ad aiuolette spelacchiate e inaridite.

Gli interni erano, se possibili, ancora più avvilenti: moquette di un'imprecisata sfumatura di verde ovunque (e dove non c'era, linoleum a enormi scacchi bianchi e neri), tende e copriletti in una pesante stoffa sintetica color salmone, quadri alle pareti a soggetto sahariano.
Ricordo che faceva molto freddo e che passavo intere mattinate senza scambiare parola con essere umano, seduta rigida e impettita sull'orrido divano in finto rasatello color crema, attendendo l'arrivo della Spia come immagino un cane debba attendere quello del padrone: con impazienza, disperazione e una grandissima ansia.

Una sera, la Spia mi portò a cena nel ristorante di un grande albergo, dove doveva incontrarsi con una signora italiana che lavorava per la Banca Mondiale ed era di passaggio in quella città.
La signora era deliziosa, aveva una conversazione brillante e modi affabili e familiari. Cominciammo a parlare di cucina, essendo entrambe cuoche alle prime armi, inesperte, ma assai volenterose di migliorare. Mi disse che aveva ricevuto in regalo un libro fantastico, che era appunto How to be a domestic goddess, che le piaceva molto, anche se le torte proposte, mediamente, erano per lei micidiali per quantità di burro, zucchero e ogni genere di grasso conosciuto in natura (e non). Aggiunse però che, in occasione di una festa di bambini, si era cimentata nella creazione della torta che, in tutto il libro, le era sembrata la più 'innocua' (si espresse proprio così), il banana bread, e che era rimasta piacevolmente stupita dal fatto che era stata spazzolata in un batter d'occhio.

La serata fu piacevole; per me, anche più che piacevole.
Fu una boccata di ossigeno dopo due mesi di cupa solitudine e smarrimento, cui la Spia - che aveva di fronte il mio compito, quello cioè di ambientarsi in un luogo nuovo, esattamente come me, più quello, che a me era risparmiato, di abituarsi anche ad un capo nuovo, un ufficio nuovo, colleghi nuovi - non poteva umanamente offrire rimedio.

La mattina dopo mi feci accompagnare da un taxi sgangherato e che produceva cigolii sinistri e assai poco rassicuranti nel centro commerciale dove mi avevano detto esserci una libreria abbastanza fornita. Chiesi del libro, ne trovai altri, sempre della Lawson. Li comprai tutti, spendendo una cifra vergognosa, probabilmente tre/quattro volte lo stipendio mensile del gentilissimo commesso che mi servì (e la cosa mi fece star male, mesi dopo, quando cominciai ad aprire gli occhi sulla realtà che circondava la mia personale disperazione e dunque, in parte, a guarirne). Tornai nel bunker di cemento armato e cominciai a leggere.

Iniziai da How to be a Domestic Goddess, perché era quello di cui la gentile ospite di quella sera mi aveva parlato e perché sentivo che leggere di torte e dolci e pizze rustiche mi avrebbe messo di buonumore.

Non mi sbagliavo. Lessi per ore, deliziandomi della prosa arguta, brillante, barocca e pomposa della Lawson, divorandomi le fotografie e pregustando l'arrivo del container in cui erano tutti i miei attrezzi di cucina (e che in quel momento, a quanto ne sapevo, era al largo della Somalia; e il solo pensiero mi riempiva di incontenibile angoscia).

La prima torta che feci, qualche mese dopo, rientrata in possesso di tutte le mie cose e in una casa nuova che amavo molto con una bellissima cucina, fu il banana bread. Un po' per omaggiare la signora di quella sera, un po' perché la stessa Nigella lo consiglia come punto di partenza per chi sia alle prime armi.

Lo portai a un sofisticatissimo pranzo organizzato dalla Diplomatic Spouses Association, cui mio malgrado dovetti andare, e vidi con una certa soddisfazione che le signore eleganti e ingioiellate, che insieme a me sciamavano come api sotto il portico della residenza dell'ambasciatore tedesco, lo gradivano molto. Ne rimase una fetta (quel che la mia amata suocera chiamerebbe, con un'espressione che temo non sarebbe stata molto apprezzata in quel contesto, il caghino), che portai a casa, alla Spia.

La seconda torta che feci è quella che ho fatto anche oggi pomeriggio: il lemon-syrup loaf cake, vale a dire, una torta inzuppata di sciroppo di limone. Un classico. La Spia ne va matta. Io anche.

