domenica 9 gennaio 2011

Sunday Music: Nothing to Lose - Claudine Longet

Per qualche tempo, quando ero giovine, ho cercato di imparare a suonare la chitarra.

Me ne regalò una un mio fidanzato con velleità da pianista, per consolarmi del fatto che sarebbe partito per un mese per una vacanza a New York (e che non aveva nemmeno lontanamente pensato di portarmi con sé).

Il suo regalo rimase a prender polvere per qualche anno, fino a quando - il fidanzato quasipianista era già acqua passata - non mi decisi a prendere delle lezioni.

Il mio maestro era un chitarrista jazz e del chitarrista jazz aveva il physique du rôle: capelli arruffati e incolti, abiti sempre stazzonati, voce arrochita dalla nicotina e da chissà quali altre sostanze letali per l'organismo, occhi circondati dalle occhiaie di chi vive di notte e dorme di giorno, più, tanto per gradire, un certo fascino maudit e randagio.

Fare lezione con lui non era semplice: già accordarsi per l'orario era un'impresa, in più il fascinoso jazzista parlava poco, con voce cavernosa e una sigaretta perennemente penzolante tra le labbra; spesso era con me solo in spiritu (e a più di una lezione si presentò chiaramente sofferente dei postumi di qualche sbornia), o si assentava - me presente - con un'espressione a metà tra il beato e il sofferente, perdendosi in solitari assoli, che concludeva con un sorriso sghembo col quale, probabilmente, mi chiedeva scusa.

Aveva però molta pazienza e modi zen (o forse solo molto sonno).
Ogni tanto, per motivi a me misteriosi, se ne usciva inopinatamente con battute ed espressioni esilaranti; una volta mi salutò con un pittoresco "S'arincastramo" (che voleva dire, più o meno, "ci vediamo").

Non sarà dunque per voi motivo di sorpresa sapere che le nostre lezioni non portarono a nulla.
Il problema principale, in realtà, era mio: mancavo completamente di coordinazione.
Se mi concentravo sulla mano destra, non riuscivo a muovere la mano sinistra sulla tastiera; se la mia attenzione si rivolgeva a quest'ultima per centrare gli accordi, la mano destra si agitava incerta e spesso mancava del tutto le corde.

Un pomeriggio in cui era stranamente di umore ilare e giocoso, il mio maestro si accovacciò ai miei piedi ed eseguì con me un grazioso motivetto che si insegna ai principianti: io mi occupai degli accordi, lui delle corde.
Avremmo potuto metter su un inusuale duo, in effetti.

Poco prima delle vacanze estive, alla fine di quella che poi si rivelò essere l'ultima nostra lezione, il jazzista mi disse, con un sorriso forse un po' piacione: "Guarda, te lo dico contro il mio interesse: tu hai una bellissima voce, davvero. È già tantissimo": un invito allusivo - ma neanche tanto - a lasciar perdere.

Peccato, però.

Quello di non saper suonare la chitarra è uno dei miei rimpianti più cocenti.
Cocente soprattutto perché so che non ho avuto e non avrei nemmeno ora la costanza e la disciplina necessarie e dove non c'è la volontà è davvero difficile ottenere dei risultati, anche mediocri.

Non ho certo mai pensato, neanche nei miei momenti più ispirati, di poter diventare un Andrés Segovia in gonnella.

Mi sarei ampiamente accontentata di sapere accompagnare le mie cantatine, che amo moltissimo fare e, in verità, faccio quasi ininterrottamente, praticamente senza neanche accorgermene (e la canzone di oggi è una di quelle che canticchio più spesso).

Ma qualche volta mi capita ancora di sognare ad occhi aperti e mi piace immaginarmi così, bella e leggiadra come l'incantevole Claudine Longet, che nel mitico Hollywood Party, con la sua (un po' troppo, per i miei gusti) esile voce canta questa canzone, scritta da Henry Mancini, sotto lo sguardo rapito e già sedotto del grandissimo Peter Sellers.








13 commenti:

  1. jazz, Henry Mancini, Hollywood party :c'é già tutto per sognare.
    Sul phisique du role del jazzista invece....
    Esistono anche jazzisti diversi ,per fortuna, e tu sai di chi parlo...

