mercoledì 4 maggio 2011

Le poesie del mercoledì: Pio di Primo Levi (e un pensiero di Marguerite Yourcenar)

Anche oggi una poesia di Primo Levi che amo molto, in cui si dà voce al mondo "altro", non umano, ma animale.

Stavolta a parlare non è un mollusco, ma un bue, e nelle sue parole risuona l'ironia dolente di Levi, quella sua brusca, malinconica sensibilità - di cui parlavo la volta scorsa, qui - che avvertiva con chiarezza il dolore della vita, la sofferenza che pare connaturata ad ogni esistenza. Una sofferenza che non esclude la possibilità di gioia, redenzione, senso, ma è alle sue spalle, sempre, e a volte pare offuscarla quasi del tutto, fatalmente.

Questo bue che parla è uno dei tanti animali sacrificati all'appetito dell'uomo e ridotti a carne da mangiare. Nelle sue parole c'è soprattutto lo sdegno feroce ma impotente di chi si è visto, oltre che macellato, snaturato e violentato nella sua più intima essenza; l'effetto tragicomico della prima parte della poesia nasce proprio dall'indignazione di un essere vivente che, per natura libero e possente, è stato non solo ucciso, ma anche trasformato, per svenevole sentimentalismo, in un emblema bucolico di bontà e arrendevolezza. 
Come a dire, oltre al danno la beffa.

Leggendo questa poesia non ho potuto fare a meno di ripensare ad un brano di un libro cui sono affezionatissima, in modo morboso e quasi feticistico, Ad occhi aperti, una lunga intervista che Matthieu Galey ha fatto a Marguerite Yourcenar nel 1980 (in Italia pubblicato da Bompiani), un libro preziosissimo per chiunque voglia avvicinarsi a questa straordinaria scrittrice, una gioia da leggere, una miniera di riflessioni, spunti, meditazioni, storie (poi, magari, consiglio anche di leggere la biografia sulla Yourcenar di Josyane Savigneau, edita da Einaudi, per riequilibrare l'immagine un po' troppo perfetta e agiografica che si tende a farsi di lei leggendo il libro di Galey)

Ma per tornare a questo brano, ve lo riporto qui, prima della poesia di Levi, perché mi sembra sia il suo miglior commento.

Come mai questo interesse per gli animali?
 (...) È già un grande arricchimento accorgersi che la vita non è contenuta soltanto nella forma in cui noi siamo abituati a vivere, che si possono avere delle ali al posto delle braccia, degli occhi otticamente meglio dei nostri, delle branchie invece dei polmoni. Poi c'è il mistero delle migrazioni e delle comunicazioni animali, la genialità di certe specie (il cervello del delfino che è uguale al nostro ma capta certamente, del mondo, un'immagine diversa da quella che ce ne facciamo noi), il modo in cui l'animale si è adattato, nel corso di milioni di secoli, ad ambienti naturali in perpetuo mutamento, e ancora si adatta, o si rifiuta di farlo e muore, a un mondo che noi abbiamo guastato.
Inoltre, c'è sempre, per me, quell'aspetto sconvolgente dell'animale che non possiede niente, tranne la propria vita che così spesso gli prendiamo. C'è quell'immensa libertà dell'animale, chiuso sì nei limiti della sua specie, ma che vive esclusivamente la sua realtà di essere, senza tutto il falso che noi aggiungiamo alla sensazione di esistere. Per questo la sofferenza degli animali mi commuove tanto. Come la sofferenza dei bambini: vi sento l'orrore del tutto particolare del coinvolgere nei nostri errori, nelle nostre follie, degli esseri totalmente innocenti. Quando ci arriva addosso qualche calamità possiamo sempre dire a noi stessi che abbiamo la nostra intelligenza per trarci d'impaccio e, fino a un certo punto, è vero; possiamo sempre dirci, ed è pure tristemente vero, che siamo di fatto implicati, che tutti abbiamo, fino a un certo punto, fatto del male, o l'abbiamo lasciato fare, che è ancora peggio. Mentre rispondere con la brutalità alla totale innocenza del bambino o dell'animale, che non capisce che cosa gli stiamo facendo, è un crimine veramente ripugnante.

Ed ora ecco la poesia.

****

Pio

Pio bove un corno. Pio per costrizione,
Pio contro voglia, pio contro natura,
Pio per arcadia, pio per eufemismo.
Ci vuole un bel coraggio a dirmi pio
E a dedicarmi perfino un sonetto.
Pio sarà Lei, professore,
Dotto in greco e latino, Premio Nobel, che
Batte alle chiuse imposte coi ramicelli di fiori
In mancanza di meglio
Mentre io m'inchino al giogo, pensi quanto contento.
Fosse stato presente quando m'han reso pio
Le sarebbe passata la voglia di fare versi
E a mezzogiorno di mangiare il lesso.
O pensa che io non veda, qui sul prato,
Il mio fratello intero, erto, collerico,
Che con un solo colpo delle reni
Insemina la mia sorella vacca?
Oy gevàlt! Inaudita violenza
La violenza di farmi nonviolento.

18 maggio 1984


(da Ad ora incerta, 1984)



5 commenti:

  1. Tutto qui da te vibra di umanità, di sofferenza (quella che non esclude la gioia).
    Non so, ma il brano che hai trascritto della Yourcenar è per me così vero, così intenso, che persino Levi passa in second'ordine.
    Certo che quel "T'amo pio bove..." non ha proprio niente a che fare con questi altri versi dove la rabbia a stento e a ragione, è trattenuta.
    Grazie Duck per queste meraviglie!
    Un abbraccio,
    Lara

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  2. Si, come dice Lara, le parole della Yourcenar sono talmente intense che sono quelle che rimangono in mente.
    Il "pio" bove è uno degli animali più offesi , più "snaturati"( nel vero senso della parola.Ho sempre pensato che la poesia di Carducci fosse l'ultima beffa : " la violenza di farmi non violento" .Ha ragione Levi
    Un abbraccio

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  3. Trovo la tua introduzione bella quanto tutto il resto. Mi piace molto il modo in cui hai descritto il sopruso forse più difficile da sostenere...

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  4. E' bellissima questa poesia.
    E bellissime sono le parole della Yourcenar.
    Saranno sicuramente motivo di studio per me, in questo periodo di riflessione sull'uso della carne nella mia alimentazione.
    Grazie di cuore care Duck,

    un abbraccio

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  5. Beh, come non gioirne...
    grazie cara A., questo post (e forse lo immaginerai) l'ho letto con più piacere del solito.
    Un abbraccio,

    wenny

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