venerdì 4 marzo 2011

Le città invisibili di Italo Calvino

La prima volta che ho letto questo libro ero all'università, e preparavo l'esame di letteratura italiana moderna e contemporanea.

In realtà non era tra i testi in programma (c'era invece Il sentiero dei nidi di ragno, ricordo), ma mi prese una tale smania di conoscere tutto quello che si poteva conoscere su Calvino che cominciai ad acquistare tutti i suoi libri e a leggerli.

Lo lessi con grande piacere, con la solita stupefatta e direi commossa ammirazione che ho sempre provato per questo gigante dall'intelligenza adamantina e spericolata.

L'ho ripreso in mano adesso, pregustando il piacere che avrei ritrovato, intatto, e anzi, aumentato dal passare del tempo - e l'ho trovato invece tra le letture più difficoltose e complesse della mia vita.

Non ho capito bene che cosa sia successo, ma non sono riuscita proprio a entrare dentro questo libro e ho passato gran parte del tempo sentendomi lasciata fuori, smarrita e sola come la piccola fiammiferaia, una sensazione non molto piacevole.

Persino le sottolineature di quella mia prima lettura non mi hanno offerto alcuna indicazione utile, per così dire.

Mi riecheggiavano nella mente certe conversazioni fatte allora, ai tempi dell'università, con amici studenti come me: tutti entusiasti di questo libro, tutti incantati, e mi chiedevo che cosa avessi potuto capire e amare, allora, di quello che oggi mi è parso tanto enigmatico e complesso ed ho capito che forse quell'entusiasmo adolescenziale doveva molto a quella sorta di ammirazione "programmatica" che da giovani a volte si sente per autori e opere di culto che "bisogna" amare - pena la condanna alla condizione di paria intellettuali.

Di sicuro esiste un momento giusto per leggere ogni libro e questo, evidentemente, non era quello giusto per questa rilettura.

Di sicuro negli anni sono assai cambiata e per quanto continui ad amare Calvino e la gran parte della sua produzione, pure sento di non avere ormai che un blando interesse per il suo lato più cerebrale e matematico e strutturalista, cui pure riconosco - chi potrebbe negarlo? - una grande, sofisticata e coltissima originalità e libertà e che tanto mi affascinava, invece, quando ero una giovane fanciulla.

Le cinque stelle, però, rimangono (avercene di Calvino!), anche solo per una delle poche pagine che mi hanno davvero emozionata e coinvolta, quella - per me meravigliosa - dedicata alla città di Raissa e per quelle poche righe a conclusione dell'intero libro, così drammaticamente attuali e vere anche adesso:

L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.




Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori 1993.

16 commenti:

  1. Ho letto "Il sentiero dei nidi di ragno" di recente e mi ha profondamente commosso. Quest'uomo aveva un cuore, e personalmente e' la parte che preferisco di lui.

    Poi il chimico ha trovato questa intervista, in cui (te la dico come la racconta il chimico) all'inizio sembra che Calvino dica delle cose incomprensibili per darsi delle arie da intellettuale (il bambino che gioca con gli spazi) invece poi quando spiega ti rendi conto che quel che dice e' vero, e se non l'avesse detto lui non ci avremmo mai pensato!

    http://www.youtube.com/watch?v=PIvoweRgiwE&feature=related

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  2. @ ciccia_pota: grazie per il link al video, che conoscevo e che, quando l'ho scoperto tempo fa, mi aveva molto colpita. Prima di tutto perché la voce di Calvino me la immaginavo ben diversa da quella che in realtà era e poi perché è evidente che soffrisse di una leggera balbuzie, cosa che me l'ha fatto amare ancora di più (per motivi, come dire?, squisitamente egoistici: sono stata una bambina balbuziente).
    E hai ragione: all'inizio il suo discorso pare incomprensibile; poi, quando esplicita i passaggi logici, diventa evidente, verissimo.
    Saluti!
    (scusa, ma chi è il chimico?)

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  3. si , bisogna dare spazio al paradiso ! :-)

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  4. E' da tempo che non riprendo in mano i libri di Calvino. Solo uno dei suoi è da sempre sul mio comodino e sono le "Lezioni americane" per il pezzo sulla leggerezza, che per me ,più che di letteratura, è una lezione di vita.
    Non so cosa proverei ora a rileggere " Le città invisibili"...anzi quasi ci provo e poi ne parliamo.
    Grazie

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  5. La leggerezza in lezioni americane dovrebbe essere mandata a memoria da ogni studente, persona, sasso e vattelapesca.
    Ricordo che quando scrissi la tesina di maturità intitolata la leggerezza la mia professoressa mi "apostrofò con parole argute" e mi disse: troppo pretenziosa!!! un bacio

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  6. Sai Duck che anch'io, come Grazia, non rileggo Calvino da secoli? Devo aggiungere che purtroppo non è mai stato un mio autore preferito: impiegavo troppo per ... entrarci dentro :(
    Trovo verissimo quanto scrivi che esiste un momento giusto per leggere ogni libro.
    Ciao, un abbraccio,
    Lara

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  7. Ciao Duck ! Dei libri di Calvino serbo il ricordo di una prosa "petrosa", a tratti impentrabile, di concetti ostici che si affastellavano nella mia mente senza trovare una loro sistemazione. Parliamo di venticinque anni fa, chi sa chi ero allora...naturalmente quello che scrivo oggi non lo espressi chiaramente illo tempore perchè è vero - la tua analisi è davvero lucida - si rimane sempre un po' schiavi dell'"orizzonte di aspettativa", anche quello degli altri che ti circondano. Ma ora, approdata alla mezza età (oh my god) posso permettermi di dire le cose così some sono, o come me le ricordo. Mi chiedo cosa succederebbe a rileggerlo ora. Forse un giorno te lo scriverò, se accadrà mai... Intanto ti abbraccio

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  8. io non so più leggere narrativa, le città invisibili le ho lette da ragazzina e non so se avrei la costanza di rileggerle adesso.

    siamo cambiate, io credo di essere così cambiata...

    però la frase me la ricordavo, e cavoli se è attuale!