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  2. @ Grazia: sì, per fortuna esistono. E fortunate le donne che se li accaparrano!
    :-)

    @ Giacinta: grazie, un buona domenica anche a te!

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  3. ma sai che il film non lo conosco? in ogni modo, in questa scena, lui è semplicemente fantastico. irresistibile. lei un po' troppo fififì (non mi veniva altro termine) per i miei gusti, ma indubbiamente molto affascinante. come la canzone che canta.
    (esilarante invece il racconto del maestro di chitarra! s'arincastramo lo voglio adottare a tutti i costi)
    buona domenica mia cara papera!

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  4. @ Tiziana: ah, se non conosci Hollywood Party ti consiglio caldamente di recuperarlo e vederlo. È un film esilarante e molto poetico, a modo suo.
    Claudine Longet era veramente molto fififì - mi sembra un termine azzeccatissimo - ma a mio parere incantevole. E la canzone è davvero affascinante: il testo non è una poesia di Emily Dickinson, sia chiaro, ma io lo trovo molto suggestivo lo stesso e la musica di Henry Mancini, poi, è sempre bellissima.
    Buona domenica a te, mia cara t

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  5. Hollywood Party..bello bello e divertentissimo.
    Duck ma si sicura di non essere il mio specchio??? Non a il Jazzista ma un simpatico quanto brutto ragazzo che studiava al conservatorio il contrabbasso..avevo iniziato a suonare.., anzi strimpellare quando è arrivato l'out out di mia nonna e delle zie: troppo rumore!!! Ed allora.. chitarra al chiodo per la pace in famiglia. Or non è più quel tempo nè quell'età..
    Clelia

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  6. @pensa se tu avessi imparato la chitarra come questa bella dama, avresti a casa degli invitati simili, come fare a meno dell'amica con la corona e il cane!

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  7. ave o film miticamente fant/ast/ti/co!!! The Party, ovvero, nella scena finale, della distruzione della civilta' consumistica americana, del caos rigenerante. grandissimo sellers (certo chi sa se oggi quell'accento indiano passerebbe alla censura dei Politically corrrect??)//// sta canzone lagnerrima massima cum laude pero'.
    peccato per te papera che non hai imparata la chitarra: te ce vedo con na chitarrina in mano, a cantare, magari in qualche ristorantino de trastevere (sora lella, magari?) che spizzica un chitarrino, a la monicavitta/ragazza con la pistola.. ti ricordi? ...la canzunedda... e cippi cippi cippi ciii.... e lu cardillu nun vinni stasira...ecc... + scherzi a parte, peccato. io studiato chitarra per tre anni ed ero bravino. ore di studio al giorno. poi al momento di iniziare conservatorio (te l'ho detto che ero dotato,no?) genitori sciagurati decisero che no, quello l'avrei fatto dopo.. cosa che poi non si e' mai realizzata.. e mi e' rimasto cruccio..
    ... anche la fisarmonica mi acchiapperebbe. evidentemente la mia manualita' l'ho scaricata su panificazione e croissant.
    cia', s' inrincastremo...
    s

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  8. @ Clelia: che peccato tu non abbia proseguito! Io almeno ho smesso perché era chiaro che non avevo la costanza e la voglia di imparare: il mio desiderio di suonare la chitarra era solamente velleità (un po' come quello di scrivere).
    Va bene, è andata, non ci crucciamo troppo.
    L'importante è convogliare la propria sensibilità e creatività in altre cose, non lasciarle languire del tutto. Un saluto (e il bruttone ma simpatico contrabassista? l'hai più visto?)

    @ Chiara: hai ragione, non ci avevo pensato! Ma nella mia vita precedente sono stata a feste simili (mai avuto un'ospite con la corona e il cane, però, lo ammetto - con un certo rimpianto) e ne ho anche organizzata qualcuna, per fortuna non così disastrosa! A presto!

    @ S: ma va? Non sapevo niente di questo tuo passato musicale. E non hai mai pensato di continuare a suonare per conto tuo, anche senza andare al conservatorio? Evidentemente no.
    Devo confessarti che trovo provvidenziale questa "deviazione" della tua manualità in direzione gastronomica - ma il mio è un parere ovviamente interessato.
    Mi ci vedi a cantare come Monica Vitti in un ristorantino di Londra? Ti dirò, mi ci vedo anch'io. Ma non con quei boccoloni rossi!