Ecco la ricetta, immutata:

125 gr. burro
175 gr. zucchero
2 uova grandi
scorza grattugiata di un limone
175 gr. di farina autolievitante
pizzico di sale
4 cucchiai di latte

per lo sciroppo:

il succo di 1 limone e 1/2 (circa 4 cucchiai, vale a dire 60 ml.)
100 gr. di zucchero a velo

Preriscaldate il forno a 180 °.

Imburrate e infarinate uno stampo da plum cake 23x13.

Lavorate il burro con lo zucchero, aggiungete le uova (una alla volta), la scorza del limone, quindi il sale e la farina, amalgamandola bene. Infine, unite il latte.

Versate il composto nella teglia e infilate quest'ultima in forno, dove la lascerete per circa 45'.

Mentre la torta cuoce, mettete a fuoco basso in un pentolino il succo di limone e lo zucchero, aspettate che questo si sciolga, mescolando piano.

Appena la torta sarà cotta, tiratela fuori e con uno stecchino lungo (da spiedino), o con un ferro da calza (magari dopo averlo lavato e asciugato), bucherellatene l'intera superficie. Versate dunque lo sciroppo e aspettate che la torta sia del tutto fredda, prima di rimuoverla dalla teglia. Altrimenti vi accadrà quello che sempre accade a me: che si sbriciolerà tutta, perché è zuppa di dolce sciroppo al limone.

Ho fatto questa torta infinite volte, ogni volta mandando un silenzioso ringraziamento a quella signora che non ho più rivisto e che fu l'involontaria tramite di una bella scoperta e della conferma, per me, di una grande verità: che i libri, davvero, possono salvare dalla disperazione.
E quelli di cucina, a volte, anche di più.

Enjoy!

3 commenti:

  1. da ragazzo anche per me (come per tantissimi) hanno rappresentato un'acora di salvataggio quando sapevo di stare andando a fondo.. di fatto poi a fondo penso di esserci stato ma, quantomeno, nel frattempo, mi ero letto anna karenina, tutta jane austen, vanity fair ecc ecc ecc...come dire, ero diventato un relitto, ma fornito di buone basi. se mai avessi incontrato un altro relitto umano, avremmo potuto parlare di pesce e letteratura, I suppose.
    bella la cucina con la finestra sul giardino, uno dei miei sogni. io avevo una porta finestra, da cui poi una volta entrarono ladri ma che nonostante cio' guardavo con piacere perche' era la porta verso una giungla/giardino che nel bel mezzo di Londra faceva molto salgari.
    ... e ora al pezzo de resistenza. la torta al limone e' un classicone della cucina inglese. di fatto una 4 quarti bagnata poi con lo sciroppo di limone (a cui io aggiungo anche del gin spesso e un paio di chiodi di garofano - da un suggerimento di ricettario vittoriano). ms lawson porcheggia come solito vedo, secondo me si puo' diminuire la quantita' di zucchero e di farina... strano che nigellona nn abbia poi pensato di metterci anche (why not, direbbe maliziosamente guardando in camera, ciucciandosi ditozzzo grassoccio ma very posh) un bel mezzo kilo de cioccolato bianco... :) esagero, pora cocca nigellina/in saatchi... ma, lo sai, mi sta simpatica sotto sotto e ne sono fondamentalmente invidioso... quei fianchi e quei tubini neri che si mette... strafichi! :)) cius. s

    RispondiElimina
  2. Che post toccante, e che immagine terribile quella di te, spiazzata, silenziosa e sola in un posto orribile dai colori e dagli arredi raccapriccianti...
    Meno male che nella vita arrivano -all'improvviso- persone come la tua commensale di quella sera, capaci di dire una cosa innocua che si rivelerà, poi, salvifica.
    Preparerò questo dolce -che sembra essere fantastico- in onore della tua "riscossa africana", ma sono già anche tanto attratta dalla crema di ricotta dell'Arturi: le delizie semplici ma assolute mi incantano, e poi qui la ricotta è così buona... sentirai!
    Un bacio.
    Paola

    RispondiElimina
  3. Paola cara,
    ogni volta che passi di qui è una festa!
    Non posso che consigliarti caldamente e questa torta e la crema dell'Arturi, desserts che più diversi non si può, ma accomunati da quella che ben definisci una 'delizia semplice ma assoluta'.
    Baci

    RispondiElimina