sabato 10 luglio 2010

Di antenati e di famiglie mai avute e della prozia Lina

Qualche tempo fa vi avevo presentato brevissimamente la mia prozia Lina, inquieta viaggiatrice ed accumulatrice (probabilmente compulsiva) di oggetti di ogni sorta.

Mi ero ripromessa di tornare a parlarne, una volta o l'altra, benché, a ben guardare, non siano molte le cose che so di lei.

Non so molto della mia famiglia, a dire il vero, né di quella materna né, tanto meno, di quella paterna.

Per motivi troppo complessi (e noiosi) e la cui natura mi è chiara solo in parte, sono stata cresciuta da un uomo e una donna che in qualche modo avevano chiuso, molti e molti anni prima che io nascessi, quasi ogni rapporto con i loro parenti.

Da qui una pressoché assoluta mancanza, nella mia infanzia e nella mia giovinezza, di un legame costante, affettuoso, al limite anche opprimente, con una 'famiglia'.

Zii e cugini di parte paterna (quelli di parte materna erano in Veneto e li vedevo, se possibile, ancora di meno) sono sempre stati per me persone incontrate assai di rado e in compagnia delle quali ho sempre provato un misto di imbarazzo e timore reverenziale.

Adesso mi viene da sorridere pensando alla bambina che ero, sempre a disagio e in soggezione di fronte a questi parenti 'esotici', che abitavano a Roma come noi ma in un quartiere di 'signori' e avevano case bellissime, arredate dall'architetto, che profumavano di mobili d'antiquariato, potpourri alle spezie contenuti in lucide boules d'argento, antichi lini preziosi e cera per parquet.

E che umiliazione ogni volta nel confrontare i miei vestiti dismessi dai miei fratelli maggiori e quelli delle mie cugine, sempre alla moda e provenienti dai migliori negozi della città.

Ho dei vaghi ricordi della prozia Lina, che è morta pochi anni dopo la mia nascita.

Anzi, non sono nemmeno sicura che i miei ricordi non siano in realtà soltanto reminiscenze di foto che le furono scattate in tardissima età, da me intraviste in qualche album a casa delle mie zie.

Come che sia, l'immagine che ne ho è quella di una donna alta e curva, sempre vestita di nero e con un infinito filo di perle al collo, i capelli grigi raccolti sulla nuca da innumerevoli e minuscole forcine, ed orecchini di diamanti ai lunghi lobi delle orecchie.


Eccola qui, insieme alla sorella minore Olga (la mia nonna paterna) e al fratello Umberto.

Delle due sorelle, Lina fu sempre considerata la meno attraente e per questo le fu consentito di studiare e di diventare maestra.

Benché i miei bisnonni non fossero entusiasti all'idea di avere una figlia 'lavoratrice', probabilmente pensarono che un'occupazione come quella, per la quale Lina mostrava grande passione e che si addiceva comunque ad una signorina di buona famiglia, potesse rivelarsi un' àncora di salvezza nel caso in cui la loro primogenita fosse rimasta zitella.

Ecco una delle mie foto preferite: Lina è in primo piano a destra, durante una lezione di disegno e pittura nel collegio in cui fu educata, ma io sono sempre stata attratta dalla ragazza dietro di lei, col capo chino e quell'espressione concentrata e assorta, che si indovina essere stata assai graziosa.

La sua più avvenente sorella, Olga, venne invece cresciuta in funzione di un buon matrimonio: le fu garantita una minima istruzione, le fu imposto un po' di pianoforte (a Lina il liuto) e le furono insegnati i lavori femminili (anche se da sposata preferì sempre avere le sue ricamatrici e le sue sarte).

Ma soprattutto fu rifornita di uno splendido guardaroba e gettata sul mercato delle frequentazioni giuste.

Olga si sposò a 15 anni, con un uomo (mio nonno) che aveva quasi il doppio della sua età e che lei non aveva scelto.

Di sicuro Ferdinando adorò Olga dal primo momento in cui la vide e i genitori di lei acconsentirono di buon grado al matrimonio.

Quanto a lei, sembra fosse solita ripetere alle sue figlie che non bisogna mai sposarsi con l'uomo che si ama, ma con un uomo cui si vuol bene sì.
E a giudicare dalle foto che ho visto dei miei nonni, non ho motivo di dubitare che, col tempo, Olga avesse imparato a voler bene a quell'uomo che le era stato imposto.

Lina intanto aveva tante amiche, insegnava, fece il suo dovere di crocerossina durante la prima guerra mondiale (eccola qui in una foto in studio con il fratello), e alla fine, quando tutti la pensavano ormai destinata ad una vita da zitella, si sposò. Con un uomo di cui non so nulla, a parte il nome, che da piccola mi facevo ripetere dal mio babbo come una sorta di buffa filastrocca: Bernardino Bernardoni. Un omino piccolo di statura ma polputo, che assomigliava vagamente a Alfred Hitchcock, a quanto pare di buon carattere e molto paziente - benché con un filo di innocua bizzarria - che quando la rese vedova la lasciò addolorata il giusto, ma soprattutto libera di viaggiare.

Non credo che Lina si sia mai spinta al di là delle frontiere italiane, se non per recarsi in Francia e in Svizzera. Per lo più girò tutta l'Italia, acquistando ovunque cartoline e souvenir in quantità industriali.

