domenica 2 agosto 2009

Predatore di Patricia Cornwell


Mia suocera è, come me, una sostenitrice della filosofia del 'ravattone', l'arte, cioè di riciclare e riutilizzare oggetti scartati da altri. Dunque, di tanto in tanto, fruga nella pattumiera della carta del suo condominio alla ricerca di riviste per sua madre, vecchi cataloghi dell'Ikea da far ritagliare alla nipotina e qualche libro per sé o per altri.
Immagino dunque che questa sia l'origine della incongrua apparizione di questo romanzo nella sua libreria. Dico incongrua perché conosco bene i suoi gusti e so per certo che per lei un libro giallo può essere solo di Agatha Christie.
Essendo rimasta senza niente da leggere in treno (orrore!), e non avendo mai letto un romanzo di Patricia Cornwell, della quale mi incuriosiva la celeberrima eroina Kay Scarpetta, ho deciso di dargli una scorsa.
Ho finito di leggerlo in meno di un giorno, perché la scrittura prende, la storia è terribile, morbosa e inquietante, e fa leva su tutti i punti deboli di gran parte di noi: la paura della morte, ma soprattutto la paura della follia, il terrore di precipitare, per caso, per sfortuna (per destino, per karma, secondo altri), nelle spire agghiaccianti di una mente deragliata, resa crudele e delirante da un dolore e da un trauma troppo grandi, indicibili e mostruosi per poter essere sopportati.
Non voglio fare una critica esaustiva dei meriti (e demeriti) di un libro come questo, né dal punto di vista letterario né da quello commerciale. Lascio ad altri il compito di occuparsi di tutto ciò.
Vorrei però dire che ho deciso che non ne leggerò mai più un altro del genere.
Perché non credo sia sano e faccia bene farsi risucchiare da atmosfere tanto raccapriccianti e atroci come quella creata ad arte dalla Cornwell, penetrare con lei nel mondo delirante e grondante sangue e follia in cui si muovono i suoi personaggi.
Mi chiedo spesso perché abbiamo bisogno di simili emozioni, di simili contatti mediati e 'protetti' con realtà che ci appaiono lontanissime e che invece, purtroppo, ci sono vicine molto più di quanto sospettiamo, tant'è vero che ne sentiamo spesso parlare nei notiziari o leggendo i giornali.
Che il volto oscuro dell'uomo ci attragga tanto e forse più di quello luminoso e sano, positivo e solare, è un dato di fatto.
Io però continuo a pensare che flirtare, anche solo in modo apparentemente innocuo e sicuro (leggendo un libro, vedendo un film), con questa ombra presente in tutti noi abbia qualcosa di malsano. Soprattutto quando essa viene presentata nelle sue vesti più cruente e spettacolari, per scuotere dal torpore della quotidianità il nostro cervello insonnolito e apparentemente aduso ad ogni nefandezza.
Che la gente acquisti libri del genere per sentire brividi di questo tipo mi lascia perplessa e avvilita. Che una scrittrice che conosce il suo mestiere debba ricorrere allo splatter per mettere un po' di pepe nelle sue storie e vendere più copie dei suoi romanzi non mi stupisce, ma mi fa tristezza. Non mi stupisce nemmeno che una miscela di questo tipo (psicologia, sangue, sesso) possa avere effetto anche su di me, facendomi leggere in meno di 24 ore un romanzo di circa 360 pagine, ansiosa di arrivare alla fine.
Di libri che investigano il mistero della crudeltà e della follia dell'uomo ce ne sono moltissimi, che anche senza sbattere sulla pagina etti di materia celebrale spappolata su copriletti o resti verminosi di cadaveri in decomposizione, dicono molto, e in modo assai più sottile e penetrante di questo romanzo della Cornwell, sull'eterna tragedia della fragilità della vita.
Voglio continuare ad affidarmi a loro.

Patricia Cornwell, Predatore, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2006. Traduzione di Annamaria Bivasco e Valentina Guani

1 commento:

  1. Che vuoi che ti dica, cara Duck?! Credo che gialli di questo tipo siano l'esatto corrispondente di certi film americani che devono per forza obbligarti ad assistere a 15 minuti di inseguimenti su un'autostrada o nella downtown. E guai se non si sfiora un mega camion, non si osa attraversare i binari con il treno in arrivo o saltare gibbose strade di S. Francisco. E' la moda del "vi stupiremo con effetti speciali". Ma stupiranno gli altri. Non me. Preferisco di gran lunga gli intasamenti e il traffico fermi dell'Atene di Markaris. Scarpetta, byebye.

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