giovedì 4 agosto 2011

Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati

Un po' come Giovanni Drogo, il tenente protagonista de Il deserto dei tartari, che aspetta tutta la vita l'inizio della sua vita vera, anche io ho aspettato tutti questi anni prima di leggere questo capolavoro.

Adesso che l'ho letto, so bene la ragione di questa lunga attesa, che pure non mi ero mai motivata.

Ci sono alcuni libri per i quali mi preparo da anni, nella convinzione di non esser pronta ad affrontarne la lettura, di non essere ancora matura abbastanza per avvicinarli: il primo che mi viene in mente è ovviamente La Recherche di Proust, ma la lista è lunga, lunghissima.

E ce ne sono altri che mi aspettano su uno scaffale della grande libreria della sala; pazienti, senza pretese,  attendono il loro turno. Anche per anni, anche per decenni, proprio come Il deserto dei tartari.

A prima vista non sembrano esserci ragioni particolari per cui un altro libro finisca sempre per esser scelto al posto loro; perché, quando la sera mi ritrovo davanti alla libreria e devo scegliere un nuovo libro da iniziare (un momento sempre bellissimo, eccitante, estatico; io adoro ogni inizio, ogni esordio, ogni principio), le mie dita finiscano sempre per estrarre un altro libro e non uno di loro.

Questo è stato, per circa 25 anni, il destino de Il deserto dei tartari
La vecchia copia della Oscar Mondadori, acquistata da mia sorella per la scuola, mi ha seguita in tutti i miei traslochi, è stata più volte presa in mano, soppesata, sfogliata e poi rimessa a posto.

Ma ora l'ho letta.
E ho capito perché abbia aspettato così tanto per farlo, perché abbia rimandato per tutti questi anni questo incontro.

Perché ho sempre avuto la netta sensazione, tutte le volte che il mio sguardo si posava su questo libro, che la sua lettura richiedesse la volontà di immergermi in una storia che parla molto anche di me, forse un po' di tutti; della tendenza a procrastinare, a cullarsi nella prospettiva (spesso illusoria) di una vita futura appagante e soddisfacente, a misura propria, alla quale ci si prepara per anni e che però non arriva mai, perché nulla si fa perché finalmente arrivi, perché è più facile e dolce (anche se a tratti può essere frustrante e paralizzante) immaginarla, anticiparla, prefigurarsela e pregustarla, rimanendo nella pura dimensione del possibile, rifiutandosi ostinatamente di tradurre tutti questi sogni e queste aspettative in azioni concrete, che finalmente diano sangue e carne a quel sogno, pur bellissimo, ma anodino e irreale.

Questo romanzo parla moltissimo di me, dei lunghi anni in cui sono stata affacciata dalla mia personale Fortezza Bastiani a scrutare la linea dell'orizzonte, gli occhi fissi verso il nord, verso quelle terre misteriose, inquietanti e insieme portatrici di qualche luminosa ma vaga promessa di appagamento e realizzazione futura.

Ora so perché ci ho messo 25 anni a leggere questo romanzo e perché, qualche sera fa, dopo tutti questi anni, sia arrivato finalmente il suo momento.
Perché c'è un momento per leggere certi libri, e se non lo si coglie quei libri rimangono muti e opachi, le loro parole non ci raggiungono, le loro immagini non ci parlano.

Ma quando lo si coglie, quel momento, ci si specchia in quelle pagine, ci si ritrova tali e quali e si è presi da una travolgente gratitudine nei confronti di chi le ha scritte, perché (forse lo sapeva, o forse no) sembra averle scritte proprio per noi, perché una notte d'agosto le leggessimo e leggendole capissimo, anzi, sentissimo, che quella storia è la nostra storia, o meglio, avrebbe potuto essere la nostra storia. 

Avremmo potuto essere come Giovanni Drogo, con la sua attesa sempre più rassegnata e patetica della vita vera, con la sua paura di mettersi alla prova con il mondo reale, nel timore di scoprirsi "un uomo comune, a cui per diritto non tocca che un mediocre destino" (ed io non penso che esistano destini mediocri e destini eccelsi, ma solo che esistano destini individuali, ognuno dei quali costruito giorno dopo giorno, con azioni, parole, scelte e decisioni individuali).

Avremmo potuto essere come Giovanni Drogo, se un giorno, tempo fa, non ricordiamo bene quando, non avessimo avuto il coraggio (e l' incoscienza, senz'altro; una benedetta incoscienza) di abbandonare la nostra fortezza Bastiani, e con essa fragili e vaghi sogni di gloria, per scendere finalmente a valle, verso la vita vera, con le sue opacità e le sue imperfezioni - le nostre opacità e imperfezioni, quelle che abbiamo voluto che avesse - ma tutta nostra e tutta permeata di realtà e concretezza, quella realtà e quella concretezza che abbiamo deciso che avesse.

E questo è il momento giusto di ricordarsene e di continuare a costruirla, questa realtà.
E di viverla, e di goderne.

Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari, Oscar Mondadori 1981. 



11 commenti:

  1. IO lo lessi da giovane, lo trovai frustrante , difficile e amaro , ms bellissimo . Un pò simile alla "montagna incantata" di Thomas Mann, che ho amato tantissimo.Tu sei proprio una scrittrice , l'incontro col libro è descritto con tale intensità!