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  9. Di fascinosi come i chitarristi ce n’é ben pochi. Forse i saxofonisti, ma in quel caso dipende dalla sensualità dello strumento. Nella mia classe di solfeggio c’era un solo chitarrista, puntualmente preso in giro dal Prof.: «Voi chitarristi siete creature anomale, basta guardare quelle unghie lì per averne la certezza».
    Il tipo se la tirava non poco. Bravo era bravo ma ci sapeva pure fare con quell’aria trasandata e lo sguardo perso nel vuoto mentre suonava seduto a terra, nei corridoi del Conservatorio, “per ingannare il tempo tra una lezione e l’altra”.
    E poi, mia cara, perdona l’ingerenza: è vero che per imparare a suonare ci vuole tanta costanza ma con un maestro jazzista così, pure uno potenzialmente dotato c’avrebbe impiegato più tempo del dovuto! Secondo me dovresti riprovare con un altro maestro, magari meno zen e più in corpore sano. In fondo, non è mai troppo tardi. O no?
    Un abbraccio

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  10. @ valigiesogni: oh sì, le unghie dei chitarristi sono abbastanza inquietanti. Quelle della mano sinistra praticamente tagliate a zero e quelle della mano destra lunghe per il pizzicato. Meglio non pensarci!
    Quanto alla tua ingerenza, hai ragione. È quello che mi dice sempre la Spia, che amerebbe molto sentirmi suonare la chitarra.
    Probabilmente un professore meno pittoresco ma più concreto mi avrebbe spronato un po' di più e avrebbe avuto tempi meno rilassati, per così dire, ma è comunque vero che sento di non avere la costanza necessaria.
    Però non è detto, potrei sempre stupirti, chissà!
    Ti abbraccio anch'io.

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  11. avendo imparato a strimpellare onorevolmente chitarra, clarinetto, pianoforte, banjo, balalaika (sì, balalaika!), flauto traverso e svariati altri strumenti senza ausilio alcuno di strepenati* maestri, mi sento di invidiare la tua bella voce. Perché cantare è il massimo, e l'accompagnamento lo si lascia ai fumatori che restano sullo sfondo.
    La costanza non può nulla, anzi fa danno, se non si è portati. Basta con questa credenza assurda dell'abnegazione e dell'impegno: non ha senso.Volere NON è potere. E le unghie dei chitarristi fanno impressione lasciamole ai chitarristi (e poverette le loro fidanzate)

    * strepenati ti piacerà, lo sento

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  12. @ Esmé: e io invidio te; possiamo continuare a giocare a questo gioco per molto tempo, sai? "Io invidio te!", "No, sono io che invidio te!" - una variante sul tema "Il mio papà c'ha la macchina grande"/"Il mio ce l'ha grandissima e c'ha anche la moto", ma al contrario.
    Certo, chi ha una bella voce - mi ha detto qualcuno un giorno - non è mai veramente solo e porta ovunque e sempre con sé il più incredibile degli strumenti. Ed è verissimo.
    Che la costanza non faccia nulla è da dimostrare; credo dipenda molto dagli individui. Ci sono persone che con la sola costanza arrivano quasi ovunque. Bisogna essere almeno un po' portati, è ovvio, se no si diventa patetici e non si arriva da nessuna parte.
    Quanto al volere/potere sono d'accordo con te quando si parla di ben altre imprese (se così si può dire) e non di imparare a suonare uno strumento o a fare la pasta sfoglia: alla fine, io, di suonare la chitarra non avevo poi questo gran desiderio, a dispetto di quel che mi andavo dicendo; il fatto di dover dedicare al suo studio tempo che allora preferivo dedicare ad altro - soprattutto fumare e leggere - mi indisponeva assai e quanto al maestro avrei potuto cercarne uno meno pittoresco ma più efficiente, e non l'ho mai fatto. E questo vuol pur dire che non ho voluto, non abbastanza, e dunque mai ho potuto.
    (Strepenati mi piace moltissimo, ormai mi conosci)

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