
Quando ero bambina, la mia colazione era pane o fette biscottate, burro, marmellata e un bicchiere di latte.
Ogni giorno che dio mandava in terra.
Io avrei voluto mangiare biscotti del Mulino Bianco, orrende merendine che sapevano di lievito chimico e tanta Nutella, come i miei compagni di scuola, le cui mamme lavoratrici, alle 7.30 di mattina già in tailleur, tacchi alti e perfettamente truccate e profumate, preparavano in tutta fretta il tavolo della colazione.
Ho desiderato per anni queste colazioni e queste mamme lavoratrici.
La mia, di mamma, era sempre vestita per stare in casa (qualche volta - assai raramente - si presentava in vestaglia), con le pantofole, un grembiule a proteggere la gonna, i capelli appena spazzolati e neanche un po' di trucco, le mani che già sapevano di cucina.
Quanto al menu della colazione, immagino che fosse stato stabilito anche perché mia madre è sempre stata un'indefessa confezionatrice di conserve, e di vasetti di marmellata, in casa, ce n'è sempre stata un'enormità.
Ricordo lo sgabuzzino di casa (chiamato 'lo stanzino buio'), una microscopica nicchia chiusa da una porta che si affacciava - in modo piuttosto bizzarro, ora che ci penso - sull'ingresso e che odorava sempre di chiuso e di legno. Sui suoi scaffali facevano bella mostra di sé, tutti allineati, decine e decine di barattoli di marmellate.

Per lo più erano di albicocche, di prugne e di arance (a volte quelle amare, amatissime da mio padre, che provenivano dal giardino di una sua mezza parente di Livorno) . Ogni tanto, qualche vasetto di marmellata di lamponi o di more e, praticamente solo per mio padre, che ne è sempre andato matto, di mele cotogne, che io trovavo ripugnante (ora che ci penso, dovrei riprovarla).
Ieri mattina mi è venuto in mente tutto questo, mentre assaggiavo la mia marmellata di prugne.
Sì, perché dopo anni di colazioni il più possibile lontane e diverse da quelle impostemi per decenni dai miei, dopo solenni promesse fatte a me stessa di non fare mai e poi mai un barattolo di marmellata in vita mia, ieri mattina mi sono appunto ritrovata con in mano una fetta biscottata spalmata di marmellata fatta in casa. Da me.
E accidenti, non c'è stato niente da fare. Ho provato una soddisfazione enorme, uno sciocco e compiaciuto orgoglio. Io, proprio io, avevo fatto quella marmellata e la trovavo buonissima e bellissima.
(La ricetta si trova in
Confetture al naturale, di
Federica Guerra [Terra Nuova Edizioni], ma l'idea di cimentarmici mi è venuta grazie ad un'amica aNobiiana, che qui ringrazio [grazie Paola!]).
500 gr. di prugne250 gr. di zucchero (io ho usato il Golden Caster Sugar del commercio equo e solidale)
il succo di mezzo limone (più o meno)1 stecca di cannella, spezzata a metà1 chiodo di garofano2 capsule di cardamomo, leggermente schiacciateDubito che il mio sistema sia pienamente ortodosso.
Per me funziona, comunque.
La tecnica è più o meno quella di
Christiane Ferber, regina alsaziana delle marmellate.
Lavate le prugne, tagliatele a metà se sono piccole o in quarti se vi sembrano troppo grandi, togliete il nocciolo e mettetele in un pentolino dal fondo spesso.

Aggiungete tutti gli altri ingredienti e portate a bollore.
A questo punto spegnete il fuoco e lasciate riposare, secondo la Ferber anche tutta una notte, al fresco.
Io in questo caso ho aspettato 3-4 ore, ho assaggiato, corretto con un altro po' di succo di limone, tolto un po' di bucce, poi ho riportato la marmellata a bollore e ho aspettato che le prugne fossero sfatte (questione di pochi minuti), schiacciandole - ma senza troppa convinzione - con uno schiacciaverdure.
Infine ho invasato la marmellata in barattoli che avevo lavato con acqua calda e sapone e che avevo lasciato in forno a 120° per circa 25'-30'.
Quanti pensieri mi sono venuti in mente, ieri mattina, quando ho assaggiato questa marmellata.
Sui condizionamenti e le eredità familiari, che a volte sono pesantissimi fardelli, zavorre inutili e moleste che impediscono alla propria mongolfiera di alzarsi in volo e a volte - invece - meravigliose consuetudini che ci si ritrova, quasi senza volerlo, a ripetere, aggiungendovi, si spera, qualcosa di irripetibilmente personale - e qui sta l'elemento creativo, positivo, che le riscatta e le redime e le sottrae al possibile rischio di farsi statiche e inconsapevoli ripetizioni senza vita.
Consuetudini che sanno di casa, di saperi utili, di cose buone che passano da una mano all'altra, in una lunga, affettuosa, tenera catena.
Enjoy!