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  2. hai scritto una meravigliosa storia nella storia. il deserto dei tartari è uno dei libri dei quali anche io procrastino la lettura. forse troppo influenzata dal film, seppure bellissimo, così sottilmente angosciante. forse un giorno mi deciderò, chissà. intanto ho letto questa tua pagina, che come sempre, racconta così tanto... va oltre.
    un abbraccio!

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  3. ce l'ho anch'io quella edizione ma non ho dovuto aspettare tanto tempo per leggerla, per questioni anagrafiche per me era già il momento adatto

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  4. Anch'io l'avevo già letto. O meglio me ne "imposero" la lettura, al Liceo. Il mio ricordo è di grande rabbia per quell'attesa che leggevo per pagine e pagine, facendomi la stessa domanda: "Ma che sta a fare lì?" La stessa rabbia che avevo per il titolo di un tema dato dal ns prof: "Non c'è solo il bianco e il nero, ma anche il grigio".
    Negli anni, poi, quella rabbia scivola nella comprensione o in una rabbia ancora più grande, nel capire che in entrambi, libro e titolo, c'era una delle verità della vita. Ma questo si capisce da vecchi e se tu sei riuscita a lasciare la tua Fortezza, beh, allora avrai compreso che era importante mutare e non ti sarà venuta l'arrabbiatura per non averlo fatto in tempo. Devi andarne orgogliosa. Bye&besos

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  5. @ Vitamina: io penso che se l'avessi letto da giovane sarei rimasta affascinata dalla rinuncia alla vita di Drogo (avevo un certo debole per le figure di questo genere, apparentemente stoiche ma in realtà deboli e spaventate)e per questo credo che sia stato meglio affrontarne la lettura adesso; mi è davvero parso come un monito a ricordarmi che fine avrei potuto fare anni e anni fa.

    @ Tiziana: non ho visto il film ed ora mi piacerebbe. Grazie, sono contenta che qui tu abbia trovato comunque una storia. Baci

    @ Dede: io nel 1981 avevo 9 anni. Il libro lo comprò mia sorella, che ne aveva 17, per la scuola. Ricordo che la copertina mi angosciava moltissimo, con quella figurina piccola piccola e sfocata su quelle mura spoglie.

    @ Nela San: oh sì che l'ho capito che era importante mutare! In un certo senso non ho avuto alternative, cosa che - spesso - ritengo sia una benedizione. Saluti!

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  6. Buzzati è uno dei miei autori preferiti. Mi piace la maniera che ha di rilevare la debolezza. La denuncia ed insieme la salva. Lascia uno spiraglio, quello in cui si insinua l'inquietudine derivante dal dubbio che anche la vita vissuta non sia necessariamente migliore di quella attesa, sognata.
    E' sempre bellissimo leggerti! :-))

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  7. Anch'io ho già da un bel pezzo ( ahimé) passato l'età delle esitazioni e il Deserto dei Tartari è da anni tra i libri già letti. Buzzati è uno di quegli scrittori che cambiano non la vita, ma la percezione della vita e quello che scrivi, con la tua solita sensibilità, è profondamente vero.
    E ora benvenuta nel club delle lettrici (appassionate) di Buzzati !

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  8. @ Giacy.nta: che bello il tuo commento, e quanto sottile e raffinato il tuo punto di vista.

    @ Grazia: bello ritrovarmi in un club che ti annovera tra i suoi membri!

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  9. "Un amore" è il primo libro che lessi di Buzzati. Libro amatissimo e più volte riletto. "IL deserto", l'ho ripreso di recente, proprio mentre mi trovavo (e per certi versi mi ci trovo ancora) dentro la mia personale Fortezza Bastiani. E' nello scaffale dei "libri amati". Divido i libri in maniera stupidamente sentimentale, alla faccia del codice Dewey. Benjamin scriveva (più o meno) che "i libri importanti sono come i briganti di strada: ti aspettano all'angolo della strada". oriana

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  10. ecco, io quella fine (apparentemente stoica ma in realtà debole e spaventata) l'ho fatta. Il Deserto dei tartari l'ho letto a 17 anni, e già sapevo che sarebbe finita così. Si vede che era destino. Il destino dei deboli. Vivete voi, che ne siete capaci.Ma non giudicate chi non lo è.

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  11. @ Oriana: a noi del codice Dewey importa il giusto, cioè praticamente quasi nulla. Ovvio che ognuno abbia i suoi criteri di catalogazione, ci mancherebbe altro che qualcuno ci venisse a dire come classificare i nostri libri nella nostra libreria. Bellissima la definizione di Benjamin, così azzeccata. Saluti!

    @ Esmé: nessuno giudica nessuno, credo: questi son territori ambigui e misteriosi in cui il giudizio non porta comprensione, non illumina, non chiarisce. Io mi limito a cercare di capire che cosa, ad un certo punto, mi ha indotto a prendere un'altra strada, quella che bisognava io prendessi per costruirmi proprio il mio destino e non un altro e nel mio caso molto ha significato liberarmi dalla fascinazione adolescenziale che avevo per quel tipo di figure tormentate e inquiete che sembrano volersi votare a più o meno grandiosi fallimenti. Un saluto

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