Dei suoi libri a me ne sono arrivati solo un paio: una grammatica e un manuale di pronuncia di lingua inglese, con i suoi appunti e gli esercizi diligentemente svolti. So che studiò da sola anche il tedesco (il francese lo aveva imparato da giovane, quando questa lingua era ancora bagaglio obbligato di qualunque educazione rispettabile).

Di lei rimane anche un nastro - ormai temo inascoltabile perché troppo vecchio -, registrato da mio padre una sera, in cui la si sente raccontare ai miei due fratelli maggiori la fiaba del grillo e la cicala.

Lina doveva essere davvero molto anziana, a giudicare dalla voce, assai gracchiante ma senza il minimo accenno di incertezza e con un meraviglioso accento lucchese, appena appena appannato dai molti anni trascorsi a Roma.

Nella disinvoltura con cui racconta la sua favola , cambiando le voci a seconda dei personaggi, rispondendo sicura alle domande dei miei fratelli, si sente quanto Lina - che di figli non ne ebbe mai - abbia vissuto sempre per e con i figli degli altri.

Peccato non averla conosciuta, non aver mai potuto sedere con lei in giardino a leggere un libro o a chiacchierare e non averla mai sentita suonare il liuto.

Peccato non aver avuto mai accesso ai suoi ricordi, non aver mai sentito nessuna delle sue storie, non averle potuto chiedere come fosse davvero il suo Bernardino, e chi fosse invece quell'Amedeo che, molti anni prima che lei diventasse la signora Bernardoni, le aveva inviato diverse cartoline.

Dentro di me, inconsapevole ma presente, vive anche la memoria di questa signorina nata nell'800.

Mi piace credere che certi miei pensieri inusuali o certi strani déja-vu, certe emozioni forti che provo di fronte ad alcune immagini o paesaggi visti per la prima volta o suscitate in me da musiche mai sentite siano in realtà modalità inedite di comunicazione scelte dai miei antenati per parlare con me.

È un pensiero confortante, che fa sentire meno soli.

10 commenti:

  1. Ma che succede qui?
    Sono mancata da qualche giorno ed ecco che si respira un'aria davveero diversa... mi piace.
    Questa post è proprio una perla: delle fotografie mi sono letteralmente innamorata (l'ultima in particolare, sembra un dipinto di Lega); in alcuni passaggi mi sono riconosciuta. Deve essere meraviglioso poter contare su un album così, quando se ne sente il bisogno...
    Buon fine settimana,

    wenny

    p.s.: ancora grazie...

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  2. È bellissima la fotografia del collegio, ma anche l'ultima è affascinante.
    Mi incuriosiscono anche alcune idee, per esempio l'istruzione che si concedeva solo alle figlie bruttine, che però probabilmente hanno avuto una vita più interessante e ricca grazie alla scarsità di avvenenza.
    O le considerazioni sull'uomo da sposare.
    Peccato che si arrivi sempre alle storie troppo tardi, quando non si possono più ascoltare dalle voci dei protagonisti.
    Forse un giorno ti racconterò della ricerca che sto facendo nella storia della mia famiglia...

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  3. @ Wenny: Il cambiamento d'atmosfera è anche dovuto al banalissimo fatto che non riesco ancora a cucinare decentemente e dunque non posso proprio postare nulla che riguardi niente di commestibile! Gli album di famiglia sono belli da sfogliare, è verissimo; anche quelli con molte mancanze e molte assenze, come il mio. Danno comunque un senso di continuità e di appartenenza che è più forte di qualunque precarietà. Grazie a te, cara.

    @ trameorditi: Grazie per le tue belle osservazioni. È un gran peccato, hai ragione, perdere l'occasione di ascoltare queste storie direttamente da chi le ha vissute. Pensa quanta vita in più da vivere! Aspetto con ansia il giorno in cui mi racconterai della tua ricerca. Non avendo io mai avuto una vera e propria famiglia, sono molto affascinata da quelle degli altri. A presto!

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  4. il giorno che tu avessi bisogno di una compagna che passi con te ore e ore e ore su un vecchio album di foto senza annoiarsi mai, sono qui.

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  5. Artemisia carissima, tu mi inviti a nozze!
    La prospettiva di un pomeriggio trascorso con te a sentire storie nate dai tuoi vecchi album è talmente allettante da rendere desiderabile anche un viaggio a Roma!
    Un abbraccio

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  6. sono splendide queste foto duck. ed è emozionante leggere le ultime tue due frasi, nelle quali mi ritrovo molto. e poi, combinazione, anche io ultimamente sono immersa in vecchissime storie di avi, grazie a mia sorella che, facendo l'albero genealogico della famiglia, ha avuto accesso a notizie molto indietro nel tempo, che si incrociano con gente e fatti che arrivano fin nel lontano oriente... che storia! appena avrò notizie più dettagliate magari, se riesco, ne parlo. un abbraccio cara!
    t.

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  7. Tiziana carissima, ti prego! Trova il modo di parlare di queste tue storie! E poi tu sai raccontare così bene...
    Ricambio il tuo abbraccio

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  8. Questo post è una sciccheria! Bellissimo. Le foto in posa, le signorine d’altri tempi, la crocerossina. Una vita che sa di romanzo o che tu hai reso (meravigliosamente bene) un romanzo.
    Splendido.
    Un abbraccio

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  9. Ciao cara,
    non so se la vita di Lina sia stata un romanzo; ho l'impressione, però, che tutto allora fosse più grandioso e intenso e significativo. Ma io, si sa, sono una grande amante del passato.
    Un grande abbraccio

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  10. Ciao Duck,bellissimo questo racconto!!

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