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  9. @ Vera: mi pare ciò sia particolarmente vero oggi.

    @ Grazia: una lezione, quella sulla leggerezza, che sembri aver appreso molto bene. Baci

    @ il Maltese: da giovani è facile essere pretenziosi, vero? Poi la maturità, si spera, guarisce da questa tentazione (che antipatica, però, questa professoressa!).

    @ Lara: è uno dei miei princìpi: mai forzare i tempi di un libro - e di un incontro.

    @ Marilì: sarei contentissima di sentire che cosa ne pensi, davvero. Nell'attesa, ti abbraccio anch'io.

    @ Gaia: non sei la prima persona che mi dice questa cosa: "non so più leggere narrativa". Mi piacerebbe capire perché, magari ti scrivo e se hai voglia me lo spieghi.

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  10. "L'inferno sono gli altri", scrisse Sartre. Ed aveva ragione da vendere.
    Anch'io rimasi folgorato dal "Sentiero" quando avevo 13 anni. Riletto da adulto, però, la sensazione è stata molto diversa.
    E' proprio vero che c'è un momento per ogni libro, per ogni film, per ogni canzone. Cercare di trasportarli in un'altra epoca è un po' come voler travasare una pianta. A volte è meglio lasciar perdere, se non si è degli ottimi giardinieri.

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  11. Anch'io negli anni mi sono allontanato da lui, anche se credo che sia uno dei pochi, veramente POCHI scrittori che l'italia dell'ultimo secolo abbia avuto... Ultimamente ho riletto le sue Lezioni americane: rarissimo esempio di teorizzazione letteraria originale e intelligente, non spocchiosa, non pallosa, non inutile.

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  12. Forse ti è successo ciò che capita quando, dopo tanti anni, ci si imbatte in qualcuno che ci era piaciuto molto. Il tempo è passato e non si è più gli stessi. Nel caso migliore, l'incontro ci riserverà altre emozioni, comunque diverse da quelle provate in un tempo precedente.
    Bacione

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  13. Questa è interessante. Lessi Le città al liceo e lo amai fin da subito. Un amore viscerale e appassionato. Mi domando, alla luce di quel che hai scritto, cosa accadrebbe se lo rileggessi adesso: e ti dirò, un pò mi spaventa, pensare alla possibilità di aver perso quella potenza di sentimento...
    Un abbraccio,

    wenny

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  14. @ Spia: immagino che leggere Il sentiero dei nidi di ragno a 13 anni debba aver fatto scattare una pressoché totale identificazione nel protagonista, la cui storia è così estrema e dura, come poteva esserlo la storia di ogni bambino di guerra.
    Quanto all'essere ottimi giardinieri, sappiamo entrambi che non potrei fregiarmi di questo titolo.

    @ Zio Scriba: dici una cosa verissima, secondo me: che Calvino come teorico della letteratura (e penso anche ai suoi saggi raccolti in Una pietra sopra, per esempio) è stato davvero unico, non spocchioso, non palloso, non inutile.

    @ Giacy.nta: sì, immagino si possa proprio fare questa comparazione. A me in fondo è bastata, come dicevo nel post, quella pagina che mi ha enormemente emozionato e la conclusione: un incontro con Calvino, anche se non dei più felici, non è mai un incontro sprecato, sia ben chiaro.

    @ Wennycara: non credo sia necessario tu faccia la prova. A volte è davvero volersi far del male verificare un ricordo, non trovi? Ti abbraccio anch'io

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  15. Io invece le citta' le sto leggendo ora. il libro e' vicino al letto da mesi, e una tantum, centellinando, mi leggo una citta'.

    che dire? difficile scrollarsi di dosso la responsabilita'/fama che questo libro ha e di approcciarlo come semplice libo/mi piace/nn mi piace... ci provo: in generale mi piace molto. ho osservato che se inizio ad analizzare i racconti, li perdo. piu' mi avvicino e piu' non li vedo piu'. allora ho deciso di leggerli, rimanendone distante, solo cosi', per me, la loro magia funziona. avverto che sono frutto di una scrittura prodigiosa ma se cerco di analizzarla, la perdo. me li godo, rimanendo stupito e ammaliato. senza pensare. ho provato a leggerne alcuni di seguito e confesso che ho trovato il tutto stancante.. come dire: mi sembra che le storie funzionino bene se raccontate/lette con una distanza l'una dall'altra, altrimenti la magia della scrittura di c. rischia di diventare ripetizione stilistica. premetto e ripeto cmq: io lettore bestia che si stanca facilmente ovvero io lettore poco avvezzo alla lettura
    ste

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  16. @ Stefano: ho l'impressione che tu abbia scelto, magari non intenzionalmente, il modo migliore di leggere questo libro. Mi pare lo consigli Calvino stesso: di leggere le sue città come se si trattasse di un libro di poesie o di piccoli saggi e dunque non consequenzialmente ma un po' così, a spizzichi e bocconi, lasciando lunghi intervalli tra l'una e l'altra.
    E infatti credo proprio sarà così che lo rileggerò, magari tra altri vent'anni, per vedere l'effetto che fa.

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