mercoledì 13 ottobre 2010

Le poesie del mercoledì: Meditazione di Umberto Saba

Ho avuto la fortuna, all'università, di laurearmi con una professoressa che prima di essere una docente era soprattutto una poetessa, di poesie a me spesso ostili e illeggibili, tengo a precisare, ma che di quelle altrui mi ha amorevolmente nutrita negli anni trascorsi a studiare con lei.

La ricordo ancora, il mercoledì pomeriggio, seduta in aula, spesso abbigliata in modo scenografico, teatrale, che inforcava gli occhiali, sfilava dalla borsa un libro e cominciava a leggere versi.

Ricordo anche il silenzio, assoluto, prima carico di anticipazione, poi di incanto.
Ricordo la concentrazione, l'attenzione, la fatica - certo - ma anche e soprattutto, la bellezza.
La musica.
Le illuminazioni, fulminee, che solo la poesia sembra poter offrire: il senso, i sentimenti, le inquietudini di tutti, di sempre, ritrovate lì, in quelle parole.

Uscivamo da quell'aula silenziosi, pieni di pensieri e scombussolati, ma anche pacificati e più gentili, più attenti gli uni agli altri. Capitava spesso, poi, che con un altro studente, con cui magari mai si era scambiata parola, corresse uno sguardo, a metà lettura: uno sguardo di riconoscimento, di affiliazione.
Magari poi non ci si parlava nemmeno, ma incrociandosi per i corridoi del dipartimento o sedendosi in aula prima della lezione, ci si sorrideva, ci si riconosceva ancora.
"Io e te, quel giorno, abbiamo sentito la stessa cosa".

Devo a quelle letture - sacre come immagino possano essere quelle della parola di un dio per un gruppo di fedeli - i miei primi approcci, le mie prime esplorazioni di un regno che continuo a frequentare molto meno spesso di quanto mi farebbe bene.

Perché la poesia, prima di tutto, fa bene.
A tutti.
Sempre.
E allora, per una volta, facciamoci del bene!




- Meditazione -

Sfuma il turchino in un azzurro tutto
stelle. Io siedo alla finestra, e guardo.
Guardo e ascolto; però che in questo è tutta
la mia forza: guardare ed ascoltare.

La luna non è nata, nascerà
sul tardi. Sono aperte oggi le molte
finestre delle grandi case folte
d'umile gente. E in un me una verità
nasce, dolce a ridirsi, che darà
gioia a chi l'ascolta, gioia da ogni cosa.
Il tuo lume, il tuo letto, la tua casa
sembrano poco a te, sembrano cose
da nulla, poi che tu nascevi e già
era il fuoco, la coltre era e la cuna
per dormire, per addormirti il canto.
Ma che strazio sofferto fu, e per quanto
tempo dagli avi tuoi, prima che una
sorgesse, tra le belve, una capanna;
che il suono divenisse ninna-nanna
per il bimbo, parola pel compagno.
Che millenni di strazi, uomo, per una
delle piccole cose che tu prendi,
usi e non guardi; e il cuore non ti trema,
non ti trema la mano;
ti sembrerebbe vano
ripensare ch'è poco
quanto all'immondezzaio oggi tu scagli;
ma che gemma non c'è che per te valga
quanto valso sarebbe un dì quel poco.
La luna è nata che le stelle in cielo
declinano. Là un giallo
lume si è spento, fumido. Suonò
il tocco. Un gallo
cantò; altri risposero qua e là.


(da Poesie dell'adolescenza e giovanili di Umberto Saba)


5 commenti:

  1. Bello passare di qua, un piccolo angolo di bellezza che mi lascia sempre sospesa a mezz'aria. Difficile da spiegare come sensazione, però mi piace assai. Grazie cara Duck.

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  2. @ Marilì: Grazie a te, cara Marilì. Mi hai scritto una cosa bellissima, di cui farò tesoro.

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  3. Vedo che non hai bisogno di me come "pusher di poesia". Forse saro' io a servirmi da te d'ora in poi.Magnifico Saba e stupendo il mondo dei poeti

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  4. La poesia non è completa. Mancano questi versi: ben poco tu stimi uomo le cose

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  5. grazie, Costanza! il verso - ho verificato sulla mia edizione Einaudi, è "Poco invero tu stimi, uomo, le cose".

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