
Come molti sanno, fu grazie a lui che Fernanda Pivano conobbe L'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, dalla quale rimase tanto incantata da volerla tradurre in italiano "per uso personale", come si suol dire: quel suo manoscritto, tenuto in un cassetto della sua scrivania e nascosto con pudore, finì poi nelle mani di Pavese, che convinse Giulio Einaudi a pubblicarlo.
Lunga è la lista di intellettuali, poeti, musicisti e persone comuni (se mai è pensabile usare un simile aggettivo per le persone) che negli anni questa straordinaria raccolta di poesie ha sedotto e turbato.
Forse proprio le parole di Fernanda Pivano possono aiutare a capire le ragioni di tanta fascinazione:
Non c'è dubbio che per un'adolescenza come la mia, infastidita dalla roboanza dell'epicità a tutti i costi in voga nel nostro anteguerra, la semplicità scarna dei versi di Masters e il loro contenuto dimesso, rivolto a piccoli fatti quotidiani privi di eroismi e impastati soprattutto di tragedia, erano una grossa esperienza; e col tempo l'esperienza si approfondì, individuando, coi temi di quel contenuto, il mondo che lo ispirava: la rivolta al conformismo, la brutale franchezza, la disperazione, la denuncia della falsa morale, l'ironia antimilitarista, anticapitalista, antibigottista: la necessità e l'impossibilità della comunicazione. In questi personaggi che non erano riusciti a farsi "capire" e non avevano "capito", dal loro dramma di poveri esseri umani travolti da un destino incontrollabile, scaturiva un fascino sempre più sottile a misura che imparavo a riconoscerli; e per riconoscerli meglio presi a tradurli, quasi per imprimermeli nella mente.
Tante le voci di questo cimitero di collina che mi emozionano e mi parlano (e negli ultimi tempi trovo sempre più vera quella di Dorcas Gustine).
Ma quella di George Gray rimane, da sempre, quella che più sento mia.
Oggi, come al tempo dei miei 17 anni, mi ricorda quanto e che cosa si rischi a non vivere la propria vita.
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George Gray
Tante volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vano desiderio -
è una barca che anela al mare eppure lo teme.