domenica 20 febbraio 2011

Sunday Music: Signora Bovary - Francesco Guccini

Il mio fidanzato di quando ero al liceo (quello con velleità da pianista che dormiva beati sonni davanti ai film francesi) frequentava un gruppo assai eterogeneo di gente; penso di aver incontrato poche persone in vita mia circondate, come lo era lui, da una massa di conoscenti tanto disparati.

Credo che ciò dipendesse dalla sua concezione molto elastica dell'amicizia che io, sedicenne legnosa ed estremista, trovavo inconcepibile e indifendibile.

Sosteneva, in sostanza, che fosse meglio avere amicizie diversificate, con le quali condividere solo alcune attività: con Tizio, per esempio, si andava al cinema; con Caio in palestra; con Sempronio si parlava di politica, mentre di libri era più interessante discorrere con Pinco Pallino etc etc. 

Seguendo con inflessibilità questo principio, si era creato negli anni una rete di rapporti piuttosto superficiali ma che soddisfacevano ogni suo bisogno di condivisione. 
L'importante era non mescolare le carte, non pretendere di affrontare con Caio l'analisi della situazione politica italiana o di trascinare Pinco Pallino in palestra: insomma, non chiedere troppo e non farsi chiedere troppo.


Io trovavo assurda questa, per così dire, compartimentazione delle amicizie: mi sembrava il prodotto di un opportunismo e di una superficialità agghiaccianti, soprattutto perché di quelle persone raramente il mio fidanzato aveva vera stima.
Questo sistema, però, per lui funzionava alla perfezione e gli garantiva quel che più gli stava a cuore: una quasi continua disponibilità di compagnia (era una persona che aveva quasi un timor panico della solitudine e che non amava indulgere in qualunque forma di introspezione).

Venendo da una buona famiglia, frequentava tutto un giro di giovani rampolli della Roma bene eredi di primari, notai, antiquari con cui ogni tanto organizzava feste in qualche magnifico attico o settimane bianche in località alla moda.


Aveva, però, anche la passione per la moto e dunque diversi giorni alla settimana si incontrava con un gruppo di centauri, tra i quali molti erano i figuri semi-loschi (per non dire mezzi criminali, dato che passavano gran parte del loro tempo a truccare moto e motorini o a ricrearne di nuovi con pezzi sottratti nottetempo ad altri) con cui si divertiva a fare su e giù, con la moto, lungo la strada tutta curve che dalla collina dell'osservatorio astronomico scende fino alla piazza dove si trova il nuovo palazzo di Giustizia.


Ogni pomeriggio, poi, portava a spasso il suo chow chow e si ritrovava in una piazzetta del quartiere insieme ad altri cinomuniti, un gruppo che in parte coincideva con quello dei già citati centauri e in parte con quello dei tifosi della Roma (con cui, ovviamente, andava allo stadio o guardava le partite in televisione), ma non del tutto.

Infine, dilettandosi col pianoforte, frequentava un giro di musicisti in erba, quelli che io chiamavo con un certo disprezzo "i maniaci" o "gli autistici": per lo più silenziosi e poco comunicativi, si risvegliavano solo ed esclusivamente quando si parlava di musica e quando cominciavano non la finivano più. Impossibile discorrere con loro di qualsiasi altra cosa.


Per quanto maniaci e autistici, io preferivo senz'altro i musicisti ai giovani rampolli, ai centauri, ai cinomuniti,  e soprattutto ai tifosi della Roma: quanto meno, a frequentarli, c'era da conoscere e da ascoltare - non sempre, ma spesso - bella musica.

Devo a una serata a casa di uno di loro, un elemento singolarissimo e a modo suo affascinante (un certo Fabrizio, grande virtuoso della chitarra che soffriva di vari e misteriosissimi disturbi psicosomatici ed era lunatico oltre ogni dire - cioè molto più di me) il mio primo incontro con questa canzone di Francesco Guccini.

Io amo molto il Guccini irriverente e clownesco, creatore di divertissements irresistibili (penso ad esempio a I fichi o a La fiera di San Lazzaro) e amo anche quello irruento ed energico, il violento e indignato castigatore dei suoi grandi classici che ancora oggi infiammano le folle dei suoi concerti.

Ma quello che preferisco è senz'altro il Guccini che canta le storie piccole di un'umanità spesso strozzata dalla solitudine o dall'infelicità, che si arrabatta a sopportare la fatica di vivere giorno dopo giorno una vita dagli orizzonti fatalmente limitati; un'umanità per la quale Guccini mi sembra sappia trovare sempre parole di rara delicatezza e tatto e poesia e provare vera, fraterna e misericordiosa comprensione.

Buona domenica!









11 commenti:

  1. "E i tuoi pensieri sono un cane in chiesa
    che tutti prendono a calci".
    Decidere quale sia la canzone più bella di Guccini è un po' come dover scegliere il quadro più bello di Van Gogh o la scultura più plastica di Rodin. Questa però (insieme con "Scirocco", che la precede nell'album) entra senz'altro a vele spiegate nel "meglio" del suo repertorio. Ha un che di struggente, che riesce a commuovermi ogni volta come se fosse la prima che la ascolto.
    Grazie Duck per averci fatto iniziare questa grigia domenica di fine inverno con le sue note!

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  2. Davvero ormai ti cerco subito la domenica per cominciare con la tua musica la mia giornata .Torno ora da aver sentito una cantata di Bach ai Minimes, dove siamo andati anche con te (ti ricordi ?). Ascoltare ora Guccini mi sembra completi l'emozione di stamattina
    Grazie, come sempre

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  3. @ Spia: io credo che a commuovere sia soprattutto quella flebile ma indomita speranza affidata agli ultimi versi. Almeno, io la trovo davvero commovente.

    @ Grazia: certo che me lo ricordo e come mi è piaciuto! Un abbraccio di buona domenica

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  4. Non avresti potuto auguraci una domenica migliore di questa, proponendoci Guccini!
    Grazie,
    Lara

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  5. L'ho ascoltata con attenzione. La notte sembra avere una valenza positiva, forse perchè lì la realtà non si rende evidente... Dammi lumi!

    P.S.
    Grandissima la tua introduzione! :-)))

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  6. E se l'allora fidanzato ti leggesse? Sai che ridere :)
    Ascoltare Guccini è sempre un tuffo al cuore. Grazie carissima.

    wenny

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  7. @ Lara: Guccini è sempre un bel viatico, in qualunque versione.
    Saluti!

    @ Giacy.nta: mah, difficile dirlo, ma è un'interpretazione: la notte intesa come riposo e tregua dalla fatica del vivere. Chissà. Anche se l'ultimo verso dice "in fondo alla notte c'è ancora... c'è ancora...", come a dire, dopo il buio si può sperare ancora nell'arrivo di qualcosa. Un abbraccio

    @ Wenny: mi pare un'ipotesi assai improbabile! Anche se fosse non troverebbe scritto niente che io, illo tempore, non gli abbia già detto - e oggi sono stata anche simpatica, dai!
    Grazie a te, cara Wenny!

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  8. Ogni post è una carezza, o un colpo, a volte un colpo basso, imprevisto e imprevedibile, che mi coglie di sorpresa da piegarmi di emozione, a volte sono folate di vento che passano fra i capelli, a volte secchiate di pioggia che mi lasciano bagnata come un pulcino, a volte sono musiche che ricordano ricordi stonati e dimenticati (i miei).
    Non ho mai letto una banalità, qui. Praticamente una rarità. E io mi beo, sì !

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  9. @ Marilì: che dire? Grazie! (ecco a te servita la prima banalità)
    Un abbraccio

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  10. Caro Guccini dei tempi andati, delle domeniche mattine aspettando che mamma annunciasse il pranzo e si dovesse andare ad apparecchiare e intanto si rassettava la camera...
    E' ancora tutto là, nel cuore del tempo che non c'è più. Ma lui c'è sempre. Anche ora. Spesso.

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  11. @ Shishi: è proprio vero che sei tu la mia memoria. Per fortuna ben radicata nel presente.
    Un grande abbraccio

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