martedì 20 gennaio 2009

Home Cooking e More Home Cooking. Piccolo tributo a Laurie Colwin


Domenica è stata una giornata invernale piovosa e mesta, ma non per me! Nel pomeriggio, un gatto sulle ginocchia, un altro seduto sulla scrivania accanto a me, ed un terzo mollemente sdraiato su una poltrona alla giusta distanza per non sentirsi solo e abbandonato ma neanche obbligato a farmi compagnia, ho sfogliato, per l'ennesima volta, due tra i miei libri più amati, Home Cooking. A Writer in the Kitchen e More Home Cooking. A Writer Returns to the Kitchen, entrambi di Laurie Colwin.

In Italia, questa scrittrice newyorkese, nata nel 1944 e morta a soli quarantotto anni nel 1992, è una perfetta sconosciuta. E' un altro di quei casi
di miopia, per me piuttosto incomprensibili, dell'editoria italiana. Se fossi una di quelle pochissime traduttrici al mondo talmente affermate da potersi permettere di proporre testi alle case editrici, non esiterei a tradurre questi due gioielli.
Che io sappia, l'unica cosa ad essere stata pubblicata di lei è apparsa in Al banchetto del mondo, un'antologia pubblicata da Ponte alle Grazie nel 2005 che raccoglie articoli scritti da vari autori per la rivista gastronomica più famosa d'America, 'Gourmet', per anni diretta dalla leggendaria Ruth Reichl (qui trovate una scheda del volume). L'articolo in questione si intitola 'Suggerimenti di cucina veloce per cuochi col tempo contato' ed è un buon esempio dello stile e della voce di questa scrittrice.

Laurie Colwin ha scritto romanzi e racconti brevi, accolti a loro tempo da grande favore sia di critica sia di pubblico
(se siete curiosi e leggete in inglese, andate a farvi un giro qui e qui per notizie biobibliografiche su di lei); ma adesso è senz'altro più conosciuta come l'autrice dei due libri di cui parlavo all'inizio del post.Si tratta di due raccolte di brevi saggi dedicati al mondo della cucina, grande passione della Colwin, dopo la scrittura. Si parla di home cooking, cioè di cucina casalinga, delle piccole e grandi avventure (spesso tragicomiche), delle scoperte, a volte esaltanti altre inquietanti, che quotidianamente si fanno tra i fornelli. Ma soprattutto, questi saggi parlano del cibo come occasione di condivisione e comunicazione con gli altri, lo celebrano come strumento attraverso il quale manifestare il proprio amore e la propria devozione alle persone cui si vuole bene: la voce della Colwin canta, con semplicità e affetto, con ironia e leggerezza, l'incanto quotidianamente rinnovato di un rito tanto necessario e naturale quanto simbolico e profondo.
Ecco che cosa dice nell'introduzione a Home Cooking:



A meno che non viviate da soli in una caverna o non siate degli eremiti, cucinare e mangiare sono attività sociali: persino i monaci hanno un pasto consumato in comune, una volta al mese. La condivisione del cibo è la base della vita sociale, e per molte persone è l'unico genere di vita sociale cui valga la pena di partecipare.
Non c'è però un grammo di stucchevole sentimentalismo in queste pagine, tranquillizzatevi. Anzi. Si ride molto leggendole, a volte si ride quasi da star male, ma se dovessi riassumere con una parola sola il tono generale di questi due libri, opterei per l'aggettivo 'affettuoso': Laurie Colwin doveva avere un carattere solare, animato da una grande, benevola curiosità per i suoi simili, da un'acutezza e da un'ironia sempre temperate da una reale tolleranza nei confronti delle mancanze altrui e proprie.
Forse ciò che più mi ha conquistato di lei è stata la seguente ammissione, sempre nell'introduzione:
A differenza di alcune persone che amano uscire, io amo stare in casa. Ciò può essere forse causato da pigrizia, ansia o xenofobia, e al tempo in cui i miei amici viaggiavano felicemente in Bolivia e in Nepal, io mi vergognavo di ammettere che ciò che mi piaceva di più era bighellonare dentro casa.
Probabilmente non sono nemmeno granché divertente come viaggiatrice. La mia idea di divertimento all'estero è essere ospite di qualcuno e bighellonare dentro casa sua, ficcando il naso nella sua credenza, se me ne dà il permesso.
Chi mi conosce concorderebbe nell'affermare che una cosa del genere avrei potuto benissimo scriverla io!
Uno dei saggi che trovo in assoluto più divertenti è 'Kitchen Horrors' (da Home Cooking), che racconta di alcune
'leggendarie' catastrofi della Colwin. Sentite questa:

Durante il periodo dei miei disastri culinari, quando oramai cucinavo da un po' e sapevo come muovermi in cucina, decisi di catturare l'uomo che anni dopo avrei sposato preparandogli un dentice al forno, l'unico pesce che gli piacesse. Fuorviata dalla passione, decisi di farlo ripieno di acini d'uva tagliati a fettine, gamberetti e fagioli neri fermentati. Non avevo mai preparato un pesce ripieno prima di allora, né tanto meno l'avevo mai cucinato al forno. Non avevo idea di cosa stessi facendo. In realtà devo essere stata fuori di testa. Non avevo una ricetta da seguire, ma l'amore ha forse bisogno di una ricetta? L'ispirazione richiede istruzioni?
E' difficile descrivere il risultato, che fu ripetutamente messo in forno prima che si seccasse e divenisse immangiabile. Molte volte arrossii come una scolaretta dicendo: "Be', l'interno sembra ancora poco cotto: lo rimetto in forno un minuto." Devo averlo detto una quindicina di volte.
Quando finalmente emerse dal forno, quel pesce assomigliava alla visione dell'inferno di Hieronymus Bosch, con delle schifezze che ne fuoriuscivano in una pozza pallida di succhi da pesce poco cotto.

Ma il capolavoro, secondo me, è 'Repulsive Dinners: A Memoir' (Cene repellenti. Ricordi, sempre da Home Cooking).

C'è qualcosa di trionfale in un pasto veramente disgustoso. Rimane nella memoria circondato da un alone fosco, proprio come qualcosa di esaltante viene ricordato con una sorta di dolce luminosità. Non sto pensando ai disastri che accadono in cucina - una pasta gommosa, dei brownies bruciati, salse raggrumate: queste cose possono accadere a chiunque. Sto pensando a pasti assolutamente disgustosi dalla zuppa alle noccioline, sebbene di solito non si è fortunati abbastanza da rimediare né una zuppa né delle noccioline.
Nei ristoranti il cibo cattivo abbonda, ma in qualche modo un pasto schifoso al ristorante ed uno cucinato in casa non sono la stessa cosa: dopo tutto, il ristorante non vi ha invitati a cena.
Mia madre crede che le persone che non sanno cucinare dovrebbero fare affidamento su filetto e patate lesse al prezzemolo, e che dovrebbero essere in eccellenti rapporti con una costosa pasticceria. Ma se tutti lo facessero, ci sarebbero meno pasti orribili e quella ricca, complicata trama che è l'esperienza umana sarebbe assai più povera per questo.
La mia vita è stata grandemente arricchita da alcuni pasti orrendi; due dei più tremendi hanno avuto luogo a Londra. Io sono una grande sostenitrice del cibo inglese, ma quel che mi fu offerto a quelle due cene non era né inglese, né cibo, per quel che posso dire.
Una volta, il mio vecchio amico Richard Davies mi portò ad una cena in Shepherd's Bush, una zona squallida della città, nell'appartamento di uno dei suoi più vecchi amici.
'Com'è questo tuo amico?', gli chiesi.
'E' un genio', disse Richard. 'Ha grandi capacità di pensiero astratto'. Non lo considerai un buon segno.
'Che bello', dissi. 'Sa cucinare?'
'Non lo so', rispose Richard. 'In tutti questi anni, non ho mai mangiato a casa sua. E' uno scozzese, e sai gli scozzesi sono molto avari'.
Quando gli inglesi dicono 'avaro', intendono 'spilorcio'.
Il padrone di casa ci accolse all'ingresso. Era una persona dall'aspetto cupo e genialoide, e ci condusse in un'ampia stanza disadorna con un tavolo da sei persone. Non c'erano né odori né suoni che facessero pensare che
qualcosa stesse cuocendo. Altri due ospiti erano seduti su delle sedie, e sembravano desiderare che ci fossero degli antipasti. Non ce n'era nessuno.
'Non penso ci sarà abbastanza da mangiare per tutti', disse il padrone di casa, come se fosse colpa nostra il fatto di essere in troppi. Di solito, questo non è il genere di cosa che un ospite ama sentirsi dire, ma alla fine fummo contenti che corrispondesse a verità.
Bevemmo del vino alquanto scadente, e, quando ormai stavamo praticamente mangiandoci a vicenda i gomiti, fummo condotti a tavola. Il padrone di casa posò al centro una casseruola piuttosto piccola. La guardammo speranzosi. Lui sollevò il coperchio. 'Niente sbirciatine' disse.
Di solito, quando si solleva il coperchio di una casseruola che viene dritta dal forno, se ne sprigiona qualche fragrante vapore. Ciò non accadde, sebbene dapprima non pensai che quella casseruola non era appena uscita dal forno, ma era stata a lungo fuori, a intiepidirsi e forse ad allevare salmonella.
Ecco ciò che mangiammo: la casseruola conteneva uno strato di riso parzialmente cotto, uno di anelli di ananas e uno di salsicce, il tutto cotto in un liquido non meglio identificato. Ognuno ricevette un anello di ananas, una salsiccia e un grosso mucchio di riso che scrocchiava sotto i denti. Mangiammo in perfetto silenzio, prima sotto schock, poi in preda allo stupore, infine grati che non solo non ci fosse abbastanza da mangiare per tutti, ma che non ci fosse altro a seguire. Questa fu tutta la cena.
Più tardi, mentre con Richard sedevo da Pizza Express finendo di mangiare il secondo pasticcio di carne, dissi: 'Quello che abbiamo mangiato stasera era un qualche piatto scozzese?'.
'No', rispose Richard. 'Era il piatto di un genio'.



Laurie Colwin, Home Cooking. A Writer in the Kitchen, HarperCollins, New York 1993.

Laurie Colwin,
More Home Cooking. A Writer Returns in the Kitchen, HarperCollins, New York 1995.

Ruth Reichl,
Al banchetto del mondo, Ponte alle Grazie, Milano 2005. Traduzione di Patrizia Traverso.


4 commenti:

  1. Stavo cercando informazioni sul libro della Reichl e... beh, credo lo comprerò. Ho troppa poca confidenza con l'inglese per potermi permettere gli altri due e questa Colwin sembra molto interessante!
    Grazie ^_^

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  2. Ciao, grazie per aver lasciato il tuo commento.
    L'antologia messa insieme dalla Reichl è molto godibile e ha il pregio di presentare in italiano testi di autori 'leggendari' in America ma ahimé assai poco noti (perché poco o nulla tradotti) in Italia.
    È un peccato tu non abbia dimestichezza con l'inglese e non possa fare una conoscenza diretta con la grandissima Laurie Colwin. Io spero un giorno di poterla tradurre. È uno dei miei sogni!
    Grazie per esser passata di qui!

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  3. Se riuscirai a farlo avverare avvisami ^_